martedì 23 dicembre 2014

Parole per l'anima #48

Approfitto della rubrica "parole per l'anima" dato che quest'anno il Natale cade di giovedi, per ringraziare tutt* voi per seguirmi e leggermi con assiduità. 


Auguro a ciascun* di trascorrere queste festività come più vi piace, con le persone che amate e di ritagliarvi spazi di significato pieni di vita da portare sempre con voi, conservati nell'anima.


e Buone vacanze! 
virginia 

lunedì 22 dicembre 2014

Ancora sul narcisismo patologico



Ne abbiamo già parlato varie volte quest'anno (qui, qui e qui) ma poiché non smetto mai nel mio lavoro di incontrare donne che finiscono nella tela del ragno narcisista, una volta in più voglio cogliere l'occasione per parlarne, per tentare di stimolare quell'intuito del pericolo che dovrebbe far scappare ogni volta che ne incontrate uno, e non finire intrappolate e divorate.
Voglio però al solito fare una premessa: non si sta parlando di buoni o cattivi.
Né solo di vittime e carnefici o colpevoli e innocenti.
Voglio che sia sviluppata la consapevolezza di una dinamica, un legame che è fatto da due persone che in qualche modo “collaborano” pur se in maniera disfunzionale a far si che il rapporto perduri nella disfatta.
Come metafora oggi userò il testo dell'ultima canzone di Carmen Consoli, ascoltata in radio qualche giorno fa (trovi qui il video) 

Già il titolo evoca il nucleo fondamentale di questo personaggio: “l'abitudine di tornare”.

Tornare è un’abitudine
Per quelli come te
Sommersi e annoiati dai ritmi di sempre

Il narcisista non chiude mai definitivamente una porta (per poter tornare) e il/la partner è sempre pronto/a a riaprirla – perché in ogni caso è a lui/lei che è deferita la responsabilità di ogni decisione – per poi sentirsi dire “potevi anche fare a meno di aprire, mica ti ho obbligato/a?”

Confesserai mai a tua moglie
Che sabato dormi con me
Da circa dieci anni tra alti e bassi
[...]
Tornare è un’abitudine
Per quelli come te
Fedeli ancorati, all’ovile di sempre

Il bisogno di base è quello di avere conferme da più persone possibili, per cui anche il non riuscire a lasciare la propria famiglia o un/a compagno/a ufficiale – se ci sono – fa parte del quadro disfunzionale.
A volte va e torna anche da loro, oltre che dall'eventuale amante.
Cosa lo fa tornare? La noia e la ricerca spasmodica di nuove emozioni, per questo gli alti e bassi sono più una necessità che una contingenza.
Se non c'è (il falso) addio plateale, come può esserci il ritorno trionfale (per il suo ego)?

Ma io non posso chiedere
Io non devo chiedere
Sarai tu a rispondere se vorrai

Ma io non posso piangere
Io non devo piangere
Sarai tu a decidere se vorrai

Un'altra costante è che il/la partner non deve chiedere.
È solo il narcisista che dà, come e quando vuole, a suo piacimento.
È capace di slanci che vengono (male) interpretati come manifestazioni d'amore, mentre sono solo agiti che dimostrano a se stesso/a la sua capacità di essere indispensabile e di specchiarsi negli occhi adoranti dell'altro/a.

[...]
Sarai tu a rispondere
Sai sempre rispondere
Sarai tu a rispondere
Sai sempre rispondere.

Il/la narcisista ha sempre una risposta pronta, ma non è mai quella che servirebbe per chiarire definitivamente le cose.
Ricordate le “Parole di burro” sempre della Consoli di tanti anni fa?

Narciso parole di burro
Nascondono proverbiale egoismo nelle intenzioni
Narciso sublime apparenza
Ricoprimi di eleganti premure e sontuosità.

