lunedì 29 luglio 2013

Sulla creatività e le donne come muse ispiratrici


Ogni anno in vacanza trovo uno spunto di riflessione (quello dello scorso anno se lo hai perso lo trovi qui ) e chissà per quale recondita ragione, accade sempre che si tratti di argomenti che hanno a che fare con la creatività e lo sviluppo di sé.


Questa volta ho conosciuto un artista speciale, Pasquale Liguori, che mi ha raccontato l'origine delle sue opere, premiate in vari concorsi nazionali, ma che esprimono la loro bellezza già al primo sguardo, quando vi si posa distratto, camminando per i vicoli di Vietri sul mare.

La sua bottega di ceramista rende omaggio al femminile in tutte le sue forme: c'è la donna sirena, la donna vestita di pesci, la donna alata e la ballerina sinuosa, la donna madre e la donna figlia, la donna Madonna in una rivisitazione della natività, la donna bambina che gioca in un mondo di sogno.


















Le atmosfere create da Pasquale – che sia la superficie di un piatto o di un vaso – appartengono a visioni oniriche, dove i personaggi si librano nell'aria, nuotano nel mare con i pesci, vivono esperienze che ogni bambino ha immaginato almeno una volta.

Ed è proprio nell'infanzia dell'artista che trovano radici le immagini, per poi spiccare il volo in momenti di estasi creativa, perché come afferma lui “quando immagino, per un momento sono in un'altra dimensione, che poi si rende concreta nell'opera che prende forma dalle mie mani”

quando ero bambino, mi chiedevo come sarebbe stato cavalcare una rondine e poter vedere le cose dal suo punto di vista […] mi trovavo a pesca sulla barca e osservando i delfini avrei voluto viaggiare con loro e seguirli nei loro percorsi in fondo al mare, pieni di altre forme di vita e di emozioni” così racconta Pasquale, ricordandoci che ognuno di noi quando crea ridiventa bambino, libera la propria immaginazione potendo esprimere parti di sé che realizzano desideri profondi di libertà e apertura al transpersonale.



Vedere il mondo con gli occhi dei piccoli significa reinterpretare la realtà fuori dagli schemi rigidi, dove ci hanno insegnato che le donne non volano sulla groppa di un pesce, riuscendo a svincolarci per un attimo dal quotidiano e sentirci leggeri e nuovi.

È questo attimo di rapimento magico che si vive osservando una creazione di Liguori: una realtà dove tutto è possibile. 

L'atmosfera dove vivono queste figure femminili è impregnata di gioia, sembra che tutto intorno partecipi della loro energia positiva e in alcuni casi serenamente contemplativa, con gli occhi socchiusi verso il mondo interiore.



Mi ha incuriosito molto l'accostamento delle figure femminili da lui rappresentate con i pesci e gli uccelli, ulteriore dimostrazione che l'artista, quando crea, è in diretto contatto con l'inconscio, quello suo personale, ma anche quello collettivo, perché forse non tutti sanno che in alcune culture, molto anteriori a quella cristiana ed europea, questi due animali hanno avuto un significato ben preciso rispetto alle donne.




In Medio Oriente la Grande Madre di Efeso era rappresentata come una donna che portava un amuleto a forma di pesce davanti al sesso mentre in Cina, la Grande Madre Kwan-yin era anch’essa raffigurata in forma di pesce.
In India Kalì è chiamata « colei che ha occhi di pesce ».

Chissà se le sirene, oltre che miraggio di marinai astinenti, trovano un barlume di senso nella parentela con queste divinità antiche...

Inoltre, per i Dyirbal, una popolazione indigena australiana, gli uccelli non sono altro che reincarnazioni delle donne defunte, che si trasformano e ritornano in vita.

Jung invece ha descritto in maniera molto complessa il simbolismo dei pesci come metafora del Sé (l'archetipo da realizzare nel processo di individuazione che porta alla realizzazione di se stessi) quando ancora è nella sua forma inconscia, ovvero tutta da scoprire.

Le donne di Pasquale sono vestite di pesci, si potrebbe dire che sono metafora di un femminile che non solo si abbiglia per mostrarsi, bensì si adorna di ciò che più le rappresenta, il pesce come la parte di ciascuna che maggiormente mette in connessione con quello che si è, con l'essenza. Forse per questo traspare da lei una sensazione di armonia e ingenua bellezza.





