mercoledì 28 marzo 2012

Caratteristiche della crisi della famiglia nel 2011


Le rilevazioni statistiche ISTAT registrano un continuo aumento delle separazioni (incremento del 3,4 %) e dei divorzi (incremento del 7,3%).
65.727 figli minori sono coinvolti nelle separazioni, 26592 nei divorzi.
Aumentano le richieste di affidamento condiviso, ma al contempo nella famiglia, quando è unita,persiste l’asimmetria nella ripartizione del carico dei lavori familiari, che è ancora a carico delle donne per il 76%; l’indice cala di poco nelle coppie in cui la donna settentrionale lavora (70%) e in cui la donna lavoratrice è laureata (67,6%).
Trasversale in tutto il paese, si riscontra una forte diseguaglianza di genere a danno delle donne,e ciò significa che la maggior parte dei padri non è coinvolto direttamente nel carico dei lavori familiari compresi i compiti di cura dei figli.
In tali casi, l’affidamento condiviso ad entrambi i genitori rischia di diventare un’etichetta formale.
Ed è poco verosimile che quella rilevante percentuale di padri, dopo la separazione, riesca immediatamente a modificare radicalmente le proprie abitudini di vita, imparando non solo ad occuparsi delle faccende domestiche, a “preparare un pasto caldo” ed a aiutare i figli a risolvere i
quotidiani problemi di cura e mantenimento, ma soprattutto a interagire empaticamente con loro interpretandone i bisogni profondi e spesso inespressi.
Secondo numerosi studi e ricerche sociologiche il matrimonio e la co-residenza definiscono anche le responsabilità nei confronti dei bambini. Gli uomini sono padri dei figli della donna con cui vivono indipendentemente dai legami biologici. Se la madre ha un nuovo convivente il padre biologico è portato a delegare al nuovo padre “sociale” la responsabilità di mantenere il figlio.
Sono state messe in luce le peculiarità italiane del ruolo dei figli nel processo di scioglimento del matrimonio, ed anche le fragilità e criticità dei rapporti tra padri separati e figli rilevando che ,soprattutto in caso di affidamento esclusivo o prevalente alla madre, vi è una rarefazione o sospensione dei rapporti padre-figli. Tale comportamento sembra dipendere proprio dal minore coinvolgimento nei compiti di cura anche durante il matrimonio, dalla difficoltà di conciliazione dei nuovi tempi di vita del padre e di quelli dei figli, dall’assenza della figura di mediazione rappresentata dalla madre, dalla scelta di andare a vivere lontano dalla abitazione dei figli
Dalle indagini effettuate risulta, inoltre, che dopo la separazione un rilevante numero di figli non vive con il padre (nel 2003 erano 623.000), e che il rapporto a distanza comporta che il 17,1% dei padri separati vede i figli al massimo qualche volta all’anno.
Esiste tuttavia, un trend positivo confrontando i dati del 1998 e quelli più recenti (del 2003) in quanto diminuisce il numero dei padri separati che vedeva i figli al massimo qualche volta all’anno, ed aumenta il numero dei padri che li vede tutti i giorni o qualche volta alla settimana pur non convivendoci. Sta lentamente cambiando anche il modo di interpretare il ruolo di padre con riguardo in particolare ai valori della parità della coppia e dell’espressione affettiva.
L’esperienza professionale di psicologi, di psicoterapeuti della famiglia e di mediatori familiari conferma lo scenario della ripartizione dei ruoli all’interno della coppia genitoriale evidenziata nel
capitolo che precede. I padri separati, nella maggior parte dei casi, sono assenti per propria scelta dalla vita dei figli.
Conclusivamente, può dirsi che la bigenitorialità, intesa come diritto del figlio ad avere la presenza dei due genitori nella normalità della sua vita, prima e dopo la separazione, non appartiene ancora alla nostra cultura diffusa e che non si può diventare, solo per via giudiziaria, genitori che sanno collaborare nell’interesse dei figli.
Il giudice potrà promuovere, sollecitare o stimolare la capacità delle parti a cercare di distinguere la loro posizione di coppia separata da quella di genitori-uniti, ed adottare i provvedimenti che rendano possibile l’affidamento condiviso nonostante la conflittualità tra i coniugi, ma giammai potrà farlo a rischio che il figlio diventi la cavia sulla quale esercitare la capacità di diventare genitori (cd. affidamento terapeutico)
Allora è di tutta questa complessa e complicata vicenda di rapporti umani, di panorami culturali e di politiche economiche e sociali che si deve tenere conto quando, applicando la legge, decidiamo sulla sorte di quel che resta dei rapporti familiari tra genitori e figli minori ed anche tra minori e nonni e parenti in
Tuttavia, non credo che l’alternativa sia quella della previsione di norme sempre più dettagliate;non è pensabile che una meticolosa disciplina dei rapporti tra genitori separati e figli assicuri automaticamente una decisione giusta da parte del giudice.
Secondo una felice espressione di C. A. Jemolo, “La famiglia è un’isola che il mare del diritto può solo lambire ma non penetrare” e tanto più quel monito vale oggi, in una società in cui vi sono tanti tipi di famiglia. Occorrono giudici ed operatori del diritto preparati ed anche un po’speciali, che sappiano comprendere la delicatezza e complessità delle varie situazioni e realizzare un giusto compromesso tra il principio del riconoscimento della bigenitorialità (il cui fine non è l’uguaglianza di diritti e di doveri tra padri e madri ma l’interesse ed il benessere dei figli) ed il principio di equità garantendo che sarà assicurato il medesimo tenore di vita per le due parti della coppia e per i figli.
Non può neppure sottacersi che la separazione continua a creare fenomeni di asimmetriche vulnerabilità secondo il genere, per cui è necessario trovare un sistema di giusta ridistribuzione e di imputazione economica delle responsabilità paterne e materne rispetto ai figli co-affidati, e ciò per evitare che le decisioni siano rimesse al buon senso ed alla discrezionalità del singolo giudice.
Ed a tal fine potrebbe più utilmente soccorrere la elaborazione di criteri più certi di determinazione degli assegni di mantenimento (di applicazione tendenzialmente generalizzata) o meglio, la previsione per legge dei patti prematrimoniali.

