martedì 26 aprile 2011

Un cerchio di donne per imparare



Una stanza, o meglio un ritaglio di ufficio comunale, due pannelli e tante sedie di diverse fatture, adibita a sala riunioni improvvisata per un gruppo di donne che si occupano di Pari Opportunità. In molti comuni per questi progetti non ci sono i soldi e tutto è lasciato all'entusiasmo di chi porta avanti con coraggio, idee e incontri, pensieri controcorrente ed emozioni universali.
Entro e nonostante l'ambiente spoglio e arrangiato, mi sento accolta.
Siamo lì per organizzare un pomeriggio di festa che riesca a far conoscere fra loro culture e realtà di tutto il mondo, grazie al “sapere” delle donne, portatrici di legami e saggezze profonde.
Bastano poche frasi, minuti trascorsi a condividere idee e mi rendo conto che in quella piccola stanza sono racchiusi tesori, ci sono frammenti di terre lontane improvvisamente riuniti a formare un giardino vitale e multicolore.
Ci sono donne di ogni età: bimbe dal sorriso bianchissimo e le infinite treccine , donne silenziose che riempiono lo spazio con i loro costumi tradizionali, ragazze indiane che ormai scrivono solo in italiano ed esplorano curiose l'ambiente (chissà cosa penseranno?), una di noi, il velo sul capo, scrittrice di poesie dagli occhi dolcissimi, le ragazze africane, manager piene di iniziativa, Monisha, in rappresentanza di un'associazione che vuol portare un “pensiero nuovo” (brava! È di questo che c'è sempre più bisogno).
Sento nascere dentro di me un rispetto profondo per questa atmosfera che si sta creando. Anche semplicemente condividendo l'organizzazione di una festa c'è così tanto da imparare!
E il sapere che passa negli sguardi, nelle parole, nelle mani, e nelle idee delle donne ha una marcia in più.
È generativo.
È emozionante, a tratti commovente.
Ed è affascinante come quando ti avvicini con trasporto e interesse a qualcosa, ecco che nella tua vita accadono piccole cose che solidificano quel sapere, che arricchiscono l'animo di significati da esplorare.
Due giorni dopo, “incontro” un film, iniziato da qualche minuto, fra lo zapping del dopocena, che è riuscito a distogliermi dalla lettura del mio libro per immergermi nel Sud Africa dell'apartheid (In my country - 2004)
Qui ho scoperto un concetto nuovo, quello di Ubuntu .
Forse, a chi di voi ha dimestichezza col mondo informatico, farà venire in mente la omonima piattaforma Linux, ma in realtà è qualcosa che penetra dentro e mette radici, ti fa sentire parte del mondo, un desiderio universale di amore.
Io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti”, “Io sono perché noi siamo” sono solo alcune delle sfumature nelle quali si esprime questo concetto della tradizione bantu africana. È l'invito etico a rendere umano e compassionevole l'incontro con l'altro, un desiderio di aiuto reciproco e solidale.
Ubuntu è rispetto, disponibilità, comunità, condivisione, interesse, fiducia e altruismo.
È un bisogno innato di pace che ci portiamo dentro.
È la speranza che il mondo possa cambiare, oggi, già a partire dalla nostra festa di donne riunite in cerchio per imparare e trasmettersi saperi lontani sulle mappe ma vicini nelle anime. 
Vi terrò aggiornate sul programma e gli sviluppi. 
virginia


