sabato 31 dicembre 2016

parole per l'anima #14


Siamo arrivati all'ultimo post dell'anno.
Questo 2016 è stato molto intenso per me, ho dedicato tantissime ore alle persone in studio e di conseguenza ho avuto meno tempo per scrivere sul blog. 
Nonostante il tempo per scrivere sia per me un momento di qualità e rigenerazione, ho preferito dedicarmi a stare all'aria aperta, fare passeggiate, leggermi un romanzo, trascorrere giornate in famiglia e trovare il mio silenzio interiore. 
Ho preferito insomma avere uno spazio per ascoltarmi e ritrovarmi, seguendo i miei bisogni e desideri, che spesso erano molto lontani dallo schermo di un pc.

Questo è l'augurio che sento di fare a ciascuno per questo anno che verrà: riuscire ad ascoltarsi nel profondo e dare spazio a ciò che vi fa stare bene e nutre la vostra anima. 
Al di là dei propositi e dei progetti, avere un luogo interiore dove poter essere se stessi è un oasi di benessere senza tempo. 

Però, per mantenere la tradizione del blog, qui sotto troverete delle frasi evocatrici che potete portare con voi in questa notte di passaggio e scegliere di tenere come memorandum - a volte serio altre semiserio - per i giorni che verranno.











Vi auguro dei giorni intensi e appassionati, pieni di ciò che siete
Buon anno!
virginia

martedì 15 novembre 2016

parole per l'anima #13


A chi non farebbe paura un drago? 
Nella simbologia archetipica, il drago rappresenta l'energia del materno castrante, della simbiosi uroborica, dalla quale occorre uscire per individuarsi e fondarsi come identità autoaffermativa. 
In questo senso va interpretata la frase di Rilke. 
Come il drago dell'immaginario sorveglia la grotta che cela un tesoro, così le nostre paure ci impediscono di accedere a contenuti interiori spaventosi ma che allo stesso tempo ci attraggono inspiegabilmente, ed è per questo che ci troviamo a spiarle da un posto sicuro: stiamo cercando un modo per metterci in contatto con loro. 


Poi però, molto spesso ce ne difendiamo: 
"è troppo tardi per dedicarmi a questa cosa che avrei tanto desiderato quando ero giovane..."


"Ne soffro ma devo frapporre fra me e il mondo una maschera che dimostri che va tutto bene"...
"Non si può mostrare la propria vulnerabilità"...


"Se non conosco dove mi porta questa strada non la inizio neppure..."


E potrei citare moltissime altre affermazioni che ciascuno di noi si racconta per riuscire a tollerare lo scarto fra la paura e il desiderio. 

Ma che succederebbe se per un po' di tempo provassimo a tenere per mano quegli aspetti che temiamo di più?  No, non dico ancora viverli, ma semplicemente sentire che effetto fa non combatterli, lasciare che almeno una parte di quella paura si trasformi in curiosità. 


Qualora lo facessimo, ci accorgeremmo che quel terrore non è altro che una "chiamata" repressa.
La paura dell'ignoto, una tensione verso qualcosa di più evoluto che si manifesta.
Il blocco, un'energia congelata.


Rispondi a ogni chiamata che emoziona 
la tua anima.

E come la sirena che è attirata dalla terraferma, sapremmo che nonostante ci siano molti aspetti che ci rassicurano, ce ne sono altri che ci portano altrove.
A dover fare delle scelte.


Si tratta di un sacrificio, ma nel senso di sacrum - facere rendere sacro qualcosa 
di davvero importante. 
Se infondo alla grotta c'è un aspetto di noi che vuole emergere, dobbiamo affrontare la realtà che non si può essere e avere tutto. O per lo meno, non si può lasciare tutto com'è e allo stesso tempo cambiare. 
E' necessario rinunciare ad aspetti conosciuti.
Come in tutti i processi trasformativi chimici, qualcosa si perde e si distrugge, 
ma quello che si ottiene è una sintesi completamente nuova che contiene in sé 
anche ciò che è perduto.  

