mercoledì 29 febbraio 2012

Divorzio breve o abolizione della separazione?




Esiste una proposta di legge volta ad introdurre il divorzio breve, ossia per le coppie senza figli basterebbe un anno di separazione per chiedere il divorzio e due anni per quelle con prole.

In pratica si continua ad accettare la fase della separazione limitandosi a chiedere semplicemente che essa debba essere più “corta”.
La separazione in Italia esiste perché i coniugi separandi sono chiamati a “riflettere” sulla loro decisione prima del divorzio e lo Stato  ne fa una questione morale, tutt’altro che laica, partendo dal presupposto che i cittadini non siano in grado di autodeterminarsi in scelte così difficili come quella di dire basta ad un matrimonio senza amore.

Soltanto in Italia, Polonia ed Irlanda del Nord esiste e resiste ancora la separazione come processo autonomo e preliminare al divorzio.

In tutti gli altri paesi si divorzia direttamente

E quindi ad essere sbagliato è il principio della separazione

Del resto nel 98% dei casi chi chiede la separazione non  torna più indietro. Dunque è statisticamente provato in Italia (e nel mondo) che non ha alcun senso obbligare i cittadini a riflettere sulla loro privatissima scelta attraverso il limbo della separazione;
In Italia per ottenere lo stato libero occorre attualmente  sottostare a due distinti processi, separazione e divorzio,  con possibili fasi di appello e giudizi di legittimità, con tempi della giustizia e spese per i cittadini esorbitanti.
E’ inoltre statisticamente dimostrato che la rapidità del processo limita  il livello del conflitto.
Se non abroghiamo la separazione assisteremo sempre più al turismo divorzile italiano di cittadini che vanno all’estero per divorziare. Negli ultimi sei anni circa 8000 coppie italiane  si sono rivolte alle giurisdizioni straniere per ottenere direttamente il divorzio lampo,  valido ed efficace in Italia a tutti gli effetti.

 Con amore
Evi Fongaro

lunedì 27 febbraio 2012

Mangio dunque sono?


Siamo assediati da programmi che parlano di cibo, sotto qualsiasi forma: sculture di torte, sfide di ricette inusuali, suggerimenti e dimostrazioni in studi televisivi che riproducono case o cucine, libri, libretti, blog con foto che testimoniano passo dopo passo la nascita di una ricetta, per non parlare poi dei corsi, ormai un must in ogni città o paese, usati addirittura come terapia di coppia... la cucina-mania è scoppiata all'improvviso.
Perché?
Ho trovato questa frase - chi mi segue anche su fb, avrà notato che ultimamente mi appaga pubblicare frasi illuminanti :-) “Mi sembra che i nostri tre bisogni fondamentali – cibo, sicurezza e amore – siano tanto strettamente intrecciati tra loro che non possiamo pensare all'uno senza pensare agli altri” (M.F.K. Fisher).
Ecco trovato il perché.
Maslow aveva individuato uno schema semplificativo nel secolo scorso, definito Piramide dei bisogni.