Avv. Evi Fongaro

lunedì 26 marzo 2012

Ricomincio da me...


Sulla scia dell'atmosfera di rinnovamento portata dalla brezza primaverile voglio scrivere oggi della necessità, a volte,  di mettere un punto a qualcosa e ricominciare.
Punto e a capo.
Ho letto sulla prima pagina dell'ultimo libro di Baricco (Mr. Gwyn – vi avevo detto che era sul comodino in attesa e finalmente ieri, in una giornata di relax, me lo sono letto tutto d'un fiato) questa citazione: “Tout commence par une interruption” Paul Valèry.
È vero, spesso qualcosa comincia perché qualcos'altro si è interrotto.
La parola fine è un interruzione potente.
Se subita può essere sconcertante e travolgente.
Se agita può essere sofferta e liberatoria al tempo stesso.
In ogni caso ci obbliga a riprogrammare moltissimi aspetti della nostra vita.
La parola fine porta con sé i germogli di una trasformazione.
Possiamo decidere se piantarli in una terra fertile o lasciarli inaridire sul cemento, ma in ogni caso non saremo più quelle di prima.
La parola fine porta nel suo bagaglio anche la parola coraggio: di vedere con occhi diversi una situazione che ci pareva idilliaca, di ascoltare voci che ci contraddicevano, di vivere fino in fondo un dolore per poi rinascere a nuova vita.
I punti e a capo della vita possono essere di diverse fogge e pesi.
Ci sono quelli difficili e strazianti, ma possono essercene anche di più leggeri e benefici.
Ponetevi una domanda: c'è qualcosa nella vostra vita quotidiana che necessità di un cambiamento? Una cosa che ha fatto il suo tempo, tipo un'abitudine, un modo di essere, un modo di vestire, una stanza da rimodernare, un'amicizia da rivalutare...
Una volta che avete trovato la risposta, provate a riflettere su che cosa vi trasmette questa realtà, quali influenze positive ha sulla vostra vita e quali invece negative... oppure semplicemente prendete atto che non ha nessun peso.
Chiedetevi se potreste farne a meno.
Attente alla improvvisa e incontrollabile tendenza a mantenere lo status quo (altrimenti detta “paura” ;-) ) che vi porta a trovare mille scuse per giustificarne la permanenza.
Cominciate a immaginare come potreste riempire quello spazio energetico adesso occupato in quella vecchia maniera: come altro potreste comportarvi? Come potreste diversamente vestirvi? Quali colori potreste usare per migliorare l'abitabilità di quella stanza? Cosa desiderereste dal rapporto con quell'amica/o?
Provate a dare vita a queste idee nella vostra mente creativa e sentite come vi farebbe stare questo nuovo modo di essere. Se così facendo vi nasce un sorriso spontaneo, vi sentite più cariche e sopraggiungono nuovi dettagli e desideri... ecco che avete toccato con mano il momento giusto.
È il momento per potare rami secchi e dar spazio al nuovo che preme per essere coltivato e nutrito.
Nel caso siate state obbligate a riorganizzarvi la vita, vostro malgrado, ricordate che neppure le piante sono felici quando qualcuno arriva con le cesoie: non sanno che da lì a poco, potranno fiorire più e meglio di prima.
Essere recise è una violenza, ma rinascere, dopo lo shock iniziale, diventa poi una scelta.   
Ricordate che potete ricominciare da voi, ogni giorno, in ogni dettaglio.
Decidere di mettere un punto, anche alla sofferenza.