La soluzione non è sconfiggere il drago uccidendolo, 
bensì integrandolo nella propria vita in una visione più armonica e completa. 
Scoprendone i lati gioiosi e vitali.


Con quale drago vuoi fare amicizia da domani?



Che i prossimi mesi possano essere un periodo 
di meravigliosa trasformazione.

Buona settimana
virginia 

lunedì 7 novembre 2016

il coraggio di una vita autentica



Sarà perché sto leggendo il libro “Così è la vita” di Concita De Gregorio (che vi consiglio, perché parla in maniera lieve e poetica dell'argomento profondo e doloroso che è la morte) o forse perché non dimentico mai gli anni di lavoro nel reparto dei morenti quando mi trovo a fare i conti con tutte le altre sofferenze quotidiane dei viventi – non tralasciando mai di portare testimonianze di significato di ciò che ho appreso in quei giorni ospedalieri – o forse è solo per questo week end piovoso che mi porta a riflessioni sfumate di grigio, che mi trovo a scrivere oggi sul senso del vivere.

Spesso mi interrogo, se dietro all'apparente ricerca della soluzione di un problema o di un sintomo, in realtà la terapia non sia altro che un continuo tentativo di trovare un significato a quell'insieme di eventi, persone, vissuti e azioni che solo alla fine potremo chiamare la “nostra” unica e irripetibile vita.
Ritengo che l'obiettivo finale di qualsiasi terapia sia quello di riuscire a vivere più pienamente la propria identità, ovvero vivere riuscendo ad essere se stessi, senza lasciarsi bloccare o frenare da aspetti interiori boicottanti.
Vivere e non sopravvivere.

Se dovessi riassumere in tre frasi le parole che maggiormente ho ascoltato in quelle corsie ospedaliere di cui vi parlavo poco sopra, sarebbero:
  • Ho dedicato poco tempo a me e troppo agli altri, mettendo i miei bisogni sempre dopo i loro
  • Ho lavorato molto ma mi accorgo che ho perso tante altre cose importanti della vita
  • Non ho coltivato i miei rapporti come avrei desiderato: ci sono molte cose che non ho detto o non ho fatto, pensando di avere sempre tempo per farlo

Questi temi sono spesso oggetto di riflessione nella stanza di terapia, ma mai li ho trovati così importanti e urgenti come nel momento della malattia o della fine.
Quindi mi chiedo: perché dobbiamo necessariamente attendere il bilancio definitivo per rendersi conto che qualcosa sarebbe potuto essere altrimenti?
Non è possibile rendere oggi la nostra vita più piena e auto-realizzativa?
Per farlo è necessario operare delle scelte.
E quando dico questo alle persone che siedono davanti a me, mi ritrovo occhi perplessi e smarriti che mi fissano lasciando trapelare timori da cataclisma.
In realtà non mi riferisco a cambiamenti radicali o colpi di testa.

la vita vera è vissuta quando vengono fatte le piccole scelte. Ma è solo con i cambiamenti infinitesimali, quelli che nessun altro percepisce, che hai la speranza della trasformazione” (Lev Tolstoj)

Il cambiamento vero e duraturo è paziente e costante, è un processo, non un atto.
L'atto arriva solo quando tutto dentro è pronto per il grande passo, e in quel momento sarà così spontaneo e naturale che vi stupirà, perché quell'azione sarà il gesto della nuova persona che siete diventati, non quello disperato di chi eravate prima.
E se state facendo qualcosa di intimamente affine alla vostra anima, qualcosa che appaga profondamente i vostri desideri, anche il tempo sarà relativo.
L'importante è sentirsi vivi durante il viaggio, perché niente vada sprecato.

Non scegli come morire. O quando.
Puoi solo decidere come vivere. Ora.
(Joan Baez)

buona settimana
virginia 

lunedì 31 ottobre 2016

Pillole di autostima



Lavorando nella stanza di terapia con molte donne – ma spesso anche con uomini – nell'ambito delle relazioni affettive, prima o poi ci confrontiamo con il tema dell'autostima.