Alla sua base, vi sono i bisogni fisiologici fra cui il cibo, il sonno, il sesso, il respirare... ma mentre il respiro ha mantenuto il suo significato originario (peggiorando comunque nella qualità, visto la vita ansiogena che facciamo), il sonno viene chiamato in causa solo quando rappresenta un problema (sempre comunque legato alla qualità della vita) gli altri elementi hanno acquisito dei significati culturali, che vanno ormai ben oltre la loro fisiologicità.
Cibo e sesso sono ormai degli argomenti osannati o resi tabù, perché celano dietro leggere apparenze dei segreti macigni.
Da semplici attività che fanno parte del ritmo del nostro corpo, li abbiamo trasformati in simulacri di contenuti più difficili e profondi, riversandovi bisogni inespressi e insoddisfazioni.
A volte credo che ogniqualvolta non riusciamo ad evolvere, a riconoscerci bisogni di espressione più “alta”, che ci appagherebbero nell'anima, regrediamo e involviamo, mascherando la soddisfazione di quei bisogni misconosciuti in bisogno di cibo per il corpo.
Non sto parlando solo dei disturbi alimentari più conosciuti, non della bulimia, quanto piuttosto di un disturbo molto diffuso ma poco riconosciuto che prende il nome di binge eating disorder e si manifesta come abitudine a una alimentazione incontrollata fatta di ingestione di grandi quantità di cibo senza alcuna condotta eliminatoria.
La voglia di cibo nasce come insoddisfazione roca che non trova spazio fra le emozioni, non viene sentita se non nel corpo, sospesa a metà fra il cuore e lo stomaco, e così giunge nella gola, raschia raschia come uncini acuminati che si cercano di placare con dolci sensazioni di pan di spagna e cioccolato o con il fresco sollievo di cucchiai ripieni di gelato.
Si spera che quelle zuccherine meraviglie possano lenire le ferite, ma son davvero quelle nella gola o è qualcos'altro?
Io credo che nessuna sia esente dalla tentazione di usare il cibo come consolazione, a volte, il cibo diventa qualcosa che ripara, gratifica, riempie un vuoto, piccolo o grande che sia.
Cibo, sicurezza e amore – ci dice la Fisher – uniti e indissolubili.
Come uscirne?
Occorre sforzarsi di trovare il collante che li tiene insieme e con pazienza usare un solvente di discernimento, un bisturi affilato di osservazione, e con mano ferma separarli e finalmente riconoscerli, ciascuno nel proprio ambito.
Può essere un lavoro lungo e paziente, oppure semplice, dipende da quanto usiamo inconsciamente questo automatismo...
il primo passo sta nel chiedersi, ogni volta che vi viene una bramosia incontrollata di golose tentazioni, se nascosti fra le pieghe della pancia non vi siano altri bisogni di dolcezza inespressi, di sicurezze negate, di sogni infranti.
Se li trovate, tirateli fuori, nutrite quelli, dedicatevi a riconciliarvi con loro, cercatene appagamento.
Fatto questo, se volete, potete anche festeggiare con un dolcetto. Ma quello vi basterà.

Buona settimana a tutte
virginia  

mercoledì 22 febbraio 2012

impariamo l' A, B, C... (ovvero come liberarsi dalle credenze)


Questa tecnica , messa appunto da Ellis e Beck, va usata quando di fronte ad un problema di qualsiasi genere non si riesce a trovare una soluzione costruttiva e si finisce per cadere in un pensiero ossessivo e rimuginatorio.  
Serve per modificare le nostre credenze limitanti.
Pronte con carta e penna?
A: Sta per Avversità
Sulla riga della A scrivete l’avversità ciò che vi ha fatto star male in modo obiettivo senza aggiungere impressioni o opinioni
Es. Lui mi ha mollato per un ‘altra
B (belief): è la Credenza
Scrivete la vostra credenza , i vostri pensieri, quello che pensate di voi, della situazione
Es. B  Sicuramente l’altra è più bella, più giovane
Io non valgo nulla
Senza di lui non riuscirò a vivere
C : Sta per conseguenza
Scrivete le conseguenze di quello che è successo
Mi sento sola
Sono triste
D (discussione) : Alternative
Mettete Alla Prova le Vostre credenze
E quindi
L’altra è più giovane ma io credo che la bellezza e il fascino non abbiano età
Io valgo in primis perché sono viva e poi perché ho un cane che mi fa le feste quando arrivo a casa
La mia migliore amica mi chiama sempre
Meglio sole che mal accompagnate ….
Mi dava proprio fastidio la domenica guardare le partite di pallone alla Tv e ora potrò…

E poi come dice Arisa nella sua canzone ultima di Sanremo l’amore può avere forme diverse….
Con quell’uomo magari non farete più sesso, ma se vorrete e al momento opportuno, chissà... potrà essere un amico.
Vi ricordo che se-pararsi significa anche ricostruire la vostra autonomia, e questa è una splendida nuova avventura.