venerdì 22 aprile 2011

Pasqua: scoperte e sorprese nell'Ovoide di Assagioli



Approfitto dell'atmosfera pasquale per parlare di un'immagine a me molto cara perché rappresenta uno dei diagrammi descrittivi della nostra psiche secondo l'approccio teorico che mi ispira nel mio lavoro e nell'interpretazione della vita: la Psicosintesi.
Questa ricca teoria e concezione dell'essere umano, ideata da Roberto Assagioli (1888-1974) psichiatra fiorentino, si ispira alle diverse correnti psicologiche a lei contemporanee, quali la bioenergetica (che integra la dimensione corporea con quella psichica), la psicologia umanistica (che sottolinea l'aspetto delle potenzialità e crescita di ogni uomo) e la psicologia transpersonale (che apre la prospettiva anche all'aspetto spirituale della dimensione umana), unificandole in una sintesi armonica di pensiero.
L'inclusività e la sintesi sono il filo conduttore di tutto il lavoro di crescita della persona durante l'arco della vita, senza dimenticare neppure l'importanza dell'influenza dei temi scoperti e approfonditi dalla psicanalisi e dal comportamentismo.
Assagioli però volle andare oltre, descrivendo Freud come “interessato solo alle cantine nell'essere umano” (leggi l'Es, l'inconscio, nda) mentre “la psicosintesi si interessa del palazzo intero...vogliamo aprire la terrazza per poter prendere il sole o contemplare le stelle”.
È proprio coerentemente con questa premessa che Assagioli ha creato l'immagine dell'Ovoide, un diagramma usato per spiegare l'anatomia della psiche umana.
Quella che può sembrare una pura schematizzazione, in realtà è uno strumento estremamente importante per capire come siamo fatti e quali aspetti di noi possono essere scoperti, conosciuti, approfonditi o coltivati.




Come vediamo nel disegno, tutte le linee sono tratteggiate, il che sta a significare che non ci sono divisioni nette all'interno della psiche, anzi, tutto è in continuo movimento, connessione e trasformazione.
Indicato col n.1 troviamo l'inconscio inferiore (inteso nel senso topografico e non di minor valore), quelle che sarebbero le “cantine freudiane”, sede di tutti gli impulsi e istinti più primitivi, biologici, insieme ai complessi della nostra storia personale. Qui quindi sono sedimentati tutti gli aspetti del nostro passato più remoto e anche i contenuti rimossi.
Al n.2 invece c'è l'inconscio medio, nel quale troviamo tutti quegli elementi facilmente raggiungibili con la consapevolezza: nozioni, capacità, ricordi ed emozioni dei quali non siamo sempre coscienti ma che possiamo facilmente recuperare, volendolo (es. le conoscenze apprese a scuola, il ricordo del numero di telefono di un amico, ciò che abbiamo fatto un mese fa...). Se vogliamo qualificarlo in termini temporali, questa parte di inconscio rappresenta il nostro presente, l'attualità più vicina e lontana delle nostre vite. All'interno dell'area dell'inconscio medio troviamo un piccolo cerchio (n. 4) che è il campo di coscienza, ovvero tutto ciò di cui siamo pienamente consapevoli in questo momento (la stanza in cui siete, il fatto di essere al pc a leggere queste righe...), al cui centro c'è l'Io o sé personale (n.5). L'Io è inteso come centro unificatore delle diverse esperienze, il nostro “osservatore” interno che è qualcosa di diverso e fisso rispetto ai vari contenuti in movimento che si avvicendano nel nostro animo (emozioni, pensieri, vissuti corporei).
La “scoperta” dell'Io dentro di noi ci può portare a liberarci da molte identificazioni nocive e disturbanti, perché ci permette di accorgersi che in realtà quando ci sentiamo tristi, afflitti, ma anche euforici o arrabbiati, quelli sono solo stati temporanei e parziali che non ci esprimono in tutta la nostra ricchezza. Mettendoci nella posizione imparziale dell'io, possiamo vedere l'avvicendarsi di tutti gli stati d'animo ma non lasciandosi coinvolgere da essi, perché ne acquisiamo conoscenza e padronanza.
Proseguendo nella nostra immagine, troviamo la parte superiore dell'ovoide (n. 3) che è l'inconscio superiore o transpersonale, ovvero la sede delle nostre “intuizioni superiori e le nostre ispirazioni artistiche, filosofiche, scientifiche, di creatività geniale, spinte etiche ed altruistiche, stati di illuminazione, contemplazione ed estasi”, insomma tutte le nostre qualità, virtù e potenzialità che attendono di trovare espressione nella nostra quotidianità.
Possiamo osservare una linea tratteggiata che collega il nostro Io personale con una stella-sole sulla sommità dell'ovoide, il Sé Transpersonale (n.6, di cui l'io è un riflesso), la nostra essenza più vera e originale, libera da tutti i condizionamenti, “la splendida promessa di ciò che possiamo divenire” una volta scoperta la propria via di autorealizzazione, ciò che ci soddisfa l'anima e ci fa ridere il cuore.
Al n.7 troviamo l'inconscio collettivo, di junghiana memoria, nel quale la nostra psiche è immersa e dal quale riceve le influenze transculturali universali.

