martedì 7 febbraio 2012

Donne e lavoro: la sfida possibile?



Care amiche,
venerdì sono stata invitata a Lonigo (Vi)  per intervenire ad una conferenza della Commissione Pari Opportunità sul tema “Diritti tra uomo e donna  nel mercato del lavoro, nella legislazione italiana ed europea, con particolare riferimento alla tutela della maternità e paternità”.
Mi sono chiesta , analizzando la legislazione italiana a confronto con quella europea, cosa frena la donna italiana nel lavoro, essendo la nostra legislazione molto protettiva per le madri, rispetto a quella di altri paesi europei.
Perché, care amiche, dopo  la maternità ci fermiamo in un buon 40% e non lavoriamo più ?
Le risposte date dal CNEL mi convincono a metà.
Vi lancio quindi due riflessioni che hanno in sé la provocazione..
Quale nostro bisogno soddisfa la maternità tanto da far sì che si abbandoni il lavoro?
Quale   archetipo femminile inseguiamo quando svolgiamo la funzione di cura ?
Vi lascio con una frase di Giovanni Paolo I che nell’Angelus del 10 settembre 1978 pronunciò una frase che rimase famosa  Noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile : è papà , più ancora è madre” ..
Con affetto
Evi 

PS. Vi metto qui di seguito uno stralcio tratto dai Dati della ricerca Isfol Roberta Pistagni, Perchè non lavori. I risultati di una indagine Isfol sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro, ISFOL, I libri FSE, 2010
"Il fenomeno dell’inattività femminile in Italia è il risultato di una complessa serie di fattori, legati al profilo del tessuto produttivo, al sistema di welfare del nostro paese, ai modelli culturali ancora prevalenti in molte parti del territorio. Le chiavi di lettura applicate sono di tipo economico, sociologico, psicosociale e e antropologico.
Un primo dato rilevante riguarda la scelta della condizione occupazionale: la stragrande maggioranza delle donne occupate (97,8 %) dichiara di aver scelto la propria condizione, mentre una quota elevata (35,2 %) di donne inattive manifesta il carattere involontario delle propria situazione
occupazionale.Il 21 % delle donne inattive non ha mai cercato un lavoro in passato,tuttavia la maggioranza delle donne che attualmente non cercano lavoro sarebbero disposte a lavorare (84,5 %). Cosa contribuisce a determinare la bassa partecipazione femminile al lavoro ? Alcuni elementi provengono dall’analisi delle motivazioni che hanno spinto le ex-lavoratrici a lasciare il lavoro in maniera definitiva. Tra le motivazioni principali vi sono quelle legate a fattori familiari: il 40,8% delle ex lavoratrici dichiara di aver interrotto l’attività lavorativa per prendersi cura dei figli e circa il 5,6% per dedicarsi totalmente alla famiglia o ad accudire persone non autosufficienti. Vi è tuttavia una buona parte delle ex lavoratrici che dichiara di aver dovuto terminare l’attività lavorativa per cause non volontarie: oltre il 17% segnala la scadenza di un contratto a termine o stagionale, il 15,8% il licenziamento o la chiusura dell’azienda. Tali fattori introducono due ordini di problemi:la conciliazione lavoro-famiglia e il più elevato livello di flessibilità della donne occupate.
Il primo tema è legato, in estrema sintesi, alla divisione del lavoro domestico all’interno della famiglia e al profilo del sistema di welfare italiano, caratterizzato da una scarsa incidenza di servizi alle famiglie e, in generale, poco incline alla conciliazione vita-lavoro delle donne. Lo studio condotto dall’Isfol rivela che, contestualmente agli episodi di maternità, la propensione degli uomini all’occupazione aumenta, mentre quella delle donne diminuisce drasticamente. Il tasso di attività maschile passa dall’85,6 % al 97,7 % dopo la nascita di un figlio, mentre quello femminile passa bruscamente dal 63 % al 50,3 %. Oggi la maternità è, più che in passato, un evento pianificato: i dati suggeriscono l’esistenza di un meccanismo decisionale all’interno delle famiglie che prevede di programmare la nascita di un figlio quando l’uomo raggiunge una posizione lavorativa e reddituale stabile.
Va rilevato che in presenza di un figlio piccolo anche il tasso di disoccupazione femminile cala bruscamente dal 9,1 % al 3,8 %, ad indicare che una quota rilevante di neo-mamme non ha neppure intenzione di cercare un lavoro.