Jung stesso dà poi anche una mirabile interpretazione del simbolo del pesce in relazione al cristianesimo e alla figura del Cristo.

Per questo è stato per me ancora più stupefacente trovare fra le icone disegnate da Pasquale la sacra famiglia e la natività rielaborata in chiave allegorica.

la donna è oggetto delle mie opere nella sua forma più alta come Maria, la madre di Gesù alla quale sono molto devoto”.



Così l'opera d'arte, grazie al dispiegarsi dell'inconscio, riesce a mostrare la sintesi di maschile e femminile, un incontro armonico dove è facile entrare in contatto e relazione, in una danza di sguardi che vanno nella stessa direzione.




Vi lascio alle immagini, che parlano più delle spiegazioni che io possa usare per descriverle, chiudendo ancora con le parole dell'artista, che alla mia domanda sul perché rappresenta le donne nelle sue opere mi ha semplicemente risposto così: “perché le donne sono magiche. Per le donne passa la vita”.







Se passate a Vietri, andate a trovarlo. Regalerà anche a voi un momento di poesia.

Buona settimana

virginia


lunedì 22 luglio 2013

La vita è poesia


Nel momento in cui sto pubblicando questo post, inizia il mio ultimo giorno di vacanza. Ovviamente ho scritto l'articolo nei giorni prima di partire, quindi ancora in vena di filosofeggiamenti ispirati dal post sulla vita (se te lo sei perso lo trovi qui )

Avevo annotato, rapita, qualche tempo fa una frase (chissà presa da dove?), o meglio un frammento, attribuito a Hölderlin: 

«Pieno di meriti, ma poeticamente, abita l'uomo su questa terra».

A quanto pare ripresa e commentata da Heidegger in un saggio famoso.

Come si abita poeticamente la terra?

Ho trovato uno scritto di Emerico Giachery, che mi ha svelato precisazioni e aperto ulteriori spiragli:

«Ciò che l‟uomo opera e produce è acquisito col proprio sforzo, e meritato». Tuttavia, seguita Hölderlin – o chi per lui – con un suggestivo passaggio, «ciò non tocca il fondo dell'esistenza umana: questa è, nel suo fondo, poetica».

[...]

Heidegger, per il quale “abitare poeticamente” significa qui «essere alla presenza degli Dei ed essere toccati dalla vicinanza dell'essenza delle cose»

[…]

Sottratta al contesto d'origine e accolta ormai nel mio patrimonio espressivo e affettivo, la frase del titolo è ormai divenuta centrale e dominante: uno di quei motivi musicali che continuamente riaffiorano. Sembra configurarsi anche come una sorta di chiamata per la vita che mi resta: da accogliere, per quanto possibile, e da irradiare vivendo giorno per giorno. Come? […]

Non programma, né progetto, che è pur sempre vincolo e limite.

Ma tutt'al più proposito, intento: aperto, senza presagibili confini, nel donarsi con abbandono al fluire della vita.

Il “come” apparirà di volta in volta, a seconda delle occasioni e degli incontri. Non certo valido per altri: ciascuno ha il suo “come”, al pari delle impronte digitali, e dovrà farne personale ricerca ed esperienza.

Il flusso, intanto, scorrerà verso mete ancora velate di caligine.

(tratto da E. Giachery “Abitare poeticamente la terra” 2007)


La nostra esistenza è di per sé poetica, ci dice Holderlin.
Ma ciascuno ha dunque la sua via, precisa Giachery.

La psicologia umanistica parla di vie al transpersonale, ovvero le strade da percorrere per raggiungere la piena realizzazione di Sé.

Ogni persona trova il suo “come”, il significato che dona senso ai suoi giorni.

E non c'è un solo modo, sono numerose le modalità per dare spazio all'appagamento delle istanze più profonde.

Non ci immaginiamo però perigliosi compiti o auliche attività.

La poesia infondo è il dispiegarsi dell'anima nella vita di tutti i giorni, attraverso esperienze quotidiane.

Vivere poeticamente è fare con passione e significato ciò che ci piace, sia che consista nel preparare un pranzo a regola d'arte per noi stessi o chi amiamo, nello svolgere il nostro lavoro, consapevoli di quegli attimi di bellezza che esulano dalla routine, o anche praticare uno sport con disciplina e volontà.
E' scovare bellezza nelle piccole cose.  