Perché vi ho parlato di questo diagramma?
Come al solito mi piace donarvi nuovi strumenti di consapevolezza e spunti di riflessione per conoscere meglio gli infiniti aspetti del nostro animo, ma anche perché in questi giorni di inflazione di piccole e variopinte uova che decorano tavole e vetrine, di giganti uova di cioccolato che fanno bella mostra di sé in tutti i negozi, perché non dare un altro significato a questo simbolo?
In generale è sinonimo di rinascita, nuova vita ma anche eterno ritorno di essa, resurrezione... ma, una volta conosciuto l'ovoide psicosintetico, scopriamo che la cosa bella è che tutto questo ce lo portiamo dentro continuamente e possiamo attingervi quando vogliamo, portando luce agli aspetti che più ne hanno bisogno e includendoli nel nostro repertorio di crescita e sviluppo.
Nel palcoscenico delle nostre vite possiamo decidere, grazie al nostro io, centro di autocoscienza e volontà, di illuminare con l'occhio di bue dell'attenzione e consapevolezza personaggi, qualità, risorse che fino ad oggi sono stati dietro le quinte, portandoli alla ribalta delle scene, donando loro nuova energia e magari depotenziando personaggi scomodi o riportando al giusto ruolo “primedonne” che hanno preso il sopravvento sugli altri protagonisti. Con coraggio possiamo conoscere meglio personaggi del passato e liberare le loro energie ipotecate, per procedere lungo il percorso di luce che ci avvicina alla nostra autenticità, la nostra bellezza e unicità, rinascendo così alla vita ogni giorno.
E voi, quali e quante sorprese tenete celate nel vostro ovoide?

Buona Pasqua a tutte.
virginia

lunedì 18 aprile 2011

Un rimedio per tutte quelle che non riescono a dire “no”