Buona settimana,
virginia

martedì 20 marzo 2012

è primavera...svegliatevi bambine!


Oggi è l'equinozio di Primavera.
Devo ammettere che aspetto sempre con gioia questo giorno dell'anno, la rappresentazione temporale dell'ennesima fine di un inverno e dell'arrivo di una stagione di risveglio, di sole, di piante fiorite e nuove energie.
Si esce da un torpore grigio e fumoso, che a volte opprime l'animo oltre che il corpo, e si entra pian piano in una nuova atmosfera fatta di luce e colori, che ritempra lo spirito e dona bellezza alle nostre giornate.
Nei miti eleusini, si festeggiava in questo giorno il ritorno della fanciulla Persefone (o Core) – figlia di Demetra, la dea delle messi – nel mondo di sopra, dopo che aveva passato i mesi invernali col marito Ade, nel regno di sotto (i romani spiegavano così il susseguirsi delle stagioni: era per il dolore della lontananza dalla figlia che Demetra privava la terra dei suoi frutti e tutto si seccava).
La figura di Core è stata approfondita poi dalla psicologia junghiana che ne ha fatta una simbologia archetipica che spiega la possibilità di crescere e trasformarsi. 
Il mito racconta che Ade la rapisce facendo aprire la terra sotto i suoi piedi mentre lei si china a raccogliere un narciso. La fanciulla prima della caduta, rappresenta un aspetto del femminile che è puro, ingenuo e adolescenziale, ma allo stesso tempo rappresenta la tensione verso un cambiamento, il desiderio inconscio di separarsi dalla madre per poter conoscere il mistero del rapporto col maschile.
Il regno dei Morti, di cui Persefone diventa regina, è un mondo oscuro e rappresenta la caduta in una dimensione di sofferenza che si manifesta fuori – nella natura che va in letargo – e dentro – nel congelarsi dei desideri e della vitalità. C'è da dire però, che è grazie a questo periodo di dolore che la giovane Persefone si fa donna ed è capace poi di tornare sulla superficie in maniera più consapevole, avendo conosciuto anche l'aspetto ombra che la abita.
Il mito di Core ci ricorda che non possiamo esimerci dal conoscere e confrontarsi con i diversi aspetti dell'esistenza: ci sono i momenti di luce ma anche quelli di oscurità, ed è grazie al loro ciclico divenire che possiamo crescere ed evolvere verso aspetti più maturi di sé.
A primavera tutto di noi può partecipare alle meraviglie della natura. Le vibrazioni di risveglio che sono nell'aria fanno sì che anche le emozioni si elettrizzino, la concentrazione si lasci trasportare in territori immaginifici e il corpo si senta euforico e leggero, con tanta voglia di evasione. Per alcune può invece essere più difficile prendere parte a tutto ciò, perché può essere che la nuova stagione riattivi un senso di maggior torpore e voglia di continuare a rintanarsi in casa. 
Qualsiasi sia la vostra reazione, bisogna sottolineare che, così come i bulbi, che abbelliscono le nostre case in questa stagione, hanno bisogno di un periodo di riposo e tenebra durante l'inverno per poter poi rinascere a nuova vita, anche i nostri animi possono trarre degli importanti vantaggi e insegnamenti dai periodi in cui ci sembra che nulla abbia senso, i giorni in cui ci pare di non poter più uscire a vedere un raggio di sole.
Come i coraggiosi bulbi possiamo concederci la possibilità di attendere che le cose cambino, accettando la sfida di riuscire, in una tiepida giornata di sole, a fendere la terra con un verde germoglio che al solo vederlo commuove e ricorda l'incanto della rinascita.
Che tu sia giacinto, narciso, giunchiglia o tulipano non disperare, fendi la terra umida e mostra al sole tutta la tua bellezza. È il tuo momento.