Si tratta di risposte funzionali a lasciare ulteriori interrogativi, dubbi, incertezze nell'altro/a: “se farò come dice lui/lei forse le cose andranno bene... in effetti ho esagerato, non si merita questi miei comportamenti... riesco sempre a rovinare tutto con le mie richieste pressanti... forse sono davvero io quello/a sbagliato/a”

In realtà lo sbaglio in sé non esiste.
Esiste la possibilità di rendersi consapevoli della dinamica perversa che porta inevitabilmente a cadere nella tela di quel ragno che fa il suo lavoro, al di là del demonizzarlo o meno.
Il ragno fa il ragno.
Ma la farfalla può sempre imparare a riconoscere da lontano quello scintillio della rete che inganna e decidere di volare altrove.
Come nel video della canzone, versione moderna del Mago di Oz.
Si può nel percorso riappropriarsi del proprio intuito/astuzia, del cuore saggio e del coraggio di affrontare le paure e poi finalmente tornare a casa, la propria, e smetterla di ospitare, rifocillare e farsi predare dalle insicurezze altrui.

Buona settimana
virginia

giovedì 18 dicembre 2014

parole per l'anima #47


Comincia da dove sei.
Utilizza ciò che hai.
Fai quello che puoi.

Continuo da dove ci eravamo interrotti giovedì scorso (qui).
Altro mito da sfatare è quello del "non lo faccio tanto non cambia niente". 
Il cui corollario è "vorrei tutto e subito" oppure "se non è  perfetto, inutile fare qualcosa". 

Si può cominciare ad agire - che sia per cambiare una situazione oppure raggiungere un obiettivo - con un primo passo, una telefonata, una lettera, un viaggio. 
Con i mezzi che abbiamo, fossero anche solo le nostre emozioni o le nostre parole. 
Facendo quello che è possibile,  qui e ora. 

Siamo quasi alla fine di quest'anno, ma ogni nuovo giorno può essere portatore di scelte piene di significato. 
Perché non tutto quello che finisce viene per nuocere. 












buon week end 
virginia 

(fonte immagini: Pinterest) 

lunedì 15 dicembre 2014

L'arte e l'amore che risanano

(Marc Chagall e la moglie Bella)


Ancora in ottobre, in occasione del post sulla mostra “Dialogo nel buio” (qui) vi avevo anticipato che avrei parlato presto anche dell'altra mostra visitata in quell'occasione: Marc Chagall, una retrospettiva.
Ci ho messo un po' perché ho voluto leggere anche la sua autobiografia, ovvero “Ma vie” edita da SE.
Volevo entrare nella vita di quest'uomo che ha fatto della sua arte un susseguirsi di scenari onirici, dove i personaggi sono reali ma allo stesso tempo potrebbero appartenere all'inconscio, protagonisti di un immaginario intimo che si fa pittura concreta sulla tela.

Fedele al metodo analitico, passeggiando per le sale di Palazzo Reale, ho lasciato che le tele mi “parlassero”, ho osservato i particolari, i colori, i soggetti e associato le tematiche con i dettagli della vita del maestro, che la voce della curatrice mi narrava, attraverso le cuffie dell'audio guida.
L'aspetto che più mi ha incuriosita è stato il tema del “sottosopra”.
Già a partire dal quadro “Io e il mio paese” (1912) c'è una donna capovolta, sulla strada di Vitebsk, di fronte al volto dell'uomo verde che rappresenta il pittore.



Qualche anno dopo, un autoritratto, “l'uomo con la testa rovesciata” (1919) che mostra il pittore sui tetti, mentre guarda il mondo da altre prospettive, non solo dall'alto, ma anche al rovescio.



E' curioso che la firma sia in alto a sinistra, pure lei rovesciata, "cosicché si possa interpretare il quadro sia in un senso che nell'altro" mi sono detta. Da qui il dubbio: qual è il senso corretto? Chi può deciderlo?

Finché sono giunta in una sala più piccola, piena di tavole minuscole, disegnate su carta, bozzetti preparati apposta per la sua autobiografia.
Ecco che incontro ancora il pittore a testa in giù (Al cavalletto – tav. 18) 




e poi vengo rapita da un altro disegno che purtroppo non è presente né fra le tavole del libro, né sono riuscita a trovarlo online: rappresenta la nascita di Chagall, precisamente il momento in cui lui e sua madre vengono tratti in salvo dall'incendio che si è propagato poco dopo che ha visto la luce.

