martedì 29 maggio 2012

Carpe Diem


Difficile scrivere qualcosa di sensato e rincuorante in questi giorni sconquassati dalle vibrazioni di una terra che si ribella.

Qualcosa rimbomba dentro ognuno di noi, anche se a distanza, vedendoci impotenti di fronte alla furia di una natura che a volte sembra così crudele...

La notte scorsa, prima delle terribili scosse telluriche di questa mattina, è fiorita per la prima volta la mia nuova piccola pianta della famiglia delle Echinopsis: è un cactus che fa un lungo stelo sul quale si erge un fiore bianco, che dura solo una notte.

ieri mattina

stamani mattina

Sapevo che sarebbe successo presto, ma bisogna stare molto attenti se si vuole partecipare dello spettacolo, perché stasera, era già arrivato a compimento, e i petali che stamani sembravano così aperti verso il sole, in poche ore si erano già chiusi, terminando il loro compito.

Mi ha fatto riflettere su quanto sia importante essere presenti alle cose, vivere nel qui e ora, godendo ogni momento che ci è dato di sperimentare, senza perdere di vista le cose veramente importanti.

Riflettevo che pensiamo a tutto ciò quando accade qualcosa che rovescia le nostre sicurezze.

Riflettevo su quelle persone che stanotte saranno costrette a dormire in tende improvvisate, ma con la gioia nel cuore di avere i loro cari sani e salvi vicino a loro.

Riflettevo su quelle persone che stamani sono andate al lavoro e vi sono rimaste per sempre.

Riflettevo sulla vita che dà e che toglie.

Riflettevo sul dolore, che distrugge per alcuni e permette di costruire ad altri.

Riflettevo sul mio fiore, che nonostante il terremoto ha portato a compimento il suo destino.

Riflettevo sulla bellezza delle nostre vite, che vanno avanti, nonostante tutto.

Spero che la madre terra ritrovi la sua armonia e la smetta di tremare
buona settimana
virginia

ps. di seguito un corto stupendo di Sean Penn, uno sguardo terribilmente struggente sull'11 settembre e su come quella che è la tragedia per alcuni, a volte possa rappresentare un modo per altri di guardare per la prima volta il reale che li circonda e trovarvi nuovi significati per andare avanti.


lunedì 21 maggio 2012

Quelle donne che...


E' da un po' che ci penso.

Ritengo necessario porre attenzione anche a quegli aspetti “discutibili” delle donne con i quali mi imbatto nel quotidiano, o per lavoro o perché mi risulta impossibile non osservare quello che mi circonda e notare gli equilibrismi imperfetti delle relazioni umane.

Uno di questi è il bisogno, spesso declinato al femminile, di sentirsi al centro del mondo, sempre nel giusto e in posizione di esigere “crediti” da parte degli altri.

Lo vedo nelle mogli e compagne, quando ambiguamente chiedono aiuto ai compagni per essere alleggerite da pesi casalinghi, ma poi immancabilmente criticano o denigrano ciò che è stato fatto, come è stato fatto, perché è stato fatto, perché infondo, “come le faccio io le cose non le fa nessuno” “mi innervosisce vedere che ci mette una vita a farlo” e “faccio prima da me che spiegargli come deve fare”.

Lo vedo nelle giovani madri, quando faticano a delegare ai mariti o compagni la cura dei figli, perché dietro il pianto del figlio che biascica “mamma”, fra due lacrimucce, con le manine tese, hanno bisogno di leggere la loro unicità e importanza, non riuscendo a tollerare che quella creatura possa sostenere la loro mancanza.

Lo vedo nelle anziane madri, quando tengono legati a sé i figli col ricatto emotivo di frasi come “con tutto quello che ho fatto per te” “se te ne vai di casa mi spezzerai il cuore” o ancora più subdole malattie immaginarie che giungono ad hoc quando l'altro riesce ad affrancarsi dalla dipendenza.