(E ricordiamoci sempre quanto belle siamo!)
Con amore
Evi

Arisa - La notte (2012) 

lunedì 20 febbraio 2012

La vendetta? ... è una forma di pigra sofferenza


Questa settimana ho partecipato ad un seminario sull'etica e devo dire che mi sono portata a casa alcuni spunti molto interessanti.
Il titolo di questo articolo è tratto dal film “The interpreter”.
Ad un certo punto nel film si racconta di una tradizione di un paese dell'Africa: quando accade un assassinio, dopo un anno dall'evento nel villaggio viene fatta una festa, al termine della quale la famiglia della vittima lega mani e piedi dell'assassino, lo trasporta su di una barca nel mezzo del fiume e lo getta in acqua. A quel punto può decidere di lasciarlo affogare oppure soccorrerlo e salvargli la vita. In soldoni, può decidere di vivere con un lutto nel cuore per tutta la vita o accettare quanto è accaduto e andare avanti, riprendendo in mano la propria esistenza. E questa immagine la riconduco alla vita di ciascuna di noi, fatta di momenti felici e di altri meno buoni; fatta di aspettative e di delusioni. Quante volte, presi da rabbia, tristezza, rassegnazione preferiamo lasciarci immergere nel dolore e sprofondare in esso. Ecco perchè, a mio avviso, pigra sofferenza: perchè implica un tempo sospeso, nel quale ci si aspetta che la prima mossa di riparazione venga fatta dall'altro e nel frattempo si rimane immobili e si sprofonda un poco per volta nel proprio dolore. Perchè, alla fine, rancore e rabbia altro non sono che espressione di una sofferenza che per essere espressa non può che essere agita. Quante volte, nella nostra vita chiediamo un tipo di giustizia che ci risarcisca. E nell'attesa che questo riscatto arrivi ci lasciamo affogare nelle acque di quel fiume che chiamiamo dolore, rassegnazione, solitudine. Quante opportunità ci lasciamo sfuggire. In questo gioco di pretesa dall'altro e di aumento di rabbia perchè il riscatto non arriva, non ci accorgiamo del tempo che passa e di quante opportunità di riscatto sono passate e che ci siamo persi, perchè troppo congelati dalla rassegnazione.

E vi saluto con una poesia di Pablo Neruda, augurando a ciascuna di noi di aver sempre il coraggio di guardare avanti senza perdere la speranza.

erika
 Ode alla speranza
 
Crepuscolo marino,
in mezzo
alla mia vita,
le onde come uve,
la solitudine del cielo,
mi colmi
e mi trabocchi,
tutto il mare,
tutto il cielo,
movimento
e spazio,
i battaglioni bianchi
della schiuma,
la terra color arancia,
la cintura
incendiata
dal sole in agonia,
tanti
doni e doni,
uccelli
che vanno verso i loro sogni,
e il mare, il mare,
aroma sospeso,
coro di sale sonoro,
e nel frattempo,
noi,
gli omini,
vicino all’acqua,
che lottiamo
e speriamo
vicino al mare,
speriamo.
Le onde dicono alla costa salda:
“Tutto sarà compiuto”.

martedì 14 febbraio 2012

A...come amore!

