lunedì 31 marzo 2014

Non è facile essere una donna



La scorsa settimana abbiamo visto insieme quali possono essere alcuni temi con cui gli uomini si accompagnano sul divano del terapeuta (se lo hai perso lo trovi qui).
Questo lunedì proviamo a dare voce alle donne invece...

Non è facile essere una donna quando in questo paese devi lavorare di più per guadagnare di meno.
Non è facile essere una donna quando troppo spesso devi scegliere: o mamma o lavoratrice.
Non è facile essere una donna quando anche tuo marito ti ha imposto una scelta: o la famiglia o il lavoro (e il sottotitolo alla seconda opzione era: in tal caso quella è la porta).
Non è facile essere una donna quando sedicenti teorie raccontano che parli troppo e vuoi sempre avere ragione. E così nell'immaginario maschile sei qualcuno che è necessario sopportare senza ascoltare, per sopravvivere.
Non è facile essere una donna quando ci sono uomini che feriscono, umiliano, stuprano, prevaricano. E tu ne sei stata vittima.
Soprattutto non è facile essere una donna quando quelle violenze le hai subite da bambina e quelle mani hanno violato in maniera indelebile la tua innocenza.
Non è facile essere una donna quando alcuni ti odiano solo perché lo sei: perché qualcuno prima li ha feriti, traditi, usati. Ma quella non sei tu.
Non è facile essere una donna quando tuo marito non ti desidera più, quando ti tradisce e pensa che non te ne accorgi.
O quando ti sbatte in faccia che c'è un'altra perché tu lo hai trascurato diventando solo una mamma. (E tu lo hai “trascurato” perché pensavi che occuparti dei bambini fosse il tuo ruolo).
Non è facile essere una donna quando tradisci e sai che stai sbagliando, ma lo fai lo stesso.
Non è facile essere una donna quando i ruoli cambiano così velocemente e ci si aspetta da te tutto e il contrario di tutto: pensi di dover fare la moglie e ti ritrovi a fare l'uomo di casa.
Non è facile essere una donna quando ci sei sempre stata, nel bene e nel male, ma questo non è bastato per far funzionare le cose.
Non è facile essere una donna quando vorresti un abbraccio, una carezza, un po' d'amore e quando lo chiedi ti viene detto che sei troppo appiccicosa o non è il momento o semplicemente “non mi va”.
Quando non trovi le parole per esprimere il tuo disappunto perché tua madre ti ha detto che le donne sono educate e non gridano, accettano, non chiedono e che infondo gli uomini “sono fatti così”.
Non è facile essere una donna quando il tuo desiderio, la passione, la complicità che cerchi viene travisata: quando la tua sessualità cresce e si evolve e il tuo uomo ti guarda con sospetto, e leggi nel suo sguardo un giudizio che condanna.
Non è facile essere una donna quando hai letto negli occhi di tuo padre il rifiuto perché voleva un maschietto, oppure l'avversione e il rancore, perché appartenevi a quel genere incomprensibile ai suoi occhi, pieno di paure e depressioni, come tua madre.
Non è facile essere una donna quando una mamma non ce l'hai mai avuta, e quell'assenza non riesci a colmarla, così ti senti sbagliata, in difetto, e cerchi per tutta la vita di rimediare a un errore non tuo.
Non è facile essere una donna se la tua femminilità si esprime diversamente da quella imposta dagli stereotipi, se non ti piacciono le scarpe e i vestiti, se vuoi fare carriera, se non vuoi essere madre o se vuoi essere solo quello in una società controcorrente, se ami gli sport avventurosi, se non sei gentile e accondiscendente come tutti si aspettano...
Non è facile essere una donna quando il tuo ex fa di tutto per screditarti agli occhi dei tuoi figli, e una rabbia furiosa si impossessa di te.
Non è facile essere una donna se ti piacciono le donne, perché sai già che in molti non ti accetteranno.
Non è facile essere una donna se sei ancora una ragazza, se le aspettative degli altri ti schiacciano, se il mondo non è quello che immaginavi da bambina.
Non è facile essere una donna se ogni volta che provi rabbia la reprimi e la ricacci giù, perché non vuoi essere etichettata un'isterica, come succedeva a tua madre.
Non è facile essere una donna se hai paura. Se soffri. Se sei disperata. Se non ce la fai più. E non hai nessuno a cui dirlo.
Non è facile essere una donna se a volte sei fragile, vulnerabile, bisognosa.
Ma non è altrettanto facile essere una donna quando sei forte, perché vieni vista sfuggire al loro controllo, perché vuoi avere uno spazio, delle idee, realizzarti ed esistere secondo i tuoi bisogni.
Forse non è facile ammettere semplicemente che vuoi essere amata, così come sei.


