martedì 8 agosto 2017

Sulla coppia e altre riflessioni esistenziali




Nella stanza di terapia si parla spesso e inevitabilmente della vita di coppia.
Mentre all'inizio della mia professione mi trovavo a simpatizzare con posizioni donchisciottesche che miravano al senso di giustizia assoluto, col tempo che passa e grazie alle storie di vita alle quali mi è concesso partecipare, mi rendo sempre più conto di quanto sia necessario relativizzare e contestualizzare certe scelte.
Lavorando da anni con donne in situazione di dipendenza affettiva, se non addirittura vittime di violenza, la reazione più sana e immediata sarebbe quella di dire “scappa da lì!” ma negli anni ho dovuto invece fare i conti con i tempi interiori delle persone.
Io ci sono, facciamo un percorso insieme, ma quello che per qualcuna può essere una scelta possibile e immediata, per altri può rappresentare l'obiettivo finale di un percorso lungo e accidentato, con tappe intermedie, decisioni provvisorie e ricadute ma altrettanto importanti se viste da un punto di vista di insieme.
Ed è proprio da questa prospettiva globale che a volte dobbiamo guardare alle cose in terapia, ovvero riuscire a osservare certi eventi sia dall'interno che dall'esterno, ma in maniera obiettiva, fuori dal giudizio.
Mi riferisco anche a errori, tradimenti, bugie e tutto ciò che nel senso comune viene visto con sospetto.
Avere una visione adulta della vita a due significa proprio uscire dall'idillio del sogno infantile della coppia perfetta e del “vissero felici e contenti” e riuscire ad affrontare insieme tutte le fasi che lo stare insieme comporta, ammettendo prima in se stessi e poi accettandolo nell'altro, che non è tutto facile come vediamo nei film dell'adolescenza.

Negli ultimi mesi, nonostante i miei buoni propositi di inizio anno non ce l'ho fatta a dedicarmi alla scrittura come avrei voluto (almeno qui sul blog, perché in realtà ho scritto altro, ma ancora è un progetto in divenire ;) ) però nel frattempo non ho smesso di leggere e oggi voglio condividere alcune riflessioni a partire da un libro che ha avuto molto successo lo scorso inverno negli Stati Uniti.
Si tratta di “Fato e Furia” di Lauren Groff.



È un romanzo che parla della vita di una coppia, da quando si è formata fino alla fine.
E allo stesso tempo racconta della vita di ciascun membro di questa coppia.
Nella prima metà del libro assistiamo agli eventi secondo il punto di vista di lui, ne conosciamo i dettagli della storia personale, dalla famiglia di origine, l'infanzia e l'adolescenza, i traumi e le coincidenze che lo hanno portato a conoscere lei e la loro vita insieme.
Conosciamo anche lei, ma dal punto di vista di lui.
Mentre nella seconda parte la situazione si capovolge, le origini e l'infanzia di lei, l'adolescenza fino all'incontro con lui e la loro vita insieme.
Conosciamo anche lui, ma visto da lei.
Nella trama della loro storia ci imbattiamo in difficoltà, scelte (o non scelte), episodi significativi che cambiano l'esistenza di entrambi, e a seconda di chi lo racconta, ci si trova a provare sentimenti ambivalenti o addirittura opposti.
Quello che nella prima parte ci aveva commosso, nella seconda può farci infuriare e viceversa. Quello che a prima vista sembrava un sacrificio mosso dall'amore, può risultare una necessità dettata dalla sopravvivenza. Ciò che ha permesso all'uno di diventare se stesso cela segreti inconfessabili dell'altro.
In questo libro sono esposti gli innumerevoli e contrastanti vissuti dell'animo umano anche da un punto di vista super partes, con dei superbi incisi fra parentesi che ricalcano le voci del coro della tragedia greca.

Ho trovato questa storia l'esempio calzante per esprimere ciò che vi ho scritto in apertura.
Chi decide alla fine di una vita ciò che è giusto o sbagliato? Ma soprattutto giusto o sbagliato per chi?
Se ci soffermiamo sui se e i ma, facciamo davvero il nostro bene?
Esiste un bene di quella coppia, di quella famiglia, di ogni singola persona che la compone, e chi decide quale deve prevalere o meno?
Non esistono risposte univoche a queste domande, che sono esistenziali, sondano significati profondi ma ci possono insegnare a “planare sulle cose dall'alto, senza macigni sul cuore” come suggeriva Italo Calvino nelle sue “Lezioni Americane” (1988).
Infondo, anche la terapia – come la letteratura – non consiste in quest'opera continua di “sottrazione di peso” provando a raggiungere quella che lui definisce una leggerezza pensosa? (ibidem, pag. 14)

Nei mesi scorsi ho visto anche un film, molto intenso e controverso: 45 anni (2015) con l'impareggiabile Charlotte Rampling (qui il trailer)




Anche qui una coppia a pochi giorni dal loro quarantacinquesimo anniversario di matrimonio. In questa atmosfera di rassicurante quotidianità, arriva una lettera dal passato del marito a sconvolgere gli animi e tutto è improvvisamente rimesso in discussione.



Di nuovo – guardando il film – sentivo impellente la necessità di aprire gli orizzonti.
Se ci si sofferma solo sul dettaglio, si rischia di perdere di vista il valore dell'insieme.
E quando l'insieme è una vita intera, è un rischio molto grande.
Ma soprattutto non dobbiamo perdere di vista che dentro ogni noi ci sono due io, che non perdono valore se il noi si sfalda. Noi esistiamo e abbiamo significato a prescindere dallo sguardo dell'altro che ci riconosce (che sia il genitore prima, gli amici dopo e il compagno/a poi).
La vita è fatta di molte sfaccettature e ognuno fa del proprio meglio per attraversarla.
Sarà difficile, anche doloroso e insopportabile, ma se c'è una cosa che sento profondamente giusta è il fare di tutto per provare a vivere e non sopravvivere.
Ognuno a suo modo. Ognuno come può.

« Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera. »
(S. Quasimodo, 1930)

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