A... come amore, cos'altro se no?
Però, proprio oggi posso stupirvi, non dedicandomi alla accezione più inflazionata di amore, inteso nel senso relazionale o di coppia, bensì partendo da un suo aspetto ancora più importante, che funziona da base indispensabile per qualsiasi sano rapporto a due: l'amore di sé.
Cominciamo con il depurare questo concetto con tutto ciò che nel senso comune si è andato a sovrapporre al significato originario.
Spesso si parla di amor proprio, sano egoismo, i quali vengono caldamente suggeriti a ciscuna di noi la quale si è, diciamo, messa in secondo piano rispetto all'uomo di turno o al prevaricare della vita lavorativa su quella privata... e allora in questi casi tutti sono molto bravi a dispensare consigli e incitare all'autoreferenzialità, ma tutto questo se razionalmente viene percepito come giusto, plausibile, addirittura ovvio, sul piano emotivo e animico è ben lungi dall'esser considerato alla stessa stregua.
Che succede in noi, quando permettiamo che qualcosa (qualsiasi cosa! Non sempre e necessariamente una relazione con un uomo...) superi in importanza la dignità della nostra persona, le nostre emozioni, le nostre idee, i nostri progetti? E' un processo che parte da molto lontano, ma vediamo di raccontarne la storia.
Sono sempre stata affezionata all'immagine data da Robert Bly (raccontata ne Il piccolo libro dell'Ombra, 1992) del lungo sacco che ci  tiriamo  dietro e che metaforicamente rappresenta il condensato di tutte le parti di noi che nel tempo abbiamo rinnegato e soppresso perché non consone a quanto ci veniva richiesto dall'ambiente esterno. In questa metafora, ogni bambino alla nascita è una sfera di luce ed energia che si irradia intorno a 360 gradi, una palla di energia, che crescendo però, impara a privarsi di alcune “fette” che corrispondono alle parti inaccettate di sé e che colloca nell'invisibile sacco che faticosamente (ma spesso inconsciamente) si porta sempre appeso alle spalle. La conseguenza di tutto questo, ammonisce Bly, è che “ogni parte della nostra personalità che non amiamo ci diventa ostile” - andando a formare quella che secondo la terminologia junghiana, viene definita “ombra” - e il bambino originario, diventa un adulto che  mostra al mondo solo una minima fetta di quella sfera di luce che lo caratterizzava all'inizio.
Ogniqualvolta le nostre ombre agiscono a nostra insaputa, noi ci comportiamo boicottando noi stesse dalle più piccole azioni quotidiane (non sei capace, così non si fa, vergognati...retaggio delle frasi che ci siamo sentite dire più spesso nella nostra storia) alle più importanti tematiche che possono dare senso alla nostra vita (mi tratta male ma a modo suo mi ama, non lo amo ma mi dà sicurezza, prima o poi credo che lascerà sua moglie... altrettante modalità relazionali apprese e rinforzate nel corso dell'esistenza).
È impossibile un rapporto di coppia sano e libero da proiezioni se prima non si è scandagliato a fondo noi stesse, recuperando anche le parti sommerse, curato le nostre ferite e accettato e amato anche i nostri limiti (lo stesso dovrebbe accadere nel partner).
In ogni caso diventa importante saper “tornare a casa”.
La Clarissa Pinkola Estes usa questa metafora del ritorno a casa nella stupenda storia di Pelle di foca, pelle d'anima (la trovi qui): ciascuna donna deve sapere quando è il momento di dire basta e dedicare del tempo al recupero delle energie della propria anima, altrimenti tutto in lei e fuori di lei perderà vigore, vitalità ed entusiasmo. “Perdiamo la pelle-anima lasciandoci troppo coinvolgere dall'io, diventando troppo esigenti, perfezioniste, o facendoci senza necessità martirizzare, o lasciandoci trascinare da un'ambizione cieca, o abbandonandoci all'insoddisfazione – per noi stesse, la famiglia, la comunità, la cultura, il mondo – senza fare o dire nulla, o pretendendo di essere una fonte inesauribile per gli altri, o non facendo tutto il possibile per aiutarci.” “psicologicamente, essere senza la pelle induce la donna a perseguire quello che pensa di dover fare e non quello che davvero desidera”.
Solo riconoscendo i propri bisogni e ascoltandoli si possono reintegrare nuove energie che ci permettono poi di essere ancora pronte per dedicarsi all'altro, al lavoro, alla casa, ai figli, alle amiche...
L'amore di sé passa per il sapersi concedere degli “spazi altri” - che sia una stanza tutta per sé, come auspicava Virginia Woolf o una poltrona colorata, ologramma di mondi interiori, non importa – perché possiamo amare pienamente qualcun altro quando siamo in connessione profonda con noi stesse, la nostra natura, le nostre necessità. “Meglio tornare a casa per un po', anche se gli altri si irritano, che restare e peggiorare, fino a cadere a pezzi”. 
Il ritorno a casa può venire frainteso dagli altri come un improvvisa virata di egoismo: in realtà è stato il “prima” ad essere troppo. Nel momento in cui la donna riesce a viversi momenti di pienezza – anche in solitudine – tornerà alla sua vita piena di gioia di fare e di essere.
Così, in questo giorno che di solito celebra l'amore di coppia, vi invito ad individuare il vostro modo di “tornare a casa” dentro di voi. Vi assicuro che poi anche il tornare a casa dall'altro ne sarà arricchito.