Lo vedo nelle giovani figlie, che chiedono, pretendono, esigono che i genitori facciano sacrifici immensi per loro e credono che tutto gli sia dovuto perché “chi ti ha chiesto di mettermi al mondo!?”

Lo vedo nelle figlie mature che obbligano i genitori a prendersi ancora cura di loro, della loro cucina, delle loro faccende domestiche, dei loro figli, perché “non ce la faccio a far tutto” anche se hanno quaranta o cinquant'anni e dovrebbero essere già autonome da un po'...

Lo vedo nelle nonne, che secondo la malcelata logica del do ut des, rinfacciano la disponibilità di aiuto, venduta prima come disinteressata, facendola pagare poi cara ad ogni occasione.

Lo vedo nelle amiche, quando pretendono di essere le sole depositarie di segreti o confidenze, quando “non vengo se c'è anche lei” o “abbiamo litigato perché mi sono accorta che non mi diceva tutto”.

Non è un'accusa a chi davvero dona spassionatamente.

Esula dal fatto che ci sono, purtroppo, donne che devono implorare i compagni per farsi dare un minimo aiuto.

Non voglio mancare di rispetto a coloro che fanno tutto da sé e che bramerebbero anche un alleggerimento minimo da parte di qualcuno, ma non riesco a fare a meno di sottolineare che può essere importante fermarsi a riflettere ogniqualvolta un moto di stizza e risentimento nasce verso coloro che sono vicini e ce la mettono tutta per fare del loro meglio.

Spesso è fin troppo facile pretendere che gli altri debbano avere la sfera di cristallo e così riuscire a vedere, e poi a realizzare, tutti i nostri desideri.

A volte un semplice grazie, anche per una cosa fatta così così, chiesta invece che magicamente intuita, apre alla possibilità di ricevere molto di più di mille successive pretese o rivendicazioni.

La gratitudine, quella che viene dal cuore, intensa e lenitiva della fatica, è la migliore forma di apertura verso l'altro, fa bene a chi la compie e a chi la riceve.



Siate grate, ogni giorno per qualcosa.
L'altro, ma soprattutto la vita, vi ricompenserà.

buona settimana,
virginia

giovedì 17 maggio 2012

Lo scaffale "Tiramisù"



Ve ne avevo già accennata l'esistenza in un post precedente (lo trovi qui) così oggi ve ne voglio parlare in maniera approfondita.
Non è stato qualcosa di cercato e costruito, quanto piuttosto nato nel corso dell'andare oscillante delle cose che, se sono dentro, pian piano poi si strutturano anche fuori, nella nostra realtà quotidiana.
Vi ho parlato molte volte del “potere” delle immagini, intese come tutto ciò che il nostro occhio vede e sul quale pone attenzione. Le immagini provocano emozioni, le quali a loro volta ci spingono spesso all'azione, ad un comportamento in linea con esse.
Per questo è importante circondarsi di immagini belle e nutritive, di oggetti che ci piacciono, colori che distendono e rilassano, atmosfere di benessere, soprattutto nella nostra casa.
Quando già avevo creato il mio scaffale-tiramisù, ho letto con gioia che anche la scrittrice Sarah Ban Breathnach, nel suo libro invita a crearsi uno spazio sacro (nel suo caso una piccola panca con sopra oggetti cari), che emani energia positiva.
Proprio questa deve essere la funzione!
Che sia uno scaffale, una mensola della libreria o un tavolinetto in posizione strategica poco importa, basta che ogni volta che i vostri occhi si posano in quella direzione, possano assorbire tutto il significato meraviglioso che quello spazio porta con sé.
Il mio scaffale-tiramisù è il condensato di questi concetti ed eccolo qua:





  1. LIBRI. A mio avviso il miglior modo per arredare gli spazio domestici, perché ti senti circondato da tutte le possibilità dell'essere, da storie e personaggi cui attingere, per crescere e conoscere, per sperimentare le infinite sfumature dell'animo umano; per imparare a includere e non giudicare, per aprirsi all'esperienza del mondo in una stanza. Nel mio scaffale ce ne sono quattro (attualmente, perché ogni tanto li cambio, o ne aggiungo) e di solito qui prendono posto testi di riflessione sulla bellezza della vita o di ricerca interiore :
    Semplice Abbondanza: una guida quotidiana al benessere  e alla gioia – Sarah Ban Breathnach , da consultare, da aprire a caso per sorprendermi, da sfogliare accuratamente in cerca di una citazione, da approfondire giorno per giorno.
    Se incontri il buddha per la strada uccidilo – Sheldon B. Kopp, da leggere ogni tanto per ricordarsi che il miglior “maestro” per se stessi non è fuori da seguire, ma dentro di noi da scoprire.
    Il piccolo libro del Q.B. : per scoprire quanto basta per essere felici – Joann Davis , prontuario di riflessioni veloci, per ricordare che quanto più si ha meno si è.
    Il sale della vita – Françoise Héritier, elenco infinito di tutto ciò che fa “ridere il cuore”.
  2. OGGETTI che evocano RICORDI di situazioni o persone: sono quegli oggetti che, al di là del valore, riescono a riprodurre una piccola gioia, un ricordo affettuoso o raccontano chi sei...
  3. PIANTINE. Per me sono le mie orchidee, da seguire nel loro ciclo continuo, da curare e veder sbocciare ogni volta con stupore.
  4. CANDELE. Una passione, l'amore per il profumo che si diffonde leggero nell'aria insieme alla luce soffusa nel calore di una serata in famiglia.
Adesso tocca voi... buon divertimento!
virginia

domenica 13 maggio 2012

Le mamme non sono amiche


Oggi che è la festa della mamma, vado un po' contro corrente secondo la logica tradizionale che vede l'esaltazione di questo ruolo e la celebrazione di tutte le donne-mamme. Io invece darò una tirata di orecchie virtuale e affettuosa a tutte coloro che si ritrovano in quello che vi racconto. 
Tratterò oggi di un tema spinoso, mossa dalla visione di una pubblicità di una nota marca di auto: c'è una mamma che va a prendere la figlia adolescente a scuola, la quale mentre si siede e sistema lo zaino, lascia intravedere al confine con la cintura, subito sopra il sedere, un tatuaggio tribale. La mamma osserva e dopo un non verbale che lascia presagire il peggio... se ne esce con una frase del tipo “ma cosa ti è saltato in mente!” facendola seguire però da uno spavaldo aprirsi della zip posteriore di un adulto pantalone a sigaretta, da cui emerge un tatuaggio simile a quello della figlia, ma più grande e colorato e l'esternazione “questo è un tatuaggio!”, facendo finire la presagita guerra mondiale con una risata complice fra le due.
Non sto mettendo alla gogna chi si tatua e neppure il fatto che un genitore possa farlo (dando per scontato che nella vita di un adolescente arrivi il momento in cui ne senta “l'impellente” bisogno), ma l'immagine di questa pubblicità mi ha fatto riflettere sui capovolgimenti cui stiamo assistendo da un punto di vista socio-culturale – per non dire poi psico-pedagogico.
È implicito nella funzione genitoriale il fatto di dare delle regole.
Spesso e volentieri queste vengono disattese dai figli, soprattutto in quella fase di individuazione e ricerca di identità costituita dall'adolescenza, ma questo è sinonimo di uno sviluppo “sano”.
Occorrono le regole perché i figli vi si possano ribellare, perché creino situazioni di confronto e compromesso con i genitori, perché sviluppino un senso critico rispetto a ciò che è giusto o sbagliato, lottino per degli ideali, capiscano che il senso del limite fa parte della vita.
La madre che si pone sullo stesso piano della figlia, che ha gli stessi atteggiamenti, che si veste come lei, che diventa troppo complice, se in un primo momento pare essere una figura positiva e benvoluta, sul lungo termine diventa ostacolante per uno sviluppo autonomo della propria bambina.
Il genitore deve saper tollerare di essere considerato “vecchio” e superato, di avere delle idee che ai figli risultano fuori moda e da cambiare, perché questo è l'input che permette a loro di crescere e riuscire a distanziarsi emotivamente per crearsi come persona autonoma e indipendente.
La madre può essere vicina senza essere collusiva, può rappresentare un punto di riferimento senza pretendere di essere un modello da emulare: questo non significa essere per forza intransigente e ottusa, bensì flessibile e aperta a un dialogo, ricordando però di tenere presenti i ruoli, che hanno la loro funzione educativa.
I giovani devono poter avere i loro segreti, devono riuscire a “pensarsi” capaci di farcela anche senza l'approvazione di mamma e papà, perché così cominciano a camminare con le proprie gambe ma anche a muoversi nel mondo emotivo e relazionale in modo nuovo e creativo.