Buona primavera a tutte
virginia

ps. “azione terapeutica” per il mese di marzo:  comperate un solo bulbo o un cestino di bulbi non ancora in fiore... metteteli di fronte a una finestra assolata, prendetevene cura e godetevi il miracolo della loro (e, metaforicamente, della vostra) fioritura.  :-)  


lunedì 19 marzo 2012

Dal cuore alla mente

Nel mio lavoro devo fare costantemente i conti con la sofferenza che mi portano i miei pazienti psichiatrici. La qualità di vita dei malati mentali è condizionata non solo dalla malattia e dalla invalidità che essa provoca, ma anche dalle relazioni delle altre persone: attraverso il pregiudizio sociale, le cause e le colpe, il rifiuto e la diffamazione.  E in aggiunta a ciò, spesso loro sentono di stare bene e accusano il sistema di essere responsabile della loro condizione.. Quando è una parte del corpo a dover essere curata è giusto che il paziente stia a letto, che i medici lo visitino, facendo delle analisi per trovare la natura del male. Ma quando la sofferenza è più profonda e tocca la mente, allora il campo diventa più difficile e non si può semplicemente considerare i disturbi psichici esclusivamente come disturbi del cervello. Anche la linea che separa il benessere dalla malattia mentale non è poi così' ben marcata. Cercando una definizione da manuale si trova indicato:
 benessere mentale: è la condizione in cui si vive quando esiste un buon livello di soddisfazione dei bisogni, insieme a una soddisfacente qualità della vita: equilibrio, serenità, tranquillità, accettazione del proprio stato individuale e sociale, ma allo stesso tempo curiosità e spirito di iniziativa contraddistinguono tale condizione.
disagio mentale: è la condizione in cui si vive quando si avverte uno stato di sofferenza, connesso a difficoltà di varia natura (negli affetti, nel lavoro ecc.), che comunque si presentano nella vita. Tensione, frustrazione, aggressività o tristezza caratterizzano questa condizione, senza tuttavia che si instauri alcun sintomo specifico. È bene tenere presente che, insieme alla condizione di benessere, una quota di disagio è parte integrante di ogni esistenza;
Spesso la malattia mentale è un rifugio che si trova per riuscire a sopravvivere in una condizione troppo dura e crudele da essere accettata. Il delirio, le allucinazioni diventano compagni di strada che allontanano dalla vita reale e introducono in una realtà parallela a cui fare riferimento per allontanare i sentimenti di colpa, di vergogna, di vuoto, che la vita ha riservato.
In questi giorni si è festeggiata la festa della donna e voglio portare come esempio quello di una donna perchè credo che come lei purtroppo ce ne siano molte, anzi troppe.
Dolores (nome fittizio) è donna di mezza età quando arriva in struttura. Da giovanissima si è sposata con un uomo che l'ha accolta nella sua fragilità e che poi ha fatto di lei non soltanto la mamma dei suoi figli ma anche oggetto di scambio e di baratto Quanta sofferenza in lei nel vedersi tradita in un progetto d'amore e di famiglia; quanta la paura e la vergogna per quanto doveva subire; quanta l'omertà nel dover proteggere il suo uomo, prima, e il figlio, poi. Per non parlare della persecuzione nell'essere costantemente controllata e pedinata dalle forze dell'ordine. Questa donna passava l'intera giornata a negare ogni cosa che diceva, a chiedere se aveva parlato correttamente o se aveva offeso qualcuno e ogni qualvolta nominava un familiare o un conoscente si sincerava nel fargli anche un complimento. E così tra una negazione e un pianto lei proteggeva e custodiva gelosamente segreti e dolori, ingiustizie e violenze. Come può una donna come questa non trasformare la sofferenza e il dolore in malattia? Una malattia carica di sofferenza e di negazione che ha come unico obiettivo quello di salvare quell'immagine idealizzata di quel giovane uomo che le aveva fatto credere di essere l'unica donna per lui. E il destino di Dolores è il destino di molte altre donne, che una volta che rimangono sole o che trovano qualcuno che le allontana da quell'ambiente vengono inserite in comunità e da quel momento i più si dimenticano della loro esistenza o fanno qualche telefonata di cortesia nelle feste comandate.
Spero che di queste donne ce ne possano essere sempre meno, fiduciosa che le cose possano cambiare per molte
con affetto 
erika