Oggi ho selezionato delle immagini, che vi siano da stimolo per trovare la poesia in ogni vostra giornata.


















(fonte delle foto: Pinterest)
Buona settimana

virginia

lunedì 15 luglio 2013

I lacci del cuore delle donne



Care amiche ,

oggi prendo spunto dalle storie di tre donne , tre come tre rose rosse...con le spine .

Luisa è una bellissima donna di quarantasette anni, bionda con uno sguardo che riscalda il cuore e un sorriso gentile. Si è sposata giovane con un uomo di vent' anni più vecchio, che le ha dato una casa e due figli. Innamoratissima del marito con cui ha passato vent'anni splendidi, si trova con un uomo che ora non soddisfa più le sue esigenze sessuali. Lui ha capito che la sua donna va altrove, ma fa finta di non vedere. E lei quindi si trova degli amanti che la fanno soffrire, uomini problematici, con mille elucubrazioni mentali che riversano su di lei, che le fanno pagare un altissimo prezzo emotivo.

Un laccio al suo cuore ...il giusto castigo per tradire l' uomo che ama ...vorrei sciogliere quel laccio ...abbracciarla e consolarla...non è l' autopunizione per vivere la sua sessualità la strada, è una moglie straordinaria e una mamma perfetta ...ma sopratutto è una donna che ha un bisogno sessuale, che il marito per limiti fisiologici d'età non riesce a soddisfare! Si ami di più e si perdoni..


Giovanna è una quarantenne intelligente, colta, manager , curatissima , veste abiti firmati, frequenta locali alla moda. Ha un amante da cinque anni, un imprenditore ignorante e belloccio, di quelli che sanno tutto, fanno tutto e sono stra-stronzi. Lui è regolarmente sposato con una moglie che non lascerà mai , a lei riserva i week end, i viaggi esotici e gli abiti firmati. Lei va in chiesa a pregare che lui lasci la moglie , lei lo ama , ha tentato di lasciarlo un paio di volte e poi ci è ricascata. Con le amiche non parla mai, è una donna riservata e deve mantenere un'adeguata riservatezza..

Un laccio al suo cuore che vorrei sciogliere...merita di più e vale di più...di qualche abito e viaggio che può permettersi da sola..

Paola è una moglie , di quelle tradite e contente , almeno all'apparenza. Ottima madre e padrona di casa, ha educato i figli ora universitari, è profonda e sensibile , coltissima a... tal punto di conoscere perfino le innumerevoli amanti del marito, con cui da vera signora intrattiene rapporti formali e civili .

Peccato che in realtà ami molto quell'eterno Peter Pan che si è presa per marito e rifugga nei libri la frustrazione di quel letto vuoto per impegni ..di lavoro improrogabili.

Un altro laccio al cuore che vorrei sciogliere...merita di più che un bambino viziato e un libro da studiare

Tre storie di donne che hanno in comune la mancanza di autostima, la capacità di essere riconosciute ed amate veramente per quello che sono .

So per esperienza quanto sia difficile liberarsi da secoli di soprusi scritti nel nostro DNA da una società maschilista , da una Chiesa che ci ha marchiato con il peccato originale, da una cultura che ci relegava a oggetto di scambio o piacere sessuale o madri accudenti , ma dobbiamo pretendere di più da noi stesse, amarci di più e essere protagoniste della nostra vita, non burattini manovrate da uomini senza scrupoli che sanno benissimo come manovrare i fili della nostra sensibilità ..

Forza amiche , sciogliete i lacci e liberate il cuore..

Volate!!!

Un abbraccio

Evi


lunedì 8 luglio 2013

La vita è sporca


 
 
Che bella l'estate che rallenta i ritmi e permette ulteriori pause di lettura!

È un po' che non parliamo di libri interessanti...

Io questo week end ne ho finito uno, che consiglio a chi è in vena di riflessioni filosofiche e alla ricerca di significati esistenziali.