Auguri a tutte le mamme che con coraggio si interrogano e affrontano le mille avventure di questo ruolo!

virginia

mercoledì 9 maggio 2012

Attrazione fatale: dall'amore romantico alla morte




Oggi voglio occuparmi  di donne...di donne uccise dai propri compagni, amanti, dell'amore che sfocia nella  morte .
Vi darò una mia personale interpretazione, che parte dalle radici storiche di quell'amore, che definisco romantico.
Sì, perchè ,care amiche, per secoli noi donne non avevamo alcun diritto, eravamo impure , costituivamo oggetto di scambio, al pari della merce del mercato. E l'atteggiamento del cristianesimo distingueva la donna madre e moglie dalla donna prostituta e amante,e quindi l'antisessualità della Chiesa andava di pari passo con il suo antifemminismo. L'archetipo della donna nella nostra cultura era quella della donna che si prende cura, che tace  , che asseconda , che si annulla...
Fino a metà dell' Ottocento lo scopo del matrimonio era la procreazione e il “ rimedio all'incontinenza sessuale”.
Solo col Diciannovesimo secolo il concetto di amore romantico come valore culturale viene ampiamente accettato e posto a base del matrimonio.Questa cultura ebbe origine in Occidente, soprattutto negli Stati Uniti, con l'avvento della rivoluzione industriale e del capitalismo
E così ora noi ci sposiamo per amore ma la relazione spesso finisce .
Allora è chiaro che l'amore non basta.
Il fatto che due esseri umani si amino non garantisce che siano in grado di dare vita a una relazione gioiosa, stabile e duratura.
L'amore infatti non insegna a comunicare con efficacia, non produce autostima,nè insegna i metodi per risolverse i conflitti
E anche tra individui maturi e realizzati l'amore non è per sempre
Via via che le persone crescono e si evolvono, le loro necessità e desideri cambiano, diventono più o meno importanti . Possono emergere nuovi obiettivi e nuovi aneliti  che aprono baratri nel rapporto
Quando venne ideato quel rituale nel matrimonio che comprende la formula “ finchè morte non ci separi” erano in pochi a vivere oltre i trent'anni. Un uomo che moriva a ventisei anni poteva aver avuto tre mogli, di cui due morte da parto. “ Per sempre” aveva quindi un significato diverso da quello odierno  in quanto noi abbiamo un'aspettativa di vita di settanta/ ottanta anni
E passiamo ai giorni nostri : ci si sposa senza avere strumenti  perchè così si fa e ci si identifica nella maggior parte dei casi il nostro patner come colui che riesce a colmare il gap dei nostri bisogni emotivi irrisolti.
Deleghiamo ad un altro la risoluzione dei nostri bisogni, la risoluzione del nostro stile di attaccamento, il bisogno di riconoscimento, il bisogno di amore,il bisogno di essere protetti deleghiamo ad un altro la capacità di essere felici... E qui inneschiamo una bomba ad orologeria ...perchè nessun altro al di fuori di noi stessi è responsabile della nostra felicità..
Per fare questo bisogna sapersi autoregolare e autodirigersi 
Le persone autonome sanno che gli altri non esistono solo per soddisfare i loro bisogni. 
Hanno accettato il fatto che, per quanto amore e affetto possa esistere tra due persone, ciascuno di noi è il solo responsabile di se stesso.
Per quanta passione possono provare, due persone autonome riconoscono di doversi lasciare spazio e libertà. 
Le persone autonome hanno capacità di assorbire i colpi  della vita e rispettano il bisogno del patner di seguire il proprio destino, di stare solo e quindi non sentono la necessità di essere al centro della scena.
Il paradosso è questo  : siamo pronti per l'amore romantico quando smettiamo di combattere contro il dato di fatto della nostra solitiudine.
E quindi l' amore romantico non è per i bambini in senso letterale e psicologico , è per gli adulti.
E per noi donne l'amore romantico deve superare la dualità di essere puttane o spose ... ma soprattutto noi donne dobbiamo imparare ad esistere ed essere responsabili della nostra vita. 
Ogni donna è un essere umano, non una macchina da riproduzione il cui destino è quello di servire gli altri. Le donne devono essere egoiste in modo onorevole ed intelligente. Non c è niente di bello o di nobile nell'annullare se stessi...
E quindi il mio pensiero va a quelle donne vittime di un amore immaturo che loro stesse hanno contribuito ad alimentare, schiacciate da una cultura antifemminista, da atavici schemi sociali  e religiosi.
Quelle donne che hanno perso la vita per un amore nuovo, maturo, consapevole  che il loro patner non capiva  e le ha condotte alla morte.
E il mio invito e consiglio per tutti  ...siamo autonomi in modo onorevole e intelligente...solo così faremo crescere l'amore.
Evi