virginia
ps. se poi avete voglia di leggere anche un post sull'Amore, quello a due, potete trovarlo qui. ;-)

martedì 7 febbraio 2012

Donne e lavoro: la sfida possibile?



Care amiche,
venerdì sono stata invitata a Lonigo (Vi)  per intervenire ad una conferenza della Commissione Pari Opportunità sul tema “Diritti tra uomo e donna  nel mercato del lavoro, nella legislazione italiana ed europea, con particolare riferimento alla tutela della maternità e paternità”.
Mi sono chiesta , analizzando la legislazione italiana a confronto con quella europea, cosa frena la donna italiana nel lavoro, essendo la nostra legislazione molto protettiva per le madri, rispetto a quella di altri paesi europei.
Perché, care amiche, dopo  la maternità ci fermiamo in un buon 40% e non lavoriamo più ?
Le risposte date dal CNEL mi convincono a metà.
Vi lancio quindi due riflessioni che hanno in sé la provocazione..
Quale nostro bisogno soddisfa la maternità tanto da far sì che si abbandoni il lavoro?
Quale   archetipo femminile inseguiamo quando svolgiamo la funzione di cura ?
Vi lascio con una frase di Giovanni Paolo I che nell’Angelus del 10 settembre 1978 pronunciò una frase che rimase famosa  Noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile : è papà , più ancora è madre” ..
Con affetto
Evi 