Soprattutto quando una relazione è tossica, quando c'è o c'è stata una dipendenza, è inevitabile interrogarsi sui perché quella persona ha accettato un tipo di rapporto non appagante o addirittura nocivo e doloroso.
Indagando a fondo emergono forti insicurezze riguardo il proprio valore, ovvero convinzioni limitanti su se stessi che portano a dubitare di meritarsi qualcosa di meglio o di diverso.
Se poi aggiungiamo che spesso il partner soverchiante non fa altro che rincarare la dose e aumentare le svalutazioni per riuscire ad avere l'altro sotto il suo controllo, capite che la situazione può solo peggiorare di giorno in giorno.

Il manipolatore però si insinua in un terreno che è già pronto per la sua semina infestante.
L'autostima delle donne e degli uomini che cadono nella “trappola” è già minata alla radice, quindi quando si sentono dire “sei tu che mi fai comportare così” non possono che crederci.
Sono loro che in lacrime mi dicono “forse se cambio, se lo/la so prendere diversamente, se capisco di più il suo punto di vista, alla fine le cose andranno bene” e nei casi estremi il motivo per il quale arrivano in terapia è proprio quello di cercare soluzioni per migliorare le cose, piuttosto che strategie per liberarsi di lui/lei.

In realtà l'unica via percorribile è quella di ritrovare se stessi, di lavorare per l'accettazione di sé e l'autoaffermazione, unico antidoto al desiderio di essere come l'altro vuole che siate.
Non si tratta di una ricetta standardizzata né di un bottone che si accende o spegne, bensì di una riflessione profonda che parte dalla necessità di liberarsi delle false immagini di sé con le quali vi siete identificati (ne abbiamo parlato anche qui).

Occorre dunque lavorare contemporaneamente su tre livelli: corporeo emotivo e cognitivo.
Intrecciare le scoperte in maniera sapiente in base alla propria storia e nel rispetto della personalità di ciascuno.
Dato che come al solito si tratta di un percorso unico e “artigianale” voglio però darvi qui alcuni piccoli esercizi che spero possano servire da spunto di riflessione per iniziare o anche rinforzare la vostra autostima.

Livello corporeo:
su questo piano conosciamo i nostri difetti a menadito, siamo pronti (più facilmente pronte!) a distruggerci con un solo sguardo, elencando tutto quello che manca e che ci impedisce di essere soddisfatti.
Potete provare per un momento a cambiare punto di vista?
Potete concentrarvi su quello che c'è invece che su quello che manca?
Esiste una parte del vostro corpo che vi piace o che considerate in modo benevolo?
Quando la trovate provate a vivere una giornata concentrandovi solo su quell'aspetto positivo, come se da quel punto di forza si potesse sprigionare tutta la vostra bellezza.

Livello cognitivo:
spesso su questo piano occorre scovare le convinzioni erronee che vi condizionano.
Può trattarsi di “etichette” che vi sono state date fin dall'infanzia ad es. “hai un caratteraccio, nessuno ti vorrà mai!” o “sei troppo sensibile, alle donne piacciono gli uomini duri!” ma anche opinioni che avete su voi stessi, dedotte da eventi che vi hanno colpito nella vostra vita (es. se in casa vostra l'affettività non era espressa potreste aver imparato a non manifestare le vostre emozioni, celate sotto la frase “non sono una persona che fa smancerie”).
Una volta individuate occorre che vi accorgiate dove e come vi impediscono di essere pienamente voi stessi e provare a vedere cosa succede nel momento in cui provate a dare spazio nella vostra vita a quell'aspetto condannato.

Livello emotivo:
per potenziare questo piano, è necessario nutrirsi di tutto quello che vi fa stare bene e incrementa il senso di voi stessi.
Alcuni spunti possono essere questi:
  • scrivere 5 attività (leggere, scrivere, ballare, massaggiare, fare bagni rilassanti, lavorare, mangiare buoni cibi, oziare, meditare, odorare buoni profumi, fare l'amore, conversare, camminare, ecc...) che vi piace praticare e perché.
  • Scrivere piccoli o grandi traguardi raggiunti fino a oggi e di cui vi sentite soddisfatti.
  • Scrivere luoghi e/o persone che vi piace frequentare e che vi fanno stare in pace e perché.
Potete trovare altre idee e riflessioni nel libro di Paola Leonardi “Il coraggio di essere noi stesse. L'autostima al femminile e non solo” Baldini Castoldi Edizioni.