martedì 8 maggio 2012

Rabbia, ira, furia e irritazione




Chi di voi non conosce queste quattro sorelle??
Forse vengono a trovarvi una alla volta, oppure si presentano all'improvviso tutte insieme, senza alcun invito, invadono la vostra coscienza con reazioni corporee ed agiti improvvisi.
Può essere che abbiate scelto tanto tempo fa di lasciarle fuori dalla porta, così – vi dite – siete immuni dal sentirle, ma chissà da quali spifferi di porte e finestre riescono ad entrare, sotto altre forme, per boicottare la serenità dei vostri salottini bene.
Diciamoci la verità. Nonostante il loro essere declinate al femminile, le donne non hanno con loro un buon rapporto: o sono troppo presenti o le grandi assenti.
In ogni caso mai ospiti riconosciute e benvolute.
In realtà non sono cattive, è che da sempre le dipingono così.
È per questo che le donne se ne tengono alla larga, le temono e le giudicano, si vergognano di averle come amiche.
Irritazione di solito arriva in sordina: come un formicolio dei sensi che presagisce che qualcosa ha toccato una corda sensibile.
Ira scatta sull'attenti ogni volta che qualcuno le manca di rispetto o le ostacola il cammino, ma non dura molto.
Rabbia arriva dopo un po', quando ira è chiamata in causa ogni tre per due, o quando si smuove qualcosa di più profondo e lontano nel tempo, per questo non è facile poi allontanarla.
Furia è come un uragano, quando parte a nulla vale porre argini per limitare i danni, si può solo aspettare che finisca la sua scena e raccogliere i cocci.
A volte vengono in terapia, trascinate con sdegno da Vergogna e Senso di Colpa, cugine sempre pronte a mettere il dito nella piaga, perfettine insolenti che giudicano dall'alto del loro pulpito.
Così le quattro piangono, si fraintendono, temono di essere equiparate a Violenza, temibile sorellastra, che macchia di peccato la genealogia familiare.
Ci tengono alla larga, nessuno ci vuol bene – si lamentano – Arriviamo ma poi non risolviamo nulla...come possiamo porre rimedio a questo disastro?
A ben vedere, queste quattro sorelle, hanno molto da donare.
Possiedono un'energia eccezionale, sanno dire di si con entusiasmo ma altrettanto hanno imparato a dire no a quello che non va loro a genio.
Sanno entrare in contatto col corpo, percepiscono la necessità di scaricare quell'eccesso di voltaggio che denota l'aver oltrepassato i limiti.
Conoscono i loro diritti, non ammettono di essere calpestate o denigrate.
Sono in contatto profondo coi loro bisogni e se ne fanno portavoce nel mondo.
È vero, quando eccedono hanno bisogno di una guida che le riporti al loro posto, ma se opportunamente riconosciute, non sono poi così riottose.
Vogliono esprimersi, esigono esser viste: primedonne si, ma facilmente educabili, se prese in tempo.
Ogni donna dovrebbe avere un rapporto di fiducia con loro: esserci in continua comunicazione, permettere loro di essere ascoltate, di manifestare un'opinione, di partecipare a un dibattito o confronto.
Quanto più saranno accettate e accolte e quanto più sprigioneranno le loro risorse.
Proprio come tutte le donne, infondo. 