A volte mi chiedo se sia una caratteristica di genere, altre immagino semplicemente che sia un'impronta temperamentale, così come avere i capelli di un colore e gli occhi di un altro, altre volte ancora mi dico che, ahinoi, è il frutto della nostra storia, intreccio contorto di caratteristiche proprie, influenze familiari e contributi collettivi.
C'è di vero che spesso è un aspetto che riguarda l'universo femminile.
Si tratta di un atteggiamento che Edward Bach definiva “lo zerbino”, individuandolo nell'incapacità di non farsi usare dagli altri, nella resa di fronte all'affermazione della propria libertà apparendo così sprovvisti di qualsiasi potere individuale.
La persona afflitta da questo stato (che comunque viene da lei riconosciuto, nonostante l'impossibilità di fare altrimenti) si trova spesso a essere “spremuta” di tutte le sue energie da amici, colleghi, parenti, proprio per la sua estrema accondiscendenza, per la sua bontà e disponibilità che però gli si ritorce contro.
Si tratta della moglie che si accolla tutti i lavori di casa e la cura dei bambini, della collega che fa piaceri a tutti anche se poi deve stare in ufficio fino a tardi per finire il suo lavoro, dell'amica sempre disponibile per ascoltare le lamentele anche se deve fare altro per sé, la sorella che, nonostante siate in cinque, si occupa da sola degli anziani genitori, la figlia alla quale è richiesto di essere sempre presente per aiutare in casa, la fidanzata che viene presa e lasciata e mai riesce a ribellarsi, trovando mille scusanti ai comportamenti del partner, la bambina buona e remissiva che non crea mai problemi ai genitori in nessuna situazione, ecc...
Vi riconoscete in uno di questi profili? Se si, il vostro denominatore comune è la scarsa consapevolezza di voi, ma soprattutto della vostra possibilità di essere libere di scegliere.
L'aspetto più deficitario del carattere è infatti quello volitivo, poiché vi sentite impossibilitate a fare ed essere quello che più volete nel vostro intimo, e questo avviene soprattutto con le persone a voi più vicine, verso le quali vi sentite “in colpa” (nel caso in cui riusciste per magia a tirarvi indietro di fronte alle pressanti richieste, vissute peraltro come normali).
Questa terribile situazione può andare avanti per molto molto tempo... a volte intere vite sono dedicate tutte a soddisfare le esigenze altrui, perdendo completamente di vista le proprie. La vostra disponibilità è data per scontata da tutti, quindi, oltre il danno, la beffa, perché non si viene neppure riconosciute per gli sforzi immani che si stanno compiendo.
Vi sentite comunque tiranneggiate, sfruttate e quando la situazione è proprio al limite, potete essere vittima di potenti accessi di ira, che voi stesse temete.
In generale potreste percepire una profonda stanchezza dovuta al superamento dei vostri limiti, intesi nel senso sia di energie mentali che fisiche.
Che fare quindi?
Un modo per cominciare a lavorare sul vostro potenziale positivo (la qualità del servizio attivo) insito nel comportamento disarmonico in atto (il servilismo passivo), è l'utilizzo di un preziosissimo fiore di Bach: Centaury.
L'energia di questo rimedio serve a ristabilire il contatto con la propria volontà e con il proprio centro, indispensabile per poter prendere decisioni ponderate e vissute in prima persona piuttosto che subite, da parte di soggetti più forti.
L'assunzione di questo fiore non stravolge il carattere, ovvero, non diventerete improvvisamente menefreghiste ed egoiste, ma sarete piuttosto in grado di ascoltarvi e di conseguenza poter scegliere se dare il vostro aiuto o meno a chi ve lo sta chiedendo, rispettando in primo luogo i vostri bisogni.
Ulteriori accorgimenti da poter utilizzare sono:
  • prendere tempo prima di dare una risposta (quando il “si” parte in automatico, è utile procrastinare i tempi in modo da poter riflettere un momento e fare un'analisi della situazione)
  • prima di dire “si” chiedetevi sempre:
  1. “per chi e perché mi ritrovo a fare questa cosa?”
  2. “quale mio bisogno va ad appagare?”
  3. “cosa penso che succeda se dico no?”
  4. “cosa ne ottengo se dico si? Quali vantaggi? Quali svantaggi?”
  5. “quale mio progetto ostacolo se mi dedico a quest'altra cosa?”
  6. “ho le energie per portare a fondo questo impegno?”
  • appuntatevi su post-it o cartoncini in giro per casa la frase “io posso dire no”, come promemoria evocatore di comportamenti costruttivi.
  • Preparatevi alle reazioni di sgomento di coloro che avete intorno, che proveranno in tutti i modi a farvi tornare sulla “retta via”, instillandovi sensi di colpa con frasi del tipo “non ti riconosco più... non capisco, lo hai sempre fatto, adesso che cosa succede...”

Coraggio! E...buona trasformazione!
virginia

venerdì 15 aprile 2011

Attacco di Panico...Attacco di Vita



Nella psicopatologia dei miei sogni c'è sempre una chiave di lettura che permette di aprire una porta nascosta, quella che subito non vedi e che magari è piccola piccola, mimetizzata da una tenda, come quella di Alice nel Paese delle Meraviglie.
Arriviamo al suo cospetto senza neanche accorgersi, dopo un volo che fa presagire il peggio.

[prima di continuare a leggere, se non vi ricordate il film, consiglio di guardare qui]