Buona settimana
virginia

lunedì 19 settembre 2016

Sulla fertilità



Qualche settimana fa è scoppiato il caso del Fertility Day – la campagna del Ministero della Salute che attraverso slogan pubblicitari discutibili da diversi punti di vista, voleva promuovere il concetto di fecondità femminile e quindi incentivare le nascite italiane, sempre meno numerose.
Ho atteso un po' di giorni prima di scrivere qualcosa, perché lungi dal fare polemica – sui social ce n'è stata fin troppa, anche se in alcuni casi con articoli acuti e intelligenti – volevo percepire qualcosa di più rispetto allo sdegno e alla rabbia collettive.
Volevo riflettere e andare più in profondità, perché questo lavoro mi porta ad osservare che laddove c'è suscettibilità, spesso è celato un conflitto interiore e quando la reazione è molto forte, occorre trovare la corda sensibile che è stata toccata.
Così mi sono chiesta: quanti e quali dolori ha risvegliato quel messaggio che all'apparenza esorta alla vita a alla gioia?
Ho immaginato di poter dar loro voce, creando monologhi che affondano le radici nelle verità che ascolto ogni giorno, ma da quelle prendono solo lo spunto, vivendo qui di vita propria.
Sono voci apparentemente diverse e protagoniste di storie che sembrano inconciliabili, ma tutte possibili nella vita di ciascuna donna.

Un battito di ciglia.
Forse è questo il tempo in cui ha sostato nella mia pancia.
Mi prendono tutti per matta ormai, perché ogni mese sostengo di essere capace di “sentire” se quell'incontro di cellule è stato fecondo oppure no.
Ma inesorabilmente al posto del battito di vita riesco solo a generare un grumo di sangue raccolto da una carezza assorbente.
Eppure lo so che proprio quel mese là, qualcosa era cambiato.
Una donna lo sa.
Una madre lo sa ancora di più.
E io lo sono stata, anche se solo per un battito di ciglia.


Sto male.
Mi sento come imprigionata fra queste quattro mura.
Prima di lui qui mi sentivo una regina, adesso mi sento una schiava che non ha via d'uscita.
Questo fagotto che strilla nella culla non si accontenta del latte che ormai stenta a uscire dai miei aridi seni: possibile che assorba come spugna tutta la vita che prima mi scorreva nelle vene?
Sono un mostro, lo so.
Non mi merito questo figlio.
Ma sono stanca, non dormo da mesi, tutto mi sembra difficile, irraggiungibile, un tormento senza fine.
Mi interrogo senza trovare risposte.
Dove è quell'idillio che vedi nelle vite delle altre?
Dove sono i gorgheggi? Dove sono i sorrisi? Dove l'estasi e la gioia?


È tutta una questione di scelta.
Arriva un momento nella vita in cui devi decidere, fra te e un ipotetico bimbo che potrà cambiare il tuo futuro.
Io ho scelto il cambiamento.
Dopo anni dedicati a cercare una mia dimensione – anni pesanti di libri e viaggi lontano da casa – ho deciso finalmente di fermarmi.
Ho desiderato mia figlia con l'entusiasmo dei vent'anni, anche se ne avevo già trentacinque.
Lei è arrivata, senza farsi attendere, piombata nella nostra vita, pronta ad accoglierla.
Credevo di poter scegliere anche dopo di lei.
Invece mi ritrovo in un limbo di incertezza, perché si sa, in questo paese mamma e professionista sono due parole mutuamente escludentesi, a priori, ma l'ho imparato a mie spese.
Io però sono pronta a cambiare ancora, è l'unica scelta che mi resta.
Lo faccio per me. E adesso anche per lei.