Si, esattamente.
Le due versioni sono molto simili.
Perché le nostre vite, nonostante siano uniche e irripetibili, possono avere le stesse ferite, svelare traumi più vicini di quanto crediate.
Non è una questione di sesso.
È una questione di umanità.
Nella sofferenza siamo tutti ugualmente vulnerabili, indifesi.
Ma anche capaci di rinascere.
Donne e uomini più consapevoli.  

Buona settimana
virginia

giovedì 27 marzo 2014

parole per l'anima #13


Visto che lunedì abbiamo parlato dei sentimenti e i bisogni degli uomini (qui) (e lunedì prossimo non perdetevi quello sulle donne!), la nostra rubrica di parole per riflettere oggi non poteva che essere sulla coppia. 
L'aspettativa che l'altro cambi, porta con sé due trappole, a seconda che siate nella posizione del richiedente o del ricevente: lottare all'infinito con qualcosa che non avverrà mai - e per questo non essere mai felici, perché si sa, si finisce sempre per alzare la posta - e dall'altra parte il rischio di diventare ciò che l'altro vuole per essere in pace, evitare i conflitti, ma a quale prezzo per la propria autenticità? 












Buon week end 
virginia

(fonte immagini: Pinterest) 

lunedì 24 marzo 2014

Non è facile essere un uomo



Contrariamente a quanto potreste pensare, il mio divano ospita spesso anche uomini.
Per questo il mio lavoro è meraviglioso, mi permette di conoscere e condividere le emozioni, i pensieri, i vissuti delle persone da diversi punti di vista, di conoscere le sfumature di significato che in ogni persona virano in una vasta gamma di esperienze, mai uguali, sempre uniche, portatrici di interrogativi più che di risposte definitive.

Essendo una donna, poter entrare nel mondo interiore di un uomo, lo considero a maggior ragione un dono prezioso (ne avevo già parlato qui): si sa che non è facile per molti uomini esprimere se stessi a parole, mostrare quello che provano o dire apertamente quello che pensano, né tanto meno entrare in contatto con le loro ferite, con le ombre nascoste, con i propri limiti.
Per questo oggi ho deciso di provare a trasferire quello che a volte immagino come un dialogo immaginario, un monologo dove ogni uomo possa riconoscere un frammento di sé e farlo proprio, per ricominciare da un contatto col mondo femminile, con la propria donna o con tutte le donne, liberi di essere quello che sono, consapevoli delle loro paure, dei loro bisogni, per un incontro davvero possibile.