la prima cosa che mi è saltata agli occhi è stata una tinozza. […]
Io non me ne ricordo – è stata mia madre a raccontarmelo – ma proprio al momento della mia nascita, nei pressi di Vitebsk, in una casupola, vicino all'argine, dietro una prigione, scoppiò un grande incendio.
La città bruciava, il quartiere dei poveri ebrei.
Hanno trasportato il letto e il materasso, la mamma col piccolo ai suoi piedi in un luogo sicuro, all'estremità opposta della città.
(Ma vie, pag. 11-12)

la mamma col piccolo ai suoi piedi” ecco la chiave di lettura che mi ha aperto una possibile “teoria”.
Il rapporto con la madre è il primissimo imprinting delle nostre relazioni future e del modo di vedere il mondo.
In una ricostruzione immaginata, aiutato dal racconto della madre e attingendo da frammenti inconsci di un evento impossibile da ricordare in maniera consapevole, Chagall disegna la scena dove lui è un fagottino dentro una tinozza ai piedi di sua madre, mentre uomini forti la trasportano con il letto, salvandoli.
Mi piace pensare che il mondo per lui sia rimasto “capovolto” a partire da quella traumatica esperienza precoce.
Lui stesso ci racconta:

ma, innanzitutto, io sono nato morto.
Non ho voluto vivere. Immaginate una vescichetta bianca che non voglia vivere. Come se si fosse rimpinzata di quadri di Chagall. L'hanno punta con spilli, l'hanno tuffata in un secchio d'acqua. Alla fine emette un fievole pigolio.
In sostanza, sono nato morto.
Vorrei che gli psicologi non traessero da questo conseguenze disdicevoli. Per favore!
(pag. 12)

In realtà, da queste parole si possono trarre importantissime notizie che ci aiutano a capire il processo di quel genio, una “vescichetta” già piena di tutta l'arte possibile, pura creatività in potenza.
Testimonianza che il Sé, il seme della sua essenza fosse già presente, fin da principio.
Mi sono detta che l'esser posto ai piedi della madre, amore primordiale, guardandola dal basso verso l'alto, possa avere un significato nel suo tentativo attraverso l'arte, di capovolgere quell'essere venuto al mondo in un modo così bizzarro e pericoloso.

ecco l'anima mia. Cercatemi qui, eccomi, ecco i miei quadri, la mia nascita.” […] “vorrei dire che il mio talento s'era nascosto in lei, da qualche parte, che tutto mi veniva trasmesso attraverso di lei, tranne il suo spirito”
(pag. 19)

La madre che lo voleva commesso, che non capiva quell'arte che gli pulsava nelle vene, ma anche la stessa madre onnipotente – soprattutto se la si legge nella cultura ebraica – diventata regina una volta morta la nonna, capace di prevedere nei sogni le malattie dei suoi otto figli, che a lui primogenito si era appoggiata per superare la solitudine e liberarsi il cuore. In un certo senso è stato ai suoi piedi per la maggior parte della sua vita, finché non ha avuto il coraggio di andarsene e seguire la sua vocazione.

Non mi stupisce così di trovarlo a testa in giù di fronte agli altri amori della sua vita: la pittura e Bella, sua compagna di una vita.
Ma forse è proprio l'incontro con Bella che riesce a fargli modificare la prospettiva: nel famoso “la passeggiata” (1918) è lui a trovarsi coi piedi per terra e capovolgere la situazione mostrata ne “il compleanno” (1915) scena nella quale lui fluttua in cerca di un bacio dell'amata, proponendo la conosciuta contorsione prospettica dal basso all'alto.





Questo mi ha fatto riflettere a lungo, trovando al solito dei parallelismi con il lavoro terapeutico.
Le nostre esperienze precoci ci abituano a leggere eventi e situazioni da una sola prospettiva, proprio come Chagall, spesso ci troviamo a voler vivere attraverso contorsionismi che riconducano a qualcosa di conosciuto, anche se potremmo avere uno sguardo più semplice e diretto al mondo.
A volte pensiamo che quel modo di fare o di essere sia la cosa più spontanea mentre è solo la maniera che abbiamo creato per adattarsi al meglio a piccoli o grandi traumi della vita.
Se quel ragazzino già pieno di arte non si fosse ribellato al suo destino di commesso, chissà che tipo di vita avrebbe vissuto?
La vita di quest'uomo mi ha dato l'occasione di vedere all'opera l'energia del Sé, il nucleo originario che ciascuno possiede e che chiede di essere espresso nella nostra vita, secondo un disegno che è già dentro, pena la sofferenza se non viene realizzato.
Inoltre si può vedere anche la forza risanatrice dell'amore, di come un rapporto profondo e sano possa far tornare coi piedi per terra, ristabilendo un equilibrio che poi riesca a far volare  insieme 


(Sulla città - 1914-18)


e permettere allo stesso tempo alla felicità di metter radici. 

buona settimana
virginia 

giovedì 11 dicembre 2014

parole per l'anima #46


A volte sto bene
a volte no. 