La soglia.
Arrivata ai trenta, con un marito, una casa e un lavoro, cominci a far caso agli sguardi interrogativi degli altri che si dividono fra quelli di pena e quelli di biasimo.
Non so quali sono quelli che odio di più.
I primi si soffermano su di te quando si parla di figli altrui, incerti se l'argomento sia o meno un tasto dolente. I tradizionalisti semplicemente posano occhi addolorati su quella che credono una misera condizione femminile, privata dal fato, del normale corso delle cose.
I più libertari incedono con fare indagatore, attenti a non ferire né fare gaffe difficili da bonificare, lasciando sempre uno spiraglio alla possibilità di un'alternativa.
Gli occhi che condannano invece arrivano pungenti e diretti, le rare volte in cui ti esponi affermando che no, non è una sciagura, è una scelta quella di non essere madre. Anche qui, gli ortodossi sentenziano sicuri, gli altri si limitano a lasciare sospesi nell'aria i perché.
Resta comunque difficile spiegare a chi crede di avere già capito tutto.


Questi frammenti di storie rendono omaggio alle emozioni più intime, ciascuna degna di essere ascoltata.
Oltre alla sensibilizzazione medica dovrebbe essere maggiormente divulgata anche quella psicologica, perché ci sono ancora troppe storie di sofferenza femminile che non trovano terreno fertile per essere narrate.
È importante raccontare e dare testimonianza, più che arrabbiarsi e sguainare le spade, perché è solo nella narrazione e condivisione che la sofferenza si supera.

Buona settimana
virginia

[avevo già parlato di altre forme di dolore legate alla mancata maternità, se vuoi lo trovi qui]

giovedì 1 settembre 2016

parole per l'anima #11



Ogni ulteriore fase della tua vita
richiederà che tu esprima
una diversa parte di te

Il primo settembre rappresenta una linea di confine: un passo indietro si respira ancora l'aria della pausa vacanziera, un passo in avanti e si riparte con il cadenzato ritmo di giornate programmate.


Ancora di più che all'inizio dell'anno, questo giorno può diventare l'occasione per esprimere propositi e progetti



Ci sono però ulteriori momenti della nostra vita che segnano una frontiera fra qualcosa che è stato e quello che sarà. 
Parlavo stamattina con una donna che fra poco sarà mamma, di quell'ultima giornata in cui sarà quella che è oggi e solo dopo poche ore sarà qualcuno di completamente diverso, perché entrerà in contatto con la vita che porta dentro, incontrandola negli occhi. 
Ieri invece ascoltavo un'altra donna cominciare a riflettere al momento in cui lascerà il lavoro per la pensione, altro passaggio fondamentale, nel quale il semplice andare avanti di ventiquattro ore delle lancette, segnerà una differenza epocale, di ruolo, identità e stile di vita. 

Creando questo post ho voluto condensare e rendere omaggio all'energia di queste "terre di confine", dove c'è qualcosa che viene meno e ci lasciamo alle spalle, ma allo stesso tempo dove si cela una potenzialità ancora inespressa, tutta da scoprire. 

Può essere l'occasione buona per liberarsi da vecchi condizionamenti



O per concedersi quel riposo e quel tempo per sé che mai si è potuto godere a pieno


Possiamo finalmente cambiare punto di vista su molte cose


O semplicemente crearsi spazi su misura


Per qualcuna può diventare importante sperimentare il silenzio e l'introspezione


Per qualcun altra può essere il momento di concedersi qualcosa sopra le righe


Il passo fondamentale è cominciare, con animo curioso e aperto, uno spirito pioniere di terre inesplorate; 
perché l'importante è che qualsiasi sia il vostro progetto siate felici nel realizzarlo.


buon week end
virginia

(fonte immagini: Pinterest)

lunedì 29 agosto 2016

La tecnica dell'EMDR nella risoluzione del trauma





Gli ultimi tragici eventi che hanno colpito Amatrice e le aree circostanti, mi danno l'occasione di parlarvi di una tecnica psicoterapeutica che uso da un po' di tempo, ovvero l'E.M.D.R. (Eye Mouvement Desensitisation and Reprocessing).
Si tratta di un metodo che serve ad elaborare i ricordi traumatici, attraverso la loro rievocazione prima e riorganizzazione successivamente.