Ne avevo letto la recensione mesi fa e l'ho subito acquistato, in quei miei raptus dentro le librerie on line, dove faccio incetta di pagine e pagine che affastello sul comodino e mi danno un non-so-che di sicurezza dei saperi e allo stesso tempo incerta e trepidante curiosità, perché si sa, dopo ogni libro non si è mai quelli di prima, se ci si lascia trasportare nei suoi territori.

Che sia una necessità o una condizione arbitraria, un dono, un bene, un diritto, un destino, un'eccezione. Un pieno o un vuoto. Uno stato passeggero e plurale, tutto sommato indefinibile perché troppo ampio, sfuggente e soggettivo.

La vita è sporca perché è tutte queste cose insieme e molto altro. È una condizione impura, imperfetta. Questa è forse l'unica cosa dimostrabile della vita. Se esiste una perfezione, non solo non è di questo mondo, ma certamente non fa parte della vita.

[…]

la vita è sporca perché le foglie sugli alberi spuntano, sono grandi e brillanti, poi scolorano e nell'agonia cadono per terra, marcendo. La vita è sporca perché sempre, anche sulla foglia più brillante e armoniosa, c'è una macchia. Una sbavatura di colore, un ricamo asimmetrico sul bordo, un buco smangiato, l'ombra di un insetto che l'ha violata, tracce di una tela di ragno che opacizzano il tessuto.

La vita è sporca perché pone delle domande che non hanno risposta, e già domandare costa una fatica improba. La vita è sporca perché il futuro è incerto, anzi ignoto, e il passato vago, sfigurato dalla memoria. Il presente invece sfugge di mano, non esiste, e anche per questo la vita è sporca.

(tratto da “Vita” di Elena Loewenthal, pag. 116-117)

La frase che ho scelto come titolo non è dell'autrice, è una citazione tratta da un altro libro di Ugo Riccarelli (Ricucire la vita, 2012) che si interroga sul significato della vita a partire dall'esperienza di chi ha subito trapianti.

Ritengo che le esperienze traumatiche o dolorose ci mettano sempre di fronte alla ricerca di senso. Tante delle persone che incontro nella mia stanza hanno bisogno di rimettere ordine dopo uno sconquasso, dopo un frammento di tempo che ha cambiato tutto all'improvviso oppure dopo anni di sofferenze che hanno dato il ritmo alle giornate.

Dopo un abbandono, un lutto, ma anche dopo una rinascita.

Ognuno ci arriva per la sua strada, il suo percorso.

Qualcuno ha bisogno di un compagno di viaggio, altri intraprendono un cammino solitario. Non importa.

L'importante è fare il primo passo, che è sempre meglio dello stare fermi in attesa.

Il cambiamento è un processo, non un atto.

Perché la vita è trasformazione, continua, necessaria e transitoria.

 
La vita è sporca anche, e soprattutto, per questo.

Perché c'è il male e perché il male è inafferrabile. Non è mai puro, così come i nostri sentimenti. Non esiste l'amore perfetto, ma non esistono neanche l'odio assoluto, la paura totale, la felicità non scalfita dal dubbio.

Ma la vita è sporca anche perché c'è il bene. Che sia gratuito o esiga un contraccambio, anche il bene pone delle domande. La materia non è né bene né male, il deserto di Marte e quello sulla Terra se non ci fosse la vita non conoscono il bene e il male.

La vita è sporca perché esige bene e male in misure inique, perché il bene e il male sono soggettivi almeno quanto la vita o forse esistono solo nella nostra soggettività.

(op.cit. pag. 118) 

Leggere questo tipo di libri apre alla possibilità di rendere relative le esperienze, cambiare prospettiva.

Siamo sempre così identificati in tutto ciò che ci accade, sembra che siamo ciascuno il sole di un piccolo sistema che ruota tutto intorno, unici portatori di bisogni e desideri, attenti al ricevere al netto del valore, ribelli a tutto ciò che limita, in una ricerca spasmodica di equilibri da tenere immobili, perché il cambiamento ci spaventa.
“Voi (psicologi) vendete aria fritta...” così mi hanno apostrofata qualche giorno fa.

Forse il fatto è che abbiamo a che fare ogni giorno con vissuti che sono effimeri e granitici al tempo stesso. Con persone che vogliono cambiare ma hanno il terrore del cambiamento. Siamo tutti terribilmente affezionati alle nostre idiosincrasie o, come affermava Alda Merini “ognuno è amico della sua patologia”, forse perché – come riportato da Riccarelli – “in fondo essere ammalato ti risparmia la paura di doverti ammalare”.