La spiccata asimmetria della ripartizione dei carichi di lavoro domestico è evidente dai dati dell’indagine Isfol relativi ai tempi di lavoro: la giornata media lavorativa degli occupati con almeno un figlio, tenendo conto del lavoro retribuito, del lavoro familiare e degli spostamenti da casa al lavoro, è di circa 15 ore. In generale la giornata lavorativa femminile,rispetto a quella maschile, è più lunga di 45 minuti
L’origine di molti dei fenomeni osservati è di natura culturale, nel senso che le scelte decisionali prese in età adulta appaiono strettamente correlate al modello culturale in cui si è cresciuti, a quello della società cui si appartiene e al processo di elaborazione personale di tali modelli che porta, nel processo di crescita, alla costruzione di un modello individuale imitativo o oppositivo.
Tali modelli agiscono sia direttamente,producendo nelle donne la scelta di non lavorare, sia indirettamente, imponendo schemi di divisione del lavoro familiare dove la funzione di produzione del reddito è principalmente o esclusivamente appannaggio dell’uomo
Dall’indagine Isfol risulta che tali modelli vanno progressivamente scomparendo nel nostro paese, dal momento che le nuove generazioni, sia maschili che femminili, maggiormente scolarizzate, si mostrano più inclini ad una presenza delle donne nel mercato del lavoro e ad una divisione dei carichi familiari più bilanciata. Segnali di convergenza nei comportamenti di cura dei figli tra uomini e donne si osservano tra le nuove generazioni: nelle risposte dei giovani padri e delle giovani madri non si evidenziano infatti grandi differenze nella ripartizione dei carichi di lavoro sia per quanto riguarda la cura dei figli che la cura dei parenti. Rimane tuttavia elevata la differenza nei tempi dedicati al lavoro domestico.
L’indagine rivela tuttavia che i modelli culturali che prevedono per le donne la sola o prevalente funzione di auto domestico hanno una forte correlazione intergenerazionale: la propensione attuale delle donne all’occupazione è fortemente legata alla condizione occupazionale della madre,elemento che dimostra l’impatto elevato della dimensione culturale. Il livello di istruzione determina una quota non indifferente di inattività dovuta a trasmissione intergenerazionale di modelli culturali in qualche avversi al lavoro delle donne: l’83,4 % delle donne intervistate, la cui
madre aveva un basso livello di istruzione, dichiarano che durante l’infanzia i suoi genitori prospettavano un futuro da lavoratrice, contro il 99,2 % delle donne la cui madre aveva un livello di istruzione elevato.
Vi sono poi aspetti legati al funzionamento del mercato del lavoro sia in merito alla più elevata incidenza tra le donne di forme di lavoro flessibile, sia riguardo una differenza sistematica tra le retribuzioni. Per le donne che potenzialmente potrebbero entrare nel mercato del lavoro, specie per
le meno istruite, il reddito atteso è inferiore o poco superiore ai costi di sostituzione del lavoro domestico, elemento che provoca un disincentivo netto alla partecipazione. Tale scenario è aggravato dalla scarsa presenza di servizi alle famiglie, cui s’è accennato, che impone alle donne di provvedere al lavoro domestico e alle attività di cura a figli e parenti anziani L’analisi ha evidenziato due gruppi di inattive: da un lato le donne maggiormente istruite sarebbero disposte a lavorare ad un salario inferiore a quello offerto dal mercato; in tal caso l’inattività è spiegata con frizioni dovute al cattivo incontro tra domanda e offerta di lavoro. Un secondo gruppo di donne inattive, caratterizzate da bassa scolarità, dichiarano un salario al quale sarebbero disposte a lavorare superiore a quello offerto sul mercato; tale segmento di inattive, che rappresenta la maggioranza, è più complesso da recuperare.
Le donne indicano la strada da percorrere per favorire la partecipazione femminile al mercato del lavoro insistendo sui fattori legati ai servizi alle famiglie, ai tempi di lavoro flessibili e ad un riassetto degli squilibri nella divisione del lavoro familiare.

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