PS. Vi metto qui di seguito uno stralcio tratto dai Dati della ricerca Isfol Roberta Pistagni, Perchè non lavori. I risultati di una indagine Isfol sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro, ISFOL, I libri FSE, 2010
"Il fenomeno dell’inattività femminile in Italia è il risultato di una complessa serie di fattori, legati al profilo del tessuto produttivo, al sistema di welfare del nostro paese, ai modelli culturali ancora prevalenti in molte parti del territorio. Le chiavi di lettura applicate sono di tipo economico, sociologico, psicosociale e e antropologico.
Un primo dato rilevante riguarda la scelta della condizione occupazionale: la stragrande maggioranza delle donne occupate (97,8 %) dichiara di aver scelto la propria condizione, mentre una quota elevata (35,2 %) di donne inattive manifesta il carattere involontario delle propria situazione
occupazionale.Il 21 % delle donne inattive non ha mai cercato un lavoro in passato,tuttavia la maggioranza delle donne che attualmente non cercano lavoro sarebbero disposte a lavorare (84,5 %). Cosa contribuisce a determinare la bassa partecipazione femminile al lavoro ? Alcuni elementi provengono dall’analisi delle motivazioni che hanno spinto le ex-lavoratrici a lasciare il lavoro in maniera definitiva. Tra le motivazioni principali vi sono quelle legate a fattori familiari: il 40,8% delle ex lavoratrici dichiara di aver interrotto l’attività lavorativa per prendersi cura dei figli e circa il 5,6% per dedicarsi totalmente alla famiglia o ad accudire persone non autosufficienti. Vi è tuttavia una buona parte delle ex lavoratrici che dichiara di aver dovuto terminare l’attività lavorativa per cause non volontarie: oltre il 17% segnala la scadenza di un contratto a termine o stagionale, il 15,8% il licenziamento o la chiusura dell’azienda. Tali fattori introducono due ordini di problemi:la conciliazione lavoro-famiglia e il più elevato livello di flessibilità della donne occupate.
Il primo tema è legato, in estrema sintesi, alla divisione del lavoro domestico all’interno della famiglia e al profilo del sistema di welfare italiano, caratterizzato da una scarsa incidenza di servizi alle famiglie e, in generale, poco incline alla conciliazione vita-lavoro delle donne. Lo studio condotto dall’Isfol rivela che, contestualmente agli episodi di maternità, la propensione degli uomini all’occupazione aumenta, mentre quella delle donne diminuisce drasticamente. Il tasso di attività maschile passa dall’85,6 % al 97,7 % dopo la nascita di un figlio, mentre quello femminile passa bruscamente dal 63 % al 50,3 %. Oggi la maternità è, più che in passato, un evento pianificato: i dati suggeriscono l’esistenza di un meccanismo decisionale all’interno delle famiglie che prevede di programmare la nascita di un figlio quando l’uomo raggiunge una posizione lavorativa e reddituale stabile.
Va rilevato che in presenza di un figlio piccolo anche il tasso di disoccupazione femminile cala bruscamente dal 9,1 % al 3,8 %, ad indicare che una quota rilevante di neo-mamme non ha neppure intenzione di cercare un lavoro.
La spiccata asimmetria della ripartizione dei carichi di lavoro domestico è evidente dai dati dell’indagine Isfol relativi ai tempi di lavoro: la giornata media lavorativa degli occupati con almeno un figlio, tenendo conto del lavoro retribuito, del lavoro familiare e degli spostamenti da casa al lavoro, è di circa 15 ore. In generale la giornata lavorativa femminile,rispetto a quella maschile, è più lunga di 45 minuti
L’origine di molti dei fenomeni osservati è di natura culturale, nel senso che le scelte decisionali prese in età adulta appaiono strettamente correlate al modello culturale in cui si è cresciuti, a quello della società cui si appartiene e al processo di elaborazione personale di tali modelli che porta, nel processo di crescita, alla costruzione di un modello individuale imitativo o oppositivo.
Tali modelli agiscono sia direttamente,producendo nelle donne la scelta di non lavorare, sia indirettamente, imponendo schemi di divisione del lavoro familiare dove la funzione di produzione del reddito è principalmente o esclusivamente appannaggio dell’uomo
Dall’indagine Isfol risulta che tali modelli vanno progressivamente scomparendo nel nostro paese, dal momento che le nuove generazioni, sia maschili che femminili, maggiormente scolarizzate, si mostrano più inclini ad una presenza delle donne nel mercato del lavoro e ad una divisione dei carichi familiari più bilanciata. Segnali di convergenza nei comportamenti di cura dei figli tra uomini e donne si osservano tra le nuove generazioni: nelle risposte dei giovani padri e delle giovani madri non si evidenziano infatti grandi differenze nella ripartizione dei carichi di lavoro sia per quanto riguarda la cura dei figli che la cura dei parenti. Rimane tuttavia elevata la differenza nei tempi dedicati al lavoro domestico.
L’indagine rivela tuttavia che i modelli culturali che prevedono per le donne la sola o prevalente funzione di auto domestico hanno una forte correlazione intergenerazionale: la propensione attuale delle donne all’occupazione è fortemente legata alla condizione occupazionale della madre,elemento che dimostra l’impatto elevato della dimensione culturale. Il livello di istruzione determina una quota non indifferente di inattività dovuta a trasmissione intergenerazionale di modelli culturali in qualche avversi al lavoro delle donne: l’83,4 % delle donne intervistate, la cui
madre aveva un basso livello di istruzione, dichiarano che durante l’infanzia i suoi genitori prospettavano un futuro da lavoratrice, contro il 99,2 % delle donne la cui madre aveva un livello di istruzione elevato.
Vi sono poi aspetti legati al funzionamento del mercato del lavoro sia in merito alla più elevata incidenza tra le donne di forme di lavoro flessibile, sia riguardo una differenza sistematica tra le retribuzioni. Per le donne che potenzialmente potrebbero entrare nel mercato del lavoro, specie per
le meno istruite, il reddito atteso è inferiore o poco superiore ai costi di sostituzione del lavoro domestico, elemento che provoca un disincentivo netto alla partecipazione. Tale scenario è aggravato dalla scarsa presenza di servizi alle famiglie, cui s’è accennato, che impone alle donne di provvedere al lavoro domestico e alle attività di cura a figli e parenti anziani L’analisi ha evidenziato due gruppi di inattive: da un lato le donne maggiormente istruite sarebbero disposte a lavorare ad un salario inferiore a quello offerto dal mercato; in tal caso l’inattività è spiegata con frizioni dovute al cattivo incontro tra domanda e offerta di lavoro. Un secondo gruppo di donne inattive, caratterizzate da bassa scolarità, dichiarano un salario al quale sarebbero disposte a lavorare superiore a quello offerto sul mercato; tale segmento di inattive, che rappresenta la maggioranza, è più complesso da recuperare.
Le donne indicano la strada da percorrere per favorire la partecipazione femminile al mercato del lavoro insistendo sui fattori legati ai servizi alle famiglie, ai tempi di lavoro flessibili e ad un riassetto degli squilibri nella divisione del lavoro familiare.