Come avviene?
Francine Shapiro, alla fine degli anni '80, fece una primissima scoperta in maniera casuale: stava passeggiando nel parco e allo stesso tempo rievocando eventi traumatici.
Si accorse che il movimento dei suoi occhi da una parte all'altra dell'ambiente facilitavano la rievocazione e l'elaborazione di ciò che stava ricordando, così cominciò a sistematizzare queste osservazioni in protocolli di ricerca standardizzati.
Così è nato l'EMDR, che consiste appunto nell'applicazione di un protocollo in otto fasi, che prevede la definizione di un evento traumatico secondo criteri misurabili e la sua ripetizione mentale mentre si stimolano gli occhi in maniera bilaterale.
Mi rendo conto che descritto così risulta un po' complesso, ma come dico sempre ai miei pazienti , contrariamente a tante altre tecniche “l'EMDR è più facile a farsi che a dirsi”.

Perché funziona?
Numerosi studi effettuati a partire da questa scoperta hanno dimostrato che il trauma – di qualsiasi natura sia – si cristallizza nella nostra mente sotto forma di una immagine fissa che si ripete tale e quale ogni volta che lo contattiamo anche solo nel pensiero, provocando le stesse reazioni emotive e neurovegetative di allora (es. paura, sudorazione, palpitazioni ecc...), perché viene immagazzinata secondo significati che afferiscono solo a uno dei due emisferi cerebrali (quello emotivo o quello logico-razionale).
Attraverso l'EMDR si agisce direttamente su questa immagine disfunzionale, desensibilizzando le reazioni ripetitive e riorganizzando la capacità di affrontare la stessa realtà in maniera diversa.
Sembra che la stimolazione bilaterale degli occhi o del tocco, permetta di rimettere in connessione i due emisferi cerebrali, “liberando” l'immagine delle associazioni negative legate al trauma, recuperando informazioni più armoniche, capaci di sviluppare la resilienza, ovvero la capacità di affrontare in maniera positiva lo stesso evento.
Obiettivo della tecnica è dunque “lasciare il passato nel passato”, perché niente può essere cancellato, ma quando la persona si ricorda di nuovo dell'episodio le sembra improvvisamente come più lontano, ma soprattutto svaniscono le emozioni e convinzioni negative associate fino al giorno prima e così dannose per il benessere psichico.

Per quali traumi?
In EMDR si distinguono traumi “T grande” e “t piccolo”.
I primi sono quegli eventi che mettono a repentaglio la sopravvivenza della persona, ad es. un terremoto e tutte le catastrofi naturali, un attentato, un grave incidente o una violenza subita, una malattia, ma anche uno shock per un lutto improvviso, un incidente dove siamo coinvolti e qualcuno ha perso la vita, un evento acuto che sconvolge la nostra esistenza e nulla sembra più come prima.
Gli eventi t piccolo invece sono quei traumi che si possono avere nel corso della propria esistenza che comunque alterano il benessere e possono essere vissuti come condizionanti per gli eventi successivi (es. episodi di bullismo a scuola, un genitore assente o denigrante, un evento dell'infanzia o adolescenza che ha lasciato segni, una separazione, una bocciatura, ma anche un episodio di panico ecc...)

Quanto tempo ci vuole?
Dipende dal trauma su cui si va a lavorare.
Paradossalmente la prognosi è migliore per gli eventi T grande soprattutto se affrontati nel periodo immediatamente successivo all'accaduto.
Ad es. fra gli psicologi dell'emergenza attivati come supporto nei disastri ambientali c'è sempre una delegazione di esperti in EMDR, per lavorare fin da subito all'elaborazione di ciò che è successo.
Anche nella mia esperienza, lavorando con pazienti subito dopo incidenti o diagnosi di malattia, sono bastate dalle 3 alle 5 sedute per avere un sollievo dai sintomi tipici del trauma acuto che portano alla diagnosi di Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS) e un mantenimento nel tempo (da 1 a 2 sedute al mese) per mantenere gli effetti e stabilizzarli.
Il trauma cd. “piccolo” invece necessita di un lavoro più accurato, soprattutto quando è lontano nel tempo e quando alcuni aspetti della personalità si sono modellati a partire da esso. In tal caso si tratta di seguire ed elaborare ulteriori eventi o traumi che l'immagine iniziale fa emergere e scioglierli uno ad uno.