Giusto per sfatare qualche mito. 
Ormai siamo convinti di dover essere sempre al meglio di noi, sempre performanti e in grado di dare il massimo. 
Ma la vita è fatta di momenti belli ma anche di momenti brutti. 
Di periodi facili e altri difficili. 
Ci sono giorni in cui è più facile sorridere, altri in cui possiamo essere tristi e altri un po' così... indecise sul da farsi, o meditabonde. 
Abbiamo moltissime qualità ma anche limiti. 
Ma noi siamo tutto questo allo stesso tempo, e la soluzione non è negare alcuni aspetti o stati d'animo ma lasciarli fluire, includerli piuttosto che escluderli, perché proprio come le fasi lunari o gli eventi naturali, anche la nostra interiorità subisce dei cicli fondamentali per riuscire ad esprimere la nostra completezza. 










Lei era come la luna - 
una parte di lei era sempre nascosta. 





Lei è bellissima e terrificante allo stesso tempo,
come la natura stessa 






Buon week end 
virginia 





sabato 6 dicembre 2014

Insta-book *3*




Eccoci arrivati ai suggerimenti mensili di lettura.
Ancora ispirata dai temi della settimana vi consiglio questi libri di genere "psi" ma divulgativi e accessibili a tutti.
Buon week end lungo!
virginia



venerdì 5 dicembre 2014

parole per l'anima #45


A volte ciò che hai più paura di fare
è la cosa che ti renderà libera

Come abbiamo visto lunedì (qui) ci sono aspetti che vengono definiti "psicopatologici" che conosciamo come sintomi insopportabili, ma a volte possono essere dei segnali che il corpo e l'anima danno per indicare che la strada della propria identità è stata smarrita.
Così accade che di fronte a quegli interrogativi necessari per ritrovare il filo della strada maestra verso se stessi, ci sentiamo al cospetto del vaso di Pandora, temendone solo il tragico epilogo. 
Ecco che immaginiamo di far uscire con la consapevolezza, tutti gli aspetti della nostra vita vissuti un giorno come mostruosi, inaccettati o forse solo bizzarri, fuori dagli schemi - funamboli personaggi al limite fra follia e normalità (che poi dico, "normalità" secondo il criterio di chi?).
Vi rivelo che la soluzione non è negarli e rifiutarli per l'ennesima volta. 
Occorre familiarizzare con le parti di noi che abbiamo tenuto imprigionate, giocare con il dèmone per far si di non doverlo vivere per sempre come démonio
Scoprire le proprie vulnerabilità per poterne fare un ricco tesoro invece di viverlo come vergognoso segreto. 
Lasciar sbocciare alla vita la propria bellezza nascosta. 
E poi riscrivere la storia, non lasciare che i "funamboli" interiori siano costretti all'anarchia per essere visti: è necessario attribuirgli un senso fra le pagine della nostra vita. 
Fino a trovare finalmente la chiave che schiuderà ciascuno alla "splendida promessa di ciò che può essere" (R. Assagioli). 











Tu hai il potenziale 
per fare cose meravigliose.
Si, Tu. 

Buon week end 
virginia

(fonte immagini: Pinterest) 

lunedì 1 dicembre 2014

Siamo tutti portatori sani di patologia?