lunedì 6 febbraio 2012

Vita: libretto di istruzioni

The Holstee Company  Manifesto

Care amiche e amici,
io l'ho cercato molto il libretto di istruzioni della vita ...ho letto, ho studiato, ho sperimentato, ho domandato, ho ricercato, ho viaggiato ...e non l'ho trovato.
Perchè ogni volta che credevo di aver trovato e dentro di me urlavo ..eureKa...poco dopo un'altra sfida la vita mi proponeva e gli strumenti acquisiti non erano idonei, sufficienti...
Stanca di ciò un giorno sono andata da un mio maestro- Attilio Piazza- e gli ho chiesto se Lui avesse un libretto di istruzioni per la vita.
Egli sorridendo mi ha detto che  l'unico libretto della vita che abbiamo è il nostro corpo  e proprio perchè ogni corpo è differente dall'altro, ognuno di noi ha il suo libretto di istruzioni...
IL MIO CORPO?????
La sua risposta mi ha letteralmente reso furiosa!
Ma come ? Io che ho letto mille libri,  io che ho studiato mille maestri, psicologi e filosofi , io, io , io ...
Orientata a muovermi rispetto a ciò che penso con l'abitudine a risolvere i problemi con la mente,   nella mia mente sovveniva un'altra frase di un tale Einsten “Non  puoi risolvere il problema con la stessa mente che lo ha creato “.
E allora...visto che Einstein è sempre Einsten... ho cominciato a ascoltare gli insegnamenti del Piazza.
Ad oggi 5 febbaro 2012 sono giunta quindi a questo libretto di istruzioni, il libretto di istruzioni di Evi.
Dai maestri riconosco dei modi per essere presente, posso avere degli  strumenti, delle dritte, ma i dettagli me li costruisco io. Kant diceva “CIELO STELLATO SOPRA DI ME, ma LA LEGGE MORALE DENTRO. Il viaggio è mio, è dentro di me e le burrasche fanno parte del mio viaggio.E così quando sento qualcosa, quel qual cosa lo sento io, e quello che sento io è perfetto per me!
Vasco Rossi esprimeva il concetto con altre parole “ Quando ho il mal di stomaco ce l'ho io mica te o no?
 E così se sento pesantezza nel corpo mi chiedo “E' roba mia o di qualcun altro? Sono in ritardo rispetto a qualcosa?  Sto evitando di andare  dove la mia  anima sta andando?”
Se provo paura, capisco che è un sintomo.
Cerco di sentire se la paura è mia o proviene dall'ambiente, dagli altri  e se non lo è le chiedo “ Dove  sono ?”
E le risposte sono nel mio corpo quando chiudo gli occhi  e ascolto..A volte è uno stato di pace, a volte di leggerezza , a volte di tristezza, a volte di silenzio. Ascolto il battito del mio cuore...accellerato, debole... ascolto le mie mani..chiuse, aperte...ascolto la posizione dei miei piedi , dritti, ritirati...
Forse... l'essenziale è invisibile agli occhi...Ma non aveva mica ragione Piazza!
Con amore
Evi

venerdì 3 febbraio 2012

Panni stesi ad asciugare e altre storie...