mercoledì 7 marzo 2012

La creatività è donna

Frida Khalo

Questo è un titolo un po' provocatorio, lo so, ma non ho resistito, visto che domani è la festa della donna e volevo rendere omaggio allo spirito creatore che ci abita e ci porta a far meraviglie nella vita di ogni giorno.
Si pensa sempre che essere creative voglia dire coltivare una qualsiasi passione artistica, avere un piccolo o grande talento per la pittura, la scrittura, la musica o le arti in genere... questa è sicuramente una parte del fenomeno creativo, ma non la sola.
A mio avviso, la creatività è una qualità evolutiva.
Da una parte perché, nel suo farsi opera, ci eleva materialmente da occupazioni concrete verso una spiritualità del sentire, che viene mediata dall'oggetto a cui si dà vita o di cui si gode la presenza.
Dall'altra parte è evolutiva perché, trovando un canale di espressione, l'energia che si sprigiona ci trasforma.
Siamo sempre restie ad ammettere di possedere la magia creativa, legate come siamo alla opinione di dover avere un talento innato per potersi meritare tale onore riconosciuto.
In realtà per le donne, un pizzico di attitudine alla creatività è insito nei geni. Mi spiego meglio: diversamente dagli uomini, che come mezzo prevalente di interpretazione del mondo sono soliti usare il cervello sinistro – adibito alle facoltà logiche, razionali, le abilità di calcolo e linguistiche – le donne invece usano come mezzo privilegiato di accesso al mondo il cervello destro – adibito alle facoltà sintetiche, le intuizioni, il pensiero divergente, l'introspezione e l'immaginazione.
Questa diversità può essere accentuata dal fatto che il cervello femminile ha molte più aree specializzate (in rapporto di 14:4 con quello degli uomini) nel riconoscimento del linguaggio non verbale dell'altro, per cui questo ci facilita nella comprensione e nell'empatia. Penserete: cosa c'entra questo con la creatività?
È un primo punto importante, perché essere empatico significa saper vedere le cose da un punto di vista diverso dal proprio, dunque uno dei pilastri del processo creativo, che consta in primo luogo nel riuscire a dare una interpretazione alternativa di qualcosa o di una situazione.
Pensiamo a un problema che sembra non avere soluzioni: il pensiero divergente e la capacità di vedere le cose da diversi punti di vista possono permettere di superare l'impasse perché si trova una soluzione che esula dai postulati di partenza perché li trascende, senza però perdere di vista l'obiettivo iniziale.
Inoltre, come afferma una donna che di questo argomento ne ha fatto la sua ragione di vita, Annamaria Testa,  la creatività è un processo molto intenso e deciso, che vuol spezzare le regole ma non semplicemente trasgredendole, ovvero creando un ordine superiore, migliore di quello che c'era prima. Si tratta di trovare il coraggio di rompere un equilibrio per trovarne uno nuovo, diverso.
E sulla capacità straordinaria delle donne in questo senso vi posso testimoniare ogni giorno, ricordandomi di frammenti di parole, di desideri e racconti delle molte donne che accompagno nel loro cammino, donne in fermento, che vogliono conoscere, crescere... e diventano un potente elemento trascinatore, di cambiamento per sé e per chi sta loro vicino.