Ognuno è amico della sua patologia
(Alda Merini)

Nonostante tanti anni di lavoro, un interrogativo spesso mi assale: che cosa può caratterizzarsi davvero e fino in fondo come psico-patologia?
Al di là della nosografia psicopatologica tradizionale che serve a creare un gergo comune per definire sintomi e segni di comportamenti che esulano dalla “norma”, chi e che cosa può arrogarsi il diritto di decidere che tutto in una persona è patologia? 
A volte sembra che si perda il significato e valore del soggetto dietro alle etichette di depressione, ansia, attacchi di panico, disturbi alimentari, psicosi ecc... 
In maniera sensatamente folle mi piace seguire il pensiero di James Hillman, secondo cui

vogliamo far tacere il rumore concettuale del gergo psicologico e creare, nello studio del terapeuta, un'atmosfera in cui i vari momenti ci parlino nei termini loro propri e noi rispondiamo nei nostri.
La terapia diventa allora la disciplina del cercar di scoprire cosa sono quei termini in ciascun caso – buttando via la diagnosi in favore dell'inventiva, terapeuta e paziente insieme, un linguaggio in comune adatto a questa particolare vita. Allora non stiamo cercando di scoprire e curare una malattia, stiamo cercando di inventare e parlare un linguaggio. 
È questa la cura: parlare alla vita e ascoltare la vita.
E lo scopo non è che la vita guarisca, o diventi normale, e nemmeno che cessino le sue sofferenze, ma che la vita diventi più se stessa, che sia più onesta con se stessa, sia più fedele al suo demone” (2005, pag. 95-96)

dove per demone si intende il δαίμων (dáimōn) socratico, il proprio genio, o angelo, quella scintilla che ci appartiene da sempre e che può guidarci verso la realizzazione.
Occorre comprendere che talvolta il genio sembra mostrarsi soltanto attraverso i sintomi e disturbi come una sorta di medicina preventiva che ci trattiene dal prendere una falsa strada (Hillman op.cit. Pag. 83).

Anche Edward Bach – medico inglese inventore della floriterapia – sosteneva una cosa analoga:
ciò che noi conosciamo come malattia è in ultima analisi il risultato finale causato nell'organismo, il prodotto finale di forze che agiscono nel profondo dell'animo umano. […] In sostanza, la malattia è il risultato di un conflitto fra l'anima e la mente […] sebbene in apparenza sia crudele, in realtà è benefica e utile e, se interpretata nel modo giusto, può guidare alla scoperta degli errori decisivi che abbiamo commesso, cosicché diventeremo persone migliori
(Bach, 1931 in Scheffer, I fiori che guariscono l'anima, 2003 pag. 56-58).

E infine anche Roberto Assagioli, il padre della Psicosintesi :
La frequenza dei disturbi che hanno origine spirituale va rapidamente crescendo ai giorni nostri, dato il numero crescente di persone le quali, consciamente o inconsciamente, brancolano per trovare la propria via verso una vita più piena
(Principi e Metodi della Psicosintesi Terapeutica 1973, pag. 44).

Noi siamo un colloquio” dice Hölderlin, citato da Galimberti (2009), il quale aggiunge:
il colloquio è fatto unicamente di parole, ma le parole non si dicono solo, si ascoltano anche. Ascoltare non è “prestare l'orecchio”, è farsi condurre dalla parola dell'altro là dove la parola conduce. Se poi, invece della parola, c'è il silenzio dell'altro, allora ci si fa guidare da quel silenzio. Nel luogo indicato da quel silenzio è dato reperire, per chi ha uno sguardo forte e osa guardare in faccia il dolore, la verità avvertita dal nostro cuore e sepolta dagli psicofarmaci la cui prima funzione è quella di mettere a tacere il cuore.
(I miti del nostro tempo, pag 175)

Già Otto Rank, l'enfant terrible della psicanalisi vedeva la nevrosi come un'opera d'arte mancata, da cui faceva discendere la necessità di una “terapia della creatività”.

Prendendo le mosse da tutti questi maestri, mi piace pensare al mio lavoro come a una paziente opera artistica e artigianale, fatta a quattro mani, le mie e quelle della persona che si rivolge a me, per creare qualcosa di unico e originale, autentico, come ogni vita può essere. 

"La terapia, o l'analisi, non è solo qualcosa che gli analisti fanno ai pazienti, essa è un processo che si svolge in modo intermittente nella nostra individuale esplorazione dell'anima, negli sforzi per capire le nostre complessità, negli attacchi critici, nelle prescrizioni e negli incoraggiamenti che rivolgiamo a noi stessi. Nella misura in cui siamo impegnati a fare anima, siamo tutti, ininterrottamente, in terapia."
(J. Hillman, Re-visioning Psycology, 1975)

buona settimana
virginia