...Non è facile essere un uomo quando oggi le donne sanno fare tutto, e a volte meglio di te.
Non è facile essere un uomo quando le donne vogliono fare tutto, e non ti lasciano alcuno spazio, entrando in competizione in ogni campo.
Non è facile essere un uomo quando sedicenti teorie raccontano che hai un solo neurone e vieni da Marte. E hai già perso in partenza.
Non è facile essere un uomo quando ci sono uomini che feriscono, umiliano, stuprano, prevaricano. E tu ti senti impotente due volte: perché vorresti difendere chi ami e perché non capisci come arginare il pericolo per tutte.
Non è facile essere un uomo quando alcune ti odiano solo perché lo sei: perché qualcuno prima le ha ferite, tradite, usate. Ma quello non sei tu.
Non è facile essere un uomo quando tua moglie non ti desidera più, quando ti tradisce e pensa che non te ne accorgi.
O quando ti sbatte in faccia che c'è un altro perché tu non c'eri mai. (E tu non c'eri perché pensavi che lavorare per mantenere tutti fosse il tuo ruolo).
Non è facile essere un uomo quando tradisci e sai che stai sbagliando, ma lo fai lo stesso.
Non è facile essere un uomo quando i ruoli cambiano così velocemente e ci si aspetta da te tutto e il contrario di tutto: pensi di dover fare il padre e ti ritrovi a fare il mammo.
Non è facile essere un uomo quando ci sei sempre stato, nel bene e nel male, ma questo non è bastato per far funzionare le cose.
Non è facile essere un uomo quando vorresti un abbraccio, una carezza, un po' d'amore e non sai come fare per chiederlo.
Quando non trovi le parole per dirlo perché tuo padre ti ha detto che gli uomini sono forti e non piangono, non chiedono, non fanno le “femminucce”.
Non è facile essere un uomo quando il tuo desiderio, la passione, la complicità che cerchi viene travisata in interesse sessuale fine a se stesso.
Non è facile essere un uomo quando hai letto negli occhi di tua madre l'avversione e il rancore, perché nei tuoi tratti somatici c'era il ricordo di chi l'aveva abbandonata.
Non è facile essere un uomo quando una mamma non ce l'hai mai avuta, e quell'assenza non riesci a colmarla, nemmeno con cento donne ai tuoi piedi, che finisci per punire per una colpa non loro.
Non è facile essere un uomo se la tua virilità si esprime diversamente da quella imposta dagli stereotipi, se non ti piace il calcio, se non bevi, non fumi, non te ne vai in giro con l'aria di chi la sa lunga.
Non è facile essere un uomo quando la tua ex fa di tutto per screditarti agli occhi dei tuoi figli, e una rabbia furiosa si impossessa di te.
Non è facile essere un uomo se ti piacciono gli uomini, perché sai già che in molti non ti accetteranno.
Non è facile essere un uomo se sei ancora un ragazzo, se le aspettative degli altri ti schiacciano, se il mondo non è quello che immaginavi da bambino.
Non è facile essere un uomo se ogni volta che provi rabbia temi di essere violento, per non cadere nello stesso comportamento che tanto hai biasimato in tuo padre.
Non è facile essere un uomo se hai paura. Se soffri. Se sei disperato. Se non ce la fai più. E non hai nessuno a cui dirlo.
Non è facile essere un uomo se a volte sei fragile, vulnerabile, bisognoso.
Forse non è facile ammettere semplicemente che vuoi essere amato, così come sei.

Buona settimana
virginia

ps. la settimana prossima scriverò la versione femminile

giovedì 20 marzo 2014

parole per l'anima #12

Fermati 
e odora le rose 

Oggi è il primo giorno di primavera.
Così lo dedichiamo alla natura che ci fa un grande dono di bellezza e significato (e troppo spesso non ce ne accorgiamo). 
Questa settimana che ne dite se proviamo a riconnetterci con gesti spontanei all'energia della terra, dei fiori e del nostro corpo? 
Ecco a voi qualche spunto, per immagini o suggerimenti per una vita semplice. 

Goditi le piccole cose 



Sii gentile con te stessa


ringrazia la terra per la sua generosità

Qualche volta va bene così 
se l'unica cosa che hai fatto oggi
è stato respirare 

gioca nei prati 

tutti dovrebbero essere tranquilli
 nei pressi di un ruscello ad ascoltare

Va bene essere felici 
con una vita tranquilla 

bUoN WeEkenNd!
virginia

(fonte immagini: Pinterest) 

lunedì 17 marzo 2014

Le donne della notte



Quando ho appuntamenti in studio fino a tardi, sulla via per rientrare in città devo attraversare una zona popolata dalle “donne della notte”.
Giovani, giovanissime e meno giovani.
Inguainate in abiti succinti o in jeans e giubbottino, scarpe basse, come l'orientale che se ne sta da sola un po' appartata, in una strada laterale.
Ogni volta mi interrogo sulle loro vite, su cosa pensano, su cosa provano.
Molti anni fa ho letto “undici minuti” di Coelho e da allora, sospendo i giudizi e non posso esimermi dal chiedermi quali storie si celano dietro a quei corpi più o meno ostentati su un marciapiede.
Il racconto ispirato da questa foto è nato così.