E se poi sto peggio?
Questo è un timore che assale qualcuno quando propongo l'uso di questa tecnica, perché come difesa noi tendiamo a non voler ripensare volontariamente a ciò che ci fa soffrire, sperando che col tempo svanisca da solo (questo accade spesso quando si lavora sugli episodi di attacchi di panico, dove la paura della paura impedisce di essere obiettivi nel ricordo).
L'idea di farlo, rientrando immaginativamente dentro all'episodio, può attivare il rifiuto protettivo, ma meglio eseguirlo in maniera guidata e con delle ancore di emergenza che “subirlo” in maniera coatta quando meno te lo aspetti perché i flashback del trauma si presentano di continuo.
Proprio perché – come dicevamo sopra – il trauma è immagazzinato in modo fisso, l'unico modo per scioglierlo è ampliarne i significati agganciandosi a esperienze positive e risorse dell'individuo già presenti ma conservate in altre aree cerebrali.
In più, partiamo sempre in questa tecnica con la possibilità di evocare un'immagine di sicurezza e protezione che viene costruita e “fissata” nei benefici prima di lavorare sul trauma vero e proprio: questa diventa un'ancora di emergenza nel caso in cui l'elaborazione risulti troppo difficile o dolorosa.
Nella mia esperienza posso dire che nella maggior parte dei momenti critici è bastato proseguire nell'elaborazione senza neppure usare il “posto sicuro” permettendo alle emozioni di esprimersi, sciogliere i nodi e allentare le tensioni congelate nel corpo.

L'elemento che a mio avviso fa la differenza in questa tecnica è il riuscire a cogliere il trauma su tutti e tre i suoi livelli – fisico, emotivo e cognitivo – e riconnetterli in un senso più ampio quando sono dissociati o separati, col fine di permettere alla persona di riappropriarsi della sua vita in maniera completa e armonica.

A voi buona settimana
e un pensiero speciale a coloro che stanno affrontando con coraggio la ricostruzione, delle loro case e della loro identità.
virginia

giovedì 25 agosto 2016

parole per l'anima #10


Tu sei molto di più 
degli errori
 che hai commesso

Come abbiamo visto lunedi (qui) la tendenza all'autoaccusa è una subdola realtà insita in ognuno di noi. 
E' opportuno valutare ciò che ci è accaduto da diversi punti di vista, non rimanendo ancorati solo alla posizione di vittima - è auspicabile chiedersi sempre "come ho partecipato io a questa dinamica?" piuttosto che andare alla ricerca di colpevoli - ma quando indugiamo troppo nella posizione del giudice che condanna i propri comportamenti, bisogna accendere una lampadina di allarme e attenzione. 
Concentrandosi solo sui propri sbagli non si fa altro che alimentare il senso di colpa, le lacrime di coccodrillo che attanagliano e impediscono di evolvere



Si perde l'obiettività, non si hanno più i piedi radicati a terra perché ci si trova come sospesi, in attesa del giudizio universale


Arriva un momento in cui è necessario rimettere i piedi a terra e ripartire


Qualsiasi cosa tu abbia fatto in precedenza
accettalo e lascia andare.
Non sei perfetto.
Sei capace di fare errori.
Smettila di nasconderti dalle ombre del passato.
Non rimanere intrappolato nell'oscurità di questi ricordi distruttivi.
Lascia che filtri la luce e brilli su di te.
Perdonati, perché è l'unica strada per ricominciare




Un momento di compassione per se stessi 
può cambiare una giornata
Una serie di tali momenti 
può cambiare 
il corso della tua vita

buon week end 
virginia 

(fonte immagini: Pinterest)