domenica 2 ottobre 2011

La Sindrome di Wendy


Metropolitana di Madrid. Sono seduta su una panchina in attesa del prossimo treno che arriverà a minuti, seduta vicino a me una signora, che all'improvviso si volta, mi fa un sorriso e mi porge una sottile rivista intitolata “Familia Unida” chiedendomi se mi va di leggere qualche articolo di questo gruppo religioso... un po' scettica ringrazio e le dico, in italiano, che non parlo né leggo in spagnolo, ma lei non desiste e tranquillamente mi dice che in realtà se voglio posso capire, che infondo le due lingue sono molto simili (fra me penso che ha ragione lei, perché fino ad adesso ha parlato nella sua e io ho capito quasi tutto...) così la ringrazio e comincio a sfogliare quelle pagine.
Subito mi cade l'occhio sulla seconda pagina, che tratta di “Psicologìa” (curioso, no?!) con un titolo che cattura subito la mia attenzione: ¿Eres Wendy?
In queste righe si parla della cosiddetta Sindrome di Wendy, la bambina che Peter Pan riesce a portare nell'Isola che non c'è, per cercare di sottrarla all'inevitabile processo di crescita che prima o poi tutti i bambini intraprendono... tutti tranne uno, Peter Pan appunto.
Non conoscevo l'esistenza di questa “sindrome”, certamente meno conosciuta rispetto alla più inflazionata nata dal personaggio maschile del romanzo di James Matthew Barrie.
L'autrice dell'articolo (che con caparbietà son riuscita a decifrare), individuava fra gli aspetti di questo insieme di comportamenti tipici – che, afferma, colpisce più donne che uomini – la tendenza ad essere eccessivamente protettivi e soddisfare il prossimo, perché realizzare i bisogni altrui fa parte della loro più alta soddisfazione. Il risultato è di essere dipendenti dalle vite altrui, perché si sentono responsabili del benessere di chi gli sta vicino, ma soprattutto tutto ciò nasconde la necessità di essere indispensabili, riconosciuti e accettati per quel che si fa e non per ciò che si è. Questa attitudine al maternage si esplica poi a 360°, perché la persona che ne è colpita, tende a riproporla in tutte le relazioni significative: amicizie, rapporti di coppia, lavoro, ma anche genitorialità protratta all'estremo, che impedisce ai figli di essere autonomi anche se hanno quarant'anni!
Così mi è venuto in mente la scena del film Disney, dove la piccola donnina Wendy, nel vedere per la prima volta Peter Pan, esclama: “ho tenuto in serbo la tua ombra, spero non si sia sgualcita” e poi “non puoi attaccarla col sapone, va cucita, lo faccio io, è un lavoro da donna...” accingendosi ad eseguire il compito in maniera impeccabile.


Mi ha fatto anche pensare a tutte quelle donne di cui ho ascoltato le storie, che hanno trascorso le loro vite a cercare di convincere i loro mariti/compagni/fidanzati – Peter Pan, che era l'ora di crescere, accanite sostenitrici della responsabilità, del senso di realtà e di quello del dovere.
Inutile dire che spesso è risultata una battaglia persa...e che alcune hanno poi deciso di affrontare la vita adulta da sole, prendendosi la responsabilità della propria esistenza, invece che quella dell'eterno bambino che le aveva accompagnate per una parte del viaggio.
Da domani dovrò crescere... “ dice Wendy e Peter risponde: “vuol dire che non racconterai più fiabe?” incontrando la sua espressione scoraggiata.
Quali sono le fiabe che Peter ama ascoltare? Quelle dove lui è il protagonista.
Questo ci dice molto del bisogno dell'uomo-bambino. Essere il protagonista assoluto della scena, magari all'interno di un'immagine idilliaca dove tutti i problemi sono annullati e la sua autostima non è minata da pericoli.
Se c'è Wendy a far da madre, il partner può comportarsi da figlio, farsi raccontare storie e indurre comportamenti di accudimento e protezione, senza bisogno di crescere.
Barrie però, la cui versione originaria del romanzo portava il nome di “Peter e Wendy” quasi a identificare nei due personaggi i tratti tipici, ci dice anche che:
tutti i bambini, tranne uno, crescono. Vengono presto a sapere che cresceranno, e il modo in cui Wendy lo seppe fu il seguente. Un giorno all'età di due anni, mentre stava giocando in giardino, raccolse un fiore e corse da sua madre. Immagino che avesse un aspetto incantevole, poiché la signora Darling si portò una mano al cuore e gridò: “Oh, potessi rimanere così per sempre!”. Nessuno tornò più sull'argomento ma da quel giorno Wendy seppe che doveva crescere. Si viene a sapere sempre tutto, dopo aver raggiunto i due anni. I due anni sono l'inizio della fine.” (Da "Peter e Wendy" pag.1)
In questo incipit di romanzo, Barrie ci dice una grande verità sulle donne che si comportano come Wendy: sono state bambine cresciute troppo in fretta, alle quali sono state deferite responsabilità non loro e che magari – proprio come la piccola protagonista – hanno vissuto la loro infanzia nell'attesa di quell'affetto mai ricevuto a pieno, perché rimasto sulla bocca “dolce e beffarda” della madre “che portava su di sé un bacio che Wendy non riuscì mai ad afferrare, benché fosse lì, perfettamente visibile sull'angolo destro”.
Può essere quindi plausibile che successivamente si dedichino ai bisogni altrui, proiettando all'esterno ciò che a loro è mancato profondamente.
Rimanere bambine, per loro significa rimanere nella mancanza e nella responsabilità di cose più grandi di loro, quando invece l'esser bambino è sinonimo di libertà, affidamento a qualcuno che si occupa di te, appagamento di bisogni.
Da adulte, sembrano rifiutare la loro parte bisognosa e ripropongono ciò che in realtà hanno sempre fatto: prendersi cura di qualcuno che è incapace di farlo, ma allo stesso tempo cercare di convincerlo a crescere, per non avere tutto il carico sulle proprie spalle.
Il processo di crescita vera, l'affrancamento da questa “Sindrome”, comincia quando la donna-bambina impara in primo luogo a prendersi cura di se stessa, accettando che ciascuno ha la responsabilità della propria vita, elaborando il dolore per ciò che è mancato e abbandonando Peter Pan sulla sua isola, scegliendo volontariamente (e non più suo malgrado) di crescere, andare avanti e occuparsi con amore dei suoi bambini, raccontando loro storie e permettendogli di vivere pienamente e serenamente la loro infanzia, per poi renderli autonomi e indipendenti al momento opportuno.

Ringrazio la sincronicità dell'incontro con la signora della metropolitana, che mi ha permesso di scoprire una cosa nuova e riflettere su un tema così intenso.
Buona settimana a tutte!
virginia

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Argomento interessante, grazie. Mi identifico molto con la piccola Wendy, purtroppo..

Giogio ha detto...

La mia compagna era così con me.sono nati due figli e a preso possesso di loro e sta distruggendo la famiglia.nella sua vita aveva avuto altre esperienze simili.la voglio bene comunque

Giogio ha detto...

Le wendy sono delle persone stupende.ma senza supporto di qualcuno consapevole del problema distruggono la propria e l'altrui vita di chi le circonda