Vivo in questa casa spoglia, come me.
Ci vivo da quattro anni, da quando sono arrivata dal mio piccolo paese, perso nelle steppe della grande Europa dell'est.
Non sono giunta qui sulle ali di un sogno: ero consapevole che per vivere avrei dovuto scendere a molti compromessi.
Sono spoglia di tutto: della mia identità, del mio amor proprio... e dei miei vestiti, spesso. Troppo spesso.
No non è per il caldo – anche se rispetto al mio paesino qua l'inverno è mite e mi vesto leggera – o almeno, non per il caldo che sento io.
È perché faccio questo strano mestiere che mi porta a rispondere al fuoco delle membra altrui.
Di giorno a volte mi illudo di essere una ragazza normale, mi sono iscritta in palestra (che si sa, anche per il lavoro, il corpo deve essere in forma), vado a fare la spesa, ho delle amiche che fanno il mio stesso mestiere e insieme vaghiamo per la città immaginando se le donne incontrate per strada potrebbero essere le mogli di quegli uomini che vengono a cercare conforto la sera fra le nostre gambe.
Si è vero. Ci illudiamo, ma non ce ne dimentichiamo nemmeno di giorno.
La mia amica, che aveva sogni di vanagloria, dice che gli uomini sono tutte bestie.
Io da piccola dicevo che avrei fatto la veterinaria.
Forse è per questo che per sfuggire alla noia di un atto sempre uguale a se stesso, meccanica ripetizione di gesti e suoni, mi allieto associando le categorie degli uomini ai vari animali.
E lo faccio proprio mentre sono lì, nel momento in cui loro si affannano alla ricerca di un piacere che faccio fatica a concepire.
A volte credo di nobilitarli. Altre volte lo faccio per distruggerli.
Ci sono quelli cane, che si affezionano e tornano ogni volta scodinzolando allegramente, fidelizzati da un gemito involontario, interpretato come godimento, testimonianza della loro virilità.
Ci sono quelli pappagallo che vengono quasi esclusivamente per parlare, ripetere all'infinito parole che ormai nessuno ascolta più: problemi al lavoro, lamentarsi della famiglia, vomitare tutto ciò che altrove non è permesso.
Ci sono quelli coniglio, pavidi infanti che non osano neppure guardarti per non eccitarsi troppo e subito. Con loro il rapporto tempo/denaro è tutto guadagnato.
E ancora i camaleonte, clienti occasionali, quelli che vogliono sperimentare una situazione diversa, un'identità alternativa oppure un'emozione forte, perché la loro vita è vuota di senso, oppure troppo piena di niente.
Ci sono quelli che chiedono tutto e quelli che non chiedono nulla.
I peggiori? Sono quelli che io chiamo le iene, che arrivano quasi al mattino e godono ad usare un corpo cadavere dove già in molti altri hanno inferto un colpo mortale.
Quando il sole sta per nascere, io tramonto.
Torno a casa e trovo Agrado, la mia micia.
L'ho chiamata così in onore al personaggio di Almodovar: con l'augurio che almeno lei possa essere se stessa, visto che io non ci riesco.
Agrado non ha paura: se ne sta sospesa sul vuoto, guarda il mondo da una diversa prospettiva, vive in bilico ma sicura nel suo equilibrio precario.
Tutte le donne sono un po' gatte per questo.
Docili ma astute. Addomesticate ma infondo un po' selvagge, sfuggenti e potenti.
Invece molti uomini hanno paura. Una paura folle della donna e del potere che può avere su di loro.
Forse per questo vengono a cercare noi di notte.
Per avere l'illusione di poterci dominare, pagando.
Non sanno invece che sono loro gli schiavi, che siamo noi a dominarli dall'alto, proprio come fa Agrado con gli inconsapevoli passanti.


Buona settimana
virginia



sabato 15 marzo 2014

parole per l'anima #11


Piccole o grandi che siano le nostre paure nascondono anche una dimensione di desiderio.
Ferme sull'abisso possiamo scegliere se rischiare di vivere una vita più piena oppure indietreggiare e lasciare che il conosciuto acquisti di nuovo il suo ruolo di stabilità precaria. 
A voi la scelta. 