Pellestrina (VE)


Vi rivelo una mia piccola mania: non posso fare a meno di fotografare finestre con i panni stesi ad asciugare.
Guardate queste foto... Ci sono degli scorci che sono piccoli capolavori cromatici e di composizione! Non trovate?

Rovigno (Croazia)

Però, come al mio solito, non mi fermo lì.
È come se, fissandosi in quell'immagine, in un rettangolo di carta lucida, quegli indumenti lasciassero trapelare qualcosa...  narrano particolari di chi abita quelle finestre, ed è come se magicamente tutto intorno rispecchiasse la storia, un frammento di carattere, l'età, un vizio..
è la dimostrazione che tutto può raccontare di noi. Basta saper osservare.
Va bene, adesso vi propongo un gioco.
Che ne dite di provare a creare una storia a partire dall'immagine che vi attrae di più?
È un esercizio di scrittura creativa.
Scrivete per dieci minuti, senza riflettere troppo, senza preoccuparvi della punteggiatura, senza rileggere, senza pensare “non ci riuscirò mai”.  
Io l'ho fatto con questa foto
Pellestrina (VE)

ed ecco il risultato:

A ottant'anni non è facile resistere. Mi sento così anacronistica a volte, con tutte queste notizie da metabolizzare. Troppa tecnologia, troppi contatti, troppa invadenza. Mi rifugio qui, molto spesso. Una sottile lamiera che contiene gli attrezzi del giardinaggio. Freddissima in inverno, torrida in estate, ma deliziosa a primavera, come oggi. Qui dietro c'è il mio orto, la mia piccola oasi di felicità. È il segno tangibile della possibilità di entrare dentro di sé, con una vanghetta e piccole piante da curare. Io sono come alcune di loro. Mi sento cicoria a volte, tenera alla vista ma così amara quando la assaggi. Non sono una donna semplice, me lo diceva sempre mio marito, che adesso giace qua vicino, oltre quel muro monumentale, sotto un tappeto di erbetta soffice. Appaio come una donna mite, ma poi pretendo, divento scostante se qualcosa non va come dico io. Sono sempre stata così. Divento ciliegia, morbida e succosa, solo quando lo voglio io... una volta superata la mia reazione di ortica selvatica, se qualcuno di passaggio mi sfiora senza il mio permesso.
L'unico ad avermi davvero compreso è stato il mio caro Antonio, resistente albero di olivo, immune da tutte le intemperie emotive che mi hanno sempre abbattuta così tanto, che mi hanno resa germoglio distrutto da un acquazzone improvviso. A volte penso che se non avessi incontrato lui, sarei stata destinata alla solitudine. Che ci volete fare? Sono una donna schiva, ma accorta. Ho anch'io i miei piccoli vezzi. Coltivo cortesie interiori, non mi importa degli altri. Forse i miei piccoli gerani sono quelli che più mi rispecchiano adesso. Uno ad uno nel loro vasetto. In fila ordinati, vicini ma non troppo. Un fiore solitario incede e svetta, chissà cosa si crede. Che brutta bestia la solitudine.

Ecco, provando e riprovando, possono nascere dei racconti proprio carini!
Inoltre, ricordiamoci che scrivendo e inventando personaggi, possiamo sperimentare parti di noi, conoscere empaticamente gli altri e dare spazio all'integrazione di aspetti importanti per la nostra crescita.
Il grande Shakespeare amava dire che “ogni uomo è un attore e tutto il mondo è un palcoscenico”. Sono daccordo, ma aggiungo che possiamo essere i registi della nostra vita decidendo quali parti far agire, senza far prendere il sopravvento alle primedonne interiori!
Buona scrittura e buon week end
virginia

PS. vi metto un video di una canzone di Carmen Consoli, che cita nel testo i panni stesi... :-)