Come affermava Rollo May, essere creativi infondo significa costruirsi una vita autentica, che segua la propria unicità, quindi costruire fuori da sé qualcosa che appaghi e soddisfi, perché eleva da certi automatismi e ci avvicina a quello che vogliamo diventare.
Non è tanto importante il risultato fine a se stesso, ma fondamentale è il processo.
Questo è quello che dico quando, durante i laboratori, si scrive o si disegna accedendo a quelle capacità inconsce che bypassano la nostra mente razionale, troppe volte protagonista nel quotidiano. Non importa essere romanziere, né avere velleità di pittrici, ma occorre essere focalizzate su ciò che accade, testimoni attente dell'emergere di contenuti che altrimenti non vedrebbero la luce.
Nel passato, le donne che potevano essere creative erano quelle considerate un po' folli, alle quali molto era concesso perché comunque “punite” da una società che le metteva in qualche modo ai margini. Le altre, le madri, le mogli, le lavoratrici, restavano imbrigliate in un ordinario insieme di regole e doveri, obbedienti alle leggi apollinee che non prevedevano sgarri.
È invece Dioniso il dio della creatività: nella libertà di lasciarsi andare sta la creazione.
E lasciarsi andare significa anche smettere di dire “non sono capace” “non ci riesco” “non l'ho mai fatto” “non mi piace quello che è venuto fuori”... di qualsiasi cosa si tratti.
Le donne creano ogni giorno, spesso inconsapevolmente: quando si riesce a far miracoli col frigo mezzo vuoto, quando si inventa un gioco per il proprio bambino o si capisce intuitivamente il motivo per cui piange, quando si trovano le parole giuste per rincuorare un'amica in difficoltà, o ogni volta che risolviamo un problemaccio sul lavoro oppure quando un lavoro ce lo inventiamo o reinventiamo per necessità...
E' dal conflitto fra gli opposti che nascono le opere più belle, perché – come diceva Virginia Woolf – nella mente dell'artista, si deve consumare il “matrimonio dei contrari”.
Cosa succede quando creiamo qualcosa? Avviene una pausa di tensione, una magica attesa che plasma la materia, uno sforzo consapevole o un atto di getto, e si esce dallo stallo: è un attimo che va colto nell'immediato dandogli una forma.
Questo vale per tutti i processi creativi, perché spesso, tutto è preceduto da un conflitto, uno scontro interiore fra energie diverse che premono.
Come in ogni incontro umano, si tratta di far incontrare e conciliare aspetti diversi, obiettivi e necessità differenti...è un lavoro di confronto, espressione, revisione, abbellimento, limatura continuo...ma all'improvviso poi, quando meno te l'aspetti, avviene il miracolo: vi ricorda qualcosa? 
Questo per concludere che, si, la creatività è donna, ma, dopo aver lasciato emergere le nostre bellezze, è anche nell'incontro con il nostro uomo che può avvenire la nostra opera d'arte più intensa e appagante. Il cervello destro non può funzionare senza il sinistro e viceversa.

 virginia

PS. Siamo Donne tutti i giorni, non solo domani. Ricordiamo sempre di onorarci. :-)

PS2. A proposito di creatività al femminile...vi suggerisco questo sito delizioso ricco di spunti semplici da fare o comunque una meraviglia per gli occhi che guardano.. è in inglese e lo trovate qui