Buon week end 
virginia 







(fonte immagini: pinterest) 

lunedì 10 marzo 2014

Le radici sono importanti



Lunedì scorso abbiamo finito con una frase da “La grande bellezza” di Sorrentino (la trovi qui).
Oggi cominciamo con un'altra frase dallo stesso film, nella scena che lascia un attimo col fiato sospeso, dove la “Santa” all'alba se ne sta in terrazza a contemplare i fenicotteri che di passaggio si sono soffermati a farle un saluto...
In quell'occasione, chiedendo a Jep il perché non abbia più scritto un libro (e la risposta sarà che cercava “la grande bellezza”) gli rivolge un'ulteriore domanda:
Lei sa perché io mangio solo radici?” e alla sua espressione interrogativa prosegue affermando “perché le radici sono importanti...
Dopo questo incontro, il film termina con lui che ritorna a Napoli e si riappropria della sua storia, quella di cui avevamo carpito frammenti fra un party e una passeggiata all'alba, fra un incontro troppo breve e una riflessione a voce alta immaginando il mare sul soffitto di camera.
Da qui l'incipit del suo nuovo romanzo.
Finalmente la sua vita è ripartita.
Si è disincagliata da quegli scogli e dagli sguardi di quell'amore mai vissuto.

Le radici sono importanti.
Le radici sono la metafora delle nostre origini.
Le radici sono la famiglia, i genitori, i luoghi che ci hanno visti dare alla luce, l'atmosfera che abbiamo respirato e i sentimenti che abbiamo provato nella nostra infanzia o nella prima giovinezza.
La Santa mangia le radici.
Avete mai riflettuto sul processo di cibarsi?
Per mangiare qualcosa è necessario aggredirlo con i denti, distruggerlo, farne poltiglia che ulteriormente sarà erosa dai succhi gastrici dello stomaco fino ad arrivare all'intestino dove ciò che può essere assorbito diventerà energia vitale e il resto verrà scartato con le feci.
Nella frase della Santa io ci ho visto proprio questo: un simbolo della metafora terapeutica.
Quando in terapia si affronta il passato non è né per fare il processo ai genitori né per trovare colpe e colpevoli con cui prendersela.
Piuttosto si tratta di riuscire a digerire ciò che è successo per poter uscire dai blocchi evolutivi e trasformare in nuova energia ciò che è fermo.
Mangiare le radici significa distruggere qualcosa sotto una determinata forma e assimilarne ciò che è importante.
Ma che cosa si distrugge?
Viene distrutta l'immagine idealizzata e distorta dei genitori da parte di quel bambino/a che siamo stati, che li avrebbe voluti “di più qualcosa”, “di meno qualcos'altro” o semplicemente “diversi” da quello che erano.
Non importa ipotizzare gravi carenze o errori irrecuperabili.
Nessuno è perfetto e spesso non poteva fare altrimenti.
Ma troppo spesso le radici diventano intricati muri di rovi che impediscono di andare oltre: ed ecco il sintomo, il disagio, il blocco, la maschera, le difese.
Tutti modi che ci indicano che qualcosa è rimasto sullo stomaco, che il processo non si è svolto come avrebbe dovuto.
La parte bambina non ha potuto digerire certe cose. Era troppo per lei.
Ma rigettare le radici non è la soluzione. È necessario farle proprie.
Ma chi è invece che oggi può farlo?
La parte adulta che può vedere le cose con altri occhi.
L'adulto di oggi può assimilare il buono e l'importante che è giusto trattenere e invece eliminare quello che non serve.
Un conto è provare a mangiare qualcosa di indigesto coi dentini di latte appena abbozzati e un conto è invece provare a farlo con i denti formati di chi può aggredire e ridurre, o per lo meno ridimensionare.
Ogni esperienza, quando opportunamente elaborata, può essere linfa vitale per continuare a scrivere le pagine del romanzo della nostra vita.
“Dunque, che questo romanzo abbia inizio”

buona settimana
virginia


giovedì 6 marzo 2014

Parole per l'anima #10


"Io sono più 
di ciò che vedi"

Sulla scia del post di lunedì (lo trovi qui) questa settimana giochiamo a trovare le varie parti di noi, quelle conosciute e quelle sconosciute.
Quelle con cui ci identifichiamo e quelle con cui vorremmo identificarci. 
Ma anche quelle da cui è necessario disidentificarci. 

Occorre sapere che siamo una, nessuna e centomila.
E ricordare che la molteplicità è ricchezza.








