lunedì 2 settembre 2013

Turisti e viaggiatori dell'animo umano



deserto, by peter lindbergh for vogue italia april 1998


Tempo di Mostra del Cinema a Venezia.

Quest'anno il presidente e Bernardo Bertolucci, così mi è capitato di rivedere alcuni film del regista, capolavori senza tempo.

Nel film “Il tè nel deserto” (1990) tre personaggi in crisi, personalità complesse, divise fra la resa al fatalismo e la ricerca di senso, si avventurano nel deserto, metafora di esplorazione e sofferenza necessaria per la trasformazione (ne abbiamo già parlato qui e qui ).

Il titolo del post prende spunto dalla scena qui sotto:



Tunner, noi non siamo turisti, siamo viaggiatori”
“Ah, che differenza c’è?”
“Un turista è quello che pensa al ritorno a casa fin dal momento che arriva”
“Laddove un viaggiatore può anche non tornare affatto”



Ci sono viaggi e viaggi: ci sono quelli fuori, alla scoperta del mondo, di nuove culture, di persone diverse, in luoghi lontani ed esotici che tanto ci affascinano.

E poi ci sono quelli vicini, che si possono fare nell'incontro con qualsiasi altra persona, anche nel quotidiano, entrando nel suo mondo come si farebbe con l'abitante di una terra distante.

Inutile viaggiare lontano, magnificando le bellezze di certe terre, se poi non si riesce in qualche modo ad assimilarle, farle proprie, renderle qualcosa di arricchente, elemento di crescita.

Inutile guardare all'altro, che sia a 50cm o migliaia di km, come si farebbe con un animale in gabbia dello zoo, a un pesce nell'acquario, mantenendo un filtro che separa e senza entrare in quell'esperienza, lasciandosi invadere da tutto quello che porta con sé.

Domande, emozioni, riflessioni, accettazione ma anche rifiuto, di modo che ciò che viviamo non ci lasci indifferenti, uguali a prima.


Così ho pensato al significato che queste parole possono assumere anche fuori da questo contesto.

Alla tendenza che spesso si ha di partire – non importa se in un viaggio reale o in una nuova esperienza della nostra vita – già con il desiderio di tornare alla sicurezza degli aspetti conosciuti, in bilico fra la tensione a modificare le cose e il rifugiarsi in certezze granitiche che mantengano gli status quo.

Ogni aspetto diverso dalla routine ci fa provare inquietudine, eccitazione, incertezza: qualcosa dentro di noi “si muove”, percepiamo la tensione ad agire, sentiamo di aver bisogno di conoscere, cambiare, ma temiamo di andare fino in fondo.

 
Entrare in contatto con la diversità, non significa limitarsi a tenere una posizione politically correct di mera osservazione e falsa accettazione. Questo è il turista.

È colui che vuole partire ma guarda alle cose cercando di ricondurre tutto alle sue convinzioni, alle sue abitudini. Vive tutto “rispetto a...” e non per quello che è.

Il viaggiatore è invece colui che rischia, che entra nell'esperienza, ma lo fa tenendo conto di sé e degli altri, non esplora solo dentro ma cerca di entrare in un vero contatto anche fuori, affrontando le conseguenze.

Ciò che ci attrae o ci repelle è comunque qualcosa che, se vissuto fino in fondo, ci permette di portare a compimento una nuova realtà, un frammento di vita che ci serve per maturare e crescere, perché l'obiettivo è di integrarlo nella nostra esistenza, renderlo parte di noi, una volta elaborato.


Solo dal confronto con ciò che proviamo può emergere creativamente il nuovo, che da esteriore diventa interiore.

Cercare di accostarsi alle novità senza esserne contaminati è continuare a perpetrare il già vissuto, significa aver paura, anche se all'apparenza non sembra.


A volte anche i territori interiori vanno esplorati con lo stesso criterio.

Volersi guardare dentro senza mettere in discussione alcunché serve poco.

Dentro di noi ci possono essere aspetti affascinanti e altri che non vogliamo conoscere, ma sarà proprio dall'andare dentro a questi ultimi che potranno emergere nuove consapevolezze.


Il punto quindi, non è se tornare o meno a casa. Ma è come torniamo.

Sicuramente anche il viaggiatore prima o poi approderà a una meta, quindi è vero che si può non tornare affatto, a patto che si sia fatto tesoro di quello incontrato lungo il cammino. Ogni meta è provvisoria fino alla prossima avventura.

La vera sicurezza non sta nel mantenere le cose come sono.

La persona sicura non si rende mai conto di esserlo, ma sente sempre di correre dei rischi ai quali sarà adeguata” (Paul Goodman)

Buona settimana
virginia





4 commenti:

Zio Effe ha detto...

Questa divisione tra "turista" e "viaggiatore" è una roba di un brutto allucinante. Un viaggiatore è un turista presuntuoso, nessuna altra differenza

donneincontatto ha detto...

Caro zio Effe, ho letto il tuo post al riguardo e devo dire che mi ha molto divertita! Forse hai anche ragione, le etichette son sempre un po' scomode e difficili da sostenere... la mia riflessione infatti era più sul "come" che sul "cosa". A me non è mai interessato definirmi né l'uno né l'altro... mi piace conoscermi attraverso le domande che un viaggio mi apre... quindi, in quale delle tue categorie mi collochi? ;-)

Zio Effe ha detto...

Mannaggia però, quando io insulto tu mi devi insultare, mica fare la simpatica, che poi finisce che col cuore che mi ritrovo smetto di insultare... e a me piace tanto insultare...

Vabbè

donneincontatto ha detto...

Puoi sempre provarci con un nuovo post... ;-)