Dedico questo post a tutte le donne che hanno fatto amicizia con l'energia aggressiva e ne sperimentano ogni giorno le potenzialità. 
Buona giornata
virginia

mercoledì 2 maggio 2012

Il sale della vita




E' un po' che non vi parlo di libri.
Ho letto una minuscola recensione che i miei occhi sono riusciti a stagliare, fra un articolo di moda e l'altro, su una rivista sfogliata distrattamente al bar, perché mi ha colpito il titolo: “il sale della vita”.
Sul momento mi è parso interessante e curioso, perché scritto da una antropologa africanista – Françoise Héritier – la quale si è da sempre occupata di vedere la vita da una prospettiva comparativa, mentre qui si è decisa a scendere in maniera commovente nelle esperienze uniche del suo vivere quotidiano.
Sono andata in libreria e l'ho cercato. Si tratta di un candido librettino di cento pagine, con la copertina di cartone rigido, solido e leggero allo stesso tempo, di quelli che già presagisco andare ad occupare un posticino speciale nel mio scaffale “tiramisù” (ma di questo magari vi parlerò in un'altra occasione).



Sul momento non l'ho neppure aperto, preso sulla fiducia di quelle poche righe rimaste nella mia memoria.
Ho deciso di leggerlo in momenti particolari, quelli in cui metti in pausa tutto il resto e ti concedi anche una manciata di minuti, ma intensi e tutti per te.
Così, ecco che dopo circa un mese sono giunta alla fine.
Vi ho trovato il condensato poetico di alcuni concetti che molte volte qui ho cercato di trasmettervi.
Ricordate la lista magica che vi avevo suggerito nel bon bon n.5 dello scorso anno? (puoi trovarlo qui se lo hai perso)
Ecco, “Il sale della vita” (Ed. Rizzoli), pur se nato da altre necessità, mi è parso una concretizzazione di quell'idea.
Partendo dal voler trasmettere a un amico l'importanza del non perdere contatto con le cose speciali di cui è fatto il bello della vita, l'autrice ripercorre sul filo della memoria, esperienze minute ed essenziali, frammenti di sensazioni, emozioni riconducibili a una parola, uno sguardo, attimi interminabili di gioie semplici.
non si tratta di alate speculazioni metafisiche o di meditazioni chissà quanto profonde sulla vanità dell'esistenza o sulla vita intima che arde in tutti noi. Si tratta semplicemente di imparare a fare di ogni istante della propria vita un tesoro di bellezza e grazia che si arricchisce in continuazione, per forza propria, e al quale si può attingere giorno per giorno. […]
Io ho imparato a conoscerli per quello che sono: i momenti ricchi di sapore che scandiscono la nostra vita. Basta poco per scoprirla infinitamente più ricca e interessante di come credevamo che fosse. Si ricordi soprattutto che questi tesori nessuno potrà mai portarglieli via.” (pag. 85-86)

Non scordatelo mai neppure voi, mie care.
Buona settimana,
virginia