Buon week end 
virginia 


(Fonte delle immagini: Pinterest)

lunedì 3 marzo 2014

La grande bellezza (interiore)



Come anticipato da Evi la settimana scorsa (qui), oggi vi parlerò della liberazione dai condizionamenti dal punto di vista della Psicosintesi e di come qualcosa che viene considerato "problema" possa essere osservato da diversi punti di vista. 
Come giustamente riportato nell'articolo di Osho, in Oriente la prospettiva di approccio a ciò che noi definiamo “problemi” è molto differente dalla nostra.

In primo luogo, si pensa che non esista un problema serio. Nel momento in cui affermi che nessun problema è serio, il problema è per il novanta per cento già morto. Il modo in cui lo vedi cambia completamente.
                                                                                                              (The tantra vision)

Questo è possibile se siete già dei Budda nel pieno dell'estasi mistica.
Purtroppo ascolto ogni giorno storie di sofferenza e dolore emotivo che hanno bisogno di trovare uno spazio di accoglienza, storie che si sono trascinate per anni e anni sotto la maschera del “non è una cosa seria” e “tutto passa se lo vuoi”, e spesso è necessario riabilitarle al loro valore assoluto di trauma personale, prima di poterle superare e trasformare.

La seconda cosa che si sostiene in Oriente, è che il problema esiste perché sei identificato con esso

Questo aspetto invece mi trova concorde e anzi, rappresenta il perno di un importante concetto psicosintetico, che Assagioli ha introdotto in Occidente molto prima di Osho, rifacendosi comunque alle filosofie orientali, di cui era un grande studioso.

Noi siamo dominati da tutto ciò in cui il nostro io si identifica.
Possiamo dominare, dirigere ed utilizzare tutto ciò da cui ci disidentifichiamo.
(R. Assagioli – Atto di Volontà, pag. 156)

La nostra personalità (da persona = maschera) è fatta di numerosi aspetti, e, nonostante ci percepiamo tutti d'un pezzo, noi siamo una molteplicità (ne abbiamo parlato qui).
Siamo soliti giudicare la pluralità come deviazione dalla norma, tanto che anche il manuale diagnostico dei disturbi mentali classifica il Disturbo da personalità multiple, che appaiono nei momenti più disparati e fanno compiere cose bizzarre che la personalità dominante non riesce a controllare; in letteratura, Pirandello, Hesse e Pessoa sono solo alcuni degli autori che hanno dato vita a personaggi in cui il molteplice è il filo conduttore dell’esistenza, un esistenza però condotta ai margini della società, ritenuti molto vicini al labile confine fra normalità e patologia.
E’ quindi normale che tutto questo ci spaventi e tentiamo nella vita di tutti i giorni di sopprimere il molteplice a favore di un’unità che è in linea invece con la condivisa definizione di personalità come “organizzazione relativamente stabile delle disposizioni motivazionali d’un individuo”.
Ciascuno di noi quindi, tende a fondare la propria identità su pochi aspetti che riteniamo fondanti e fondamentali, ad es. il ruolo ricoperto nella propria vita (il capo, il terapeuta, lo studente...), una caratteristica temperamentale predominante (il calmo, la “testa calda”, la brava bambina...) un sentimento prevalente in una fase specifica (l'innamorato, ma anche la depressa, l'ansioso...).
Questo accade perché definirsi attraverso pochi elementi dà un senso di sicurezza alla nostra identità e permette di farsi conoscere nel mondo attraverso comportamenti tipici, che servono a noi, ma anche agli altri.
(Si, se ci "conosciamo" maggiormente nell'aspetto ansioso o depresso, quello è un punto fermo che dà sicurezza comunque, anche se sembra un controsenso).
Identificarsi è necessario ed inevitabile perché permette a ciascun individuo di avere una base sicura su cui strutturare la propria identità, almeno per un periodo o in un contesto particolare (in famiglia, al lavoro, con gli amici...)
P
ossiamo però, vedere anche il lato negativo di attaccarsi a un solo aspetto di noi.
Vi farò alcuni esempi che lo stesso Assagioli faceva: l'atleta che diventa vecchio e perde la sua energia fisica, l'attrice la cui avvenenza fisica sfiorisce, la madre che rimane sola quando i figli crescono, il capo che se ne deve andare in pensione ecc... rischiano di percepire un senso di perdita, di fallimento e di crisi interiore che minano l'equilibrio psicofisico.
In quest'ottica, anche i “problemi” non sono altro che ulteriori identificazioni con aspetti di sé.
Come vedo spesso, le persone che arrivano nel mio studio si definiscono ansiose, depresse, o si presentano attraverso una malattia (sono anoressica, sono fobico ecc...) o un disagio (“sono qui perché sto male”) perché ormai basta aprire internet e si può fare una diagnosi, col rischio però di affibbiare – e affibbiarsi – etichette riduttive che perdono di vista la persona intera, in tutta la sua molteplicità.
Così, la prima domanda da porsi è: chi mi sta raccontando queste cose?
Di solito le espressioni dei miei interlocutori si fanno interrogative a loro volta... non capiscono cosa intendo.
Io mi riferisco al loro testimone interiore, alla parte che osserva e può raccontare come si sentono in certe situazioni, cosa percepiscono nel corpo attraverso i sintomi, cosa pensano in conseguenza di certi eventi...
La parte che osserva non è mai la stessa che soffre.
È diverso “essere” depressa/o dal riconoscere che c'è una parte di sé depressa e triste (il che vuol dire che ce ne può essere anche una che non lo è).
Si tratta di una rivoluzione.
Questo testimone interiore, centro di consapevolezza e autocoscienza, Assagioli lo chiama “io”, l'unica parte di noi che rimane sempre uguale a se stessa, senza contenuti.
L'io acquisisce contenuti quando si identifica.
Ma allo stesso tempo può anche disidentificarsi (ovvero scegliere di distogliere attenzione consapevole a quel contenuto specifico, evitando di sentirsi “solo” quello).
Assagioli aveva messo a punto il cosiddetto “Esercizio di disidentificazione” da effettuare in una posizione comoda, rilassata, come ripetizione di consapevolezza:

Io ho un corpo ma non sono (solo) il mio corpo. Il mio corpo si può trovare in varie situazioni di salute o di malattia, può essere riposato o stanco, ma non ha niente a che fare con me stesso, con il mio vero io. [...]

Io ho delle emozioni, ma non sono (solo) le mie emozioni. Le mie emozioni sono varie, mutevoli, a volte contraddittorie. Possono passare dall’amore all’odio, dalla calma all’ira, dalla gioia al dolore, e tuttavia la mia essenza – la mia vera natura – non cambia, “io” rimango. […]

Io ho una mente ma non sono (solo) la mia mente. La mia mente è un prezioso strumento di ricerca e di espressione, ma non è l’essenza del mio essere. I suoi contenuti cambiano continuamente mentre essa abbraccia nuove idee, conoscenza ed esperienza. [...]

Io ho dei desideri, ma non sono (solo) i miei desideri. I desideri sono provocati dagli impulsi, fisici ed emotivi, e da altre influenze. [...]

Io sono un centro di volontà capace di osservare, dirigere ed usare tutti i miei processi psicologici ed il mio corpo fisico.

Attenzione però! Disidentificarsi non significa rifiutare parti preziose del nostro bagaglio psichico, poiché è necessario riappropriarsene per esprimere le molte sfaccettature che ci appartengono, e che magari, viste sotto una luce diversa, possono diventare delle energie costruttive. Occorre uscire dalla logica del sono "solo" questo o quello ma cominciare ad affermare che sono "anche" questo e quello, mettendo l'accento sull'inclusione invece che sull'esclusione.

Che ne dite di dedicare questa settimana alla scoperta delle false identificazioni che vi condizionano? (potete trovare qui qualche spunto di lavoro)
Oppure, visto che siamo a carnevale, di scoprire di quali e quante maschere vi fregiate per vivere i vostri personaggi interiori?
L'io è come un regista: una volta definiti e conosciuti i personaggi, padroni delle loro caratteristiche e potenzialità, può creare un capolavoro, magari degno di un Oscar, visto che siamo in tema.

...è tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore,
il silenzio e il sentimento, l'emozione e la paura
gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza
e poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile”

(Jep in “La grande bellezza”
Oscar 2014 miglior film straniero)