Ogni volta in cui stiamo bene, siamo soddisfatti, felici, c'è la possibilità che questo stato di grazia termini, che non duri all'infinito come vorremmo.

Altre volte ci teniamo stretti le nostre convinzioni per non venir meno a quei dictat familiari, sociali, che abbiamo fatto propri, per adempiere a voleri altrui, che non ci corrispondono, ma ci hanno dato una identità, pur se dolorosa. Ma se poi ce ne liberiamo, siamo sicuri di poter essere quello che vorremmo? Non è più sicuro rifugiarsi nel fastidio conosciuto piuttosto che avventurarsi soli per il mondo?

La vita non ci dà queste risposte, o per lo meno, non ce le dà in anticipo.

E nemmeno gli psicologi, come ci fa capire Kopp nel suo illuminante libro:

 
Il cercatore spera di trovare qualcosa di definito, di permanente, qualcosa di immutabile da cui poter dipendere. Gli viene offerta invece la riflessione che la vita è proprio così come sembra, cioè un fardello mutevole, ambiguo, effimero, misto. […]

Ciò che si deve imparare è troppo elusivamente semplice per poterlo afferrare senza lottare, rinunciare, e sperimentare come è. […]

Iniziare non garantisce di per sé il successo.

Bisogna sì iniziare, ma bisogna anche perseverare, cioè ricominciare più e più volte.

(Tratto da S.B.Kopp
Se incontri il budda per strada uccidilo” 1975, pag.12-16)
Quindi,
La vita è sporca perché vivere significa farsi sporcare da quello che non sei, o che non sei ancora.

È sporca perché ti pone davanti a scelte impossibili e altre che invece sarebbero così semplici e facili te le nega.

È sporca perché è incongrua, non ha logica, è degna figlia del caso.

[…] la vita è sporca perché in fondo resta un mistero.

(Loewenthal, “Vita”pag. 121-122)

 

Non ci resta che viverla, scoprendola strada facendo.

Buona settimana

virginia

lunedì 1 luglio 2013

Vento d'estate




Della mia passione di fotografare finestre in giro per il mondo ormai ne siete a conoscenza.

E se non lo sapete, trovate le puntate precedenti qui e qui.

Quando ho del tempo da dedicare alla scrittura, come in questa domenica che sonnecchia un po' come me, mi piace prendere le foto che ho scattato e scriverci una storia, inventare personaggi, vite di donne che traspaiono dai frammenti di un istante rubato dall'obbiettivo.

Questa è la foto che ho scelto oggi.
 
 
(Rovigno, Croazia - 2010)
 
E questa è la storia che mi ha ispirato. 

Ogni anno in agosto mi rifugio qui.

Mi piacerebbe poter dire che cerco la solitudine, il silenzio... che ho bisogno di dedicare finalmente del tempo a me stessa, dopo tanti mesi di duro lavoro.
Invece non è così.
Vivo a ritmi molli, pur se cadenzati.
Ricopro una posizione privilegiata in azienda, pur essendo una semplice impiegata: non sono costretta a misurare i gesti, a dimostrare forsennati ritmi di battitura sulla tastiera, cercando di distogliere il meno possibile lo sguardo dallo schermo, per non essere redarguita dal capo, implacabile sorvegliante attento che tutti i conti tornino.
Per me i numeri sono davvero un'opinione. Posso permettermi di disilludere le aspettative di chi calcola al minuto la giornata. Perché io rappresento un'eccezione e allo stesso tempo un cliché, duro a estinguersi.
Sono l'amante del capo.
Sono l'altra. Non quella di una sera, no – a volte immagino che sarebbe stato meglio – invece sono quella della vita parallela, quella che se ne sta docile ad aspettare il momento in cui qualcosa cambierà.
Mi rendo conto che anche il tempo per me è un'opinione.
Forse era meglio se facevo la filosofa, piuttosto che la contabile.

Ogni anno mi rifugio in questo piccolo appartamento, che mi rispecchia.
Anche lui sta in mezzo, in uno spazio ritagliato fra case di tutt'altra importanza.
C'è giusto questa finestra, unico affaccio alla luce, unica possibilità di contatto col mondo. Da qui puoi osservare la vita nelle stanze degli altri, assistere a scene familiari di una pacificante noia mortale: bambini a fare la doccia, no, adesso, che poi si mangia, caro digli qualcosa, pensaci tu, io non posso, cosa si mangia, tutti a prendere il gelato... e il tempo passa.
Qui dentro non ci sono voci di bimbo, non c'è nemmeno un cane o un gatto perché a Lui non piacciono.
E io rispetto i suoi desideri, non come la moglie che per accontentare i bambini, gli ha imposto un cucciolo dispettoso che deve portar fuori ogni sera (ma almeno a volte diventa la scusa per un incontro fugace).
Ma anche questo non basta a farlo migrare.

Ogni anno mi rifugio in queste due stanze di false speranze.
Sono io che migro assecondando i venti del suo volere.
Si, lui è qui, nel paesino vicino. Con la famiglia, e pure il cane.
Ogni tanto va a pesca, questo è quello che dice.
E si rifugia con me qui dentro per qualche ora, provando a pescare un po' di entusiasmo nei miei occhi annacquati dalla tristezza. Ovvio che non glielo faccio pesare. Io devo essere una valida alternativa.
Così anche le mie vacanze sono molli, ma cadenzate.
A Lui va bene così. Lui scandisce il ritmo della mia vita.
Presenza, assenza, presenza, assenza... io esisto se c'è, mi spengo se manca.
Guardo in controluce questo bikini che ogni giorno indosso e stendo al filo la sera, una volta liberato dai residui di una lunga giornata di solitudine salmastra.
Una volta era di un bel verde acceso, vivo e vibrante, mentre adesso è sbiadito, sformato e vissuto, ma non riesco ad abbandonarlo, così come Lui non abbandona la confortante morsa del suo vivere quotidiano.
Io mi sento come l'altro mio costume, quello nuovo, che giace ripiegato su se stesso sul fondo del borsone da spiaggia. Mi piace, quando l'ho comprato ne ero entusiasta, tipico colore sgargiante e modello molto particolare, sexy, all'ultima moda: quante volte l'ho provato davanti allo specchio, prima di partire, sicura che questa volta avrei osato indossarlo, rinunciando all'abitudine di quello conosciuto.
Invece poi trovo sempre mille scuse: si rovina, domani lo metto, per quella spiaggia non va bene, aspetto la giornata in cui Lui si decide a portarmi in quella caletta che conosce.
E così arriva l'ultimo giorno di vacanza. Ed è tardi.
Se non lo indossi subito poi non lo metti più, perché lascia meno spazio all'immaginazione, è ridotto ai minimi termini e rivela segni bianchi sulla pelle già abbronzata, che mostrano che qualcun altro c'è stato prima, ha occupato quello spazio, ma in maniera più sobria, più contenuta.
Sua moglie è il costume di ogni giorno, un verde sbiadito di consuetudini che non lasciano spazio al desiderio. O almeno questo è quello che Lui sostiene, (e forse non gli credo più).
Io sono il sexy bikini che potrebbe portare una ventata di novità, ma ormai trova senso solo in una stanza, davanti allo specchio, senza mai vedere la luce del sole, perché se fosse indossato dopo l'altro, urlerebbe al mondo scomode verità.

L'estate sta per finire. Stasera sento che sta cambiando il vento.
È un po' che ci penso.
Qui vicino c'è una spiaggia naturista. Non c'è bisogno di costumi.
Può essere il modo di cancellare tutti i segni sulla pelle, per ripartire da zero.
Domani ci vado.
Non aspetterò le briciole di tempo dell'ultimo giorno prima del rientro. Non assisterò alla telefonata di richiamo per preparare le valigie, calmare i bambini e portare fuori il cane.
È la prima decisione autonoma da anni.
Mi sento già meglio. E forse, chissà... al rientro, farò la filosofa.
O la contabile... ma sul serio.
Una riga e si tirano le somme.
Se i conti non tornano, è l'ora di cambiare metodo... e aria.

Buona settimana, soprattutto a coloro che sono in procinto di seguire venti diversi, per scoprire nuove terre da esplorare.  
 
virginia
 
N. Fabi, M. Gazzé - Vento d'estate