È quello che succede a chi arriva a rivolgersi a una psicologa come me, dopo una brutta crisi in cui crede di poter morire perché i sintomi che lo assalgono lo trascinano in un vortice di paura, angoscia, panico che invadono il cuore, i polmoni, le idee e così via in un fiume di palpitazioni, asfissia, pensieri senza fine, finché non arrivi a testa in giù in fondo al precipizio del terrore, e ti accorgi che non sei morto.
Perché, contrariamente ai vissuti percepiti, in realtà di attacco di panico non si muore.
Così, eccoti lì, davanti a questa sconosciuta che ti sorride e ti rassicura (mentre tu pensi “ridi bene tu, mica lo hai provato!”), alla ricerca di un significato per quello che è successo e non ti sai spiegare.
Cominci a scandagliare i ricordi, le situazioni, i pensieri, le emozioni e molte porte che conosci, ma non aprivi da tempo, ti svelano di nuovo il loro contenuto di vita, vicina e lontana.
Tutto adesso ti sembra analizzato, esaminato con raziocinio e concretezza, ingrandito e studiato: nonostante questo, adesso ti senti come in una stanza senza vie d'uscita.
I sintomi a volte spariscono, altre no, ma su tutto permane un senso di disfatta.
Ed è allora che la vedi, o forse appare.
C'è un pertugio, una porticina che speri ti conduca finalmente fuori da questo labirinto e invece ti senti dire:
Sei troppo grossa, proprio impassabile
Vuol dire impossibile
No, impassabile, nulla è impossibile
E già qui, la voce della tua assennatezza ti manda un segnale di allarme (“questa è più fuori di me”). Ma ugualmente procedi.
Arriva la proposta: “Bevimi” e ancora la vocetta del divieto si fa sentire più forte e saccente “attenzione, se bevi da bottiglie che non sai cosa contengono, è quasi certo che prima o poi ne subirai le conseguenze!!”.
Quanti divieti, proibizioni, restrizioni, rinunce hai subito fino ad oggi? Per chi? Perché? Decidi di disobbedire e provare a vedere cosa succede.
Wow! Funziona! Qualcosa si trasforma, acquisti una nuova energia, per un periodo sembra che tutto sia tornato come prima. Poi ti accorgi di aver lasciato la chiave sul tavolo.
Ma c'era davvero anche prima? O questa dottoressa si prende gioco di me?
Questa dimensione del rischio non mi piace. Forse stavo meglio nella noia statica del “prima” della caduta, dove non ero felice ma almeno al sicuro, coi piedi per terra e qualche certezza.
Ed ecco di nuovo: “Mangiami”. Se ha funzionato prima...
E invece, effetto disastroso! Ti senti fuori luogo, ingombrante, tutto ciò che hai richiuso dietro a quelle porte già visitate all'inizio, riemerge con potenza maggiore e ti accorgi che tutto ti va così stretto, ti senti in gabbia! (e un pensiero si insinua: ma sono io che sono cresciuta o semplicemente mi sono accorta che è ciò che mi circonda che è sempre stato asfissiante?)
Ti lasci andare alle lacrime... di dolore, di paura, di sconforto... di desiderio.
Un momento... ho detto “Desiderio”? Ecco un'altra bottiglia.
Magicamente torni alla tua dimensione. Diventi il contenuto di quel minuscolo contenitore di vetro. Tu rappresenti il tuo messaggio in bottiglia, uscito dalle stagnanti acque dei confini certi per avventurarsi nel mare aperto di nuove avventure.
Forse è questo il significato dei miei sintomi. Aprire drasticamente un varco, un contatto, fra me e i miei desideri più reconditi, inaccettabili fino ad oggi, negati e relegati chissà dove.
Adesso puoi avventurarti nel tunnel buio di quella porticina. Non hai più bisogno della chiave, perché conosci la strada. E' la "tua" strada, verso la realizzazione di quello che sei.
Di là ti aspetta il tuo paese delle meraviglie: hai scoperto che il tuo attacco di panico non può condurre alla morte, perché in realtà è un attacco impellente, irriverente e straripante di meravigliosa vita.

virginia

mercoledì 13 aprile 2011

Regalare un sogno a un bambino



L'estate del 2008 l'ho passata tutta dentro un mondo magico, tutto fatto di bambini, di giochi, sorrisi e solidarietà.
E' stata l'esperienza che mi ha cambiato la vita, in più di un significato.
Ma il vero miracolo è quello che ho potuto vedere lì dentro, negli occhi di quei bambini c'era la grande trasformazione, ora dopo ora, giorno dopo giorno: ricordi che poi potevano tenere stretti con sé per il resto dell'anno, nei momenti difficili.
Invito tutti a contribuire a donare un pezzetto di felicità, anche quest'anno.
Basta un sms...ne ricerevete in cambio un grazie senza confini.
virginia

visitate per info: http://www.dynamocamp.org/ 

lunedì 11 aprile 2011

Ansia da prova costume e altre paranoie quotidiane...



Sono appena trascorsi in questo week end i primi giorni di vero caldo estivo, ed ecco che subdola si affaccia alla coscienza quella vocina, ancora un po' sonnacchiosa, che sembra riemergere dal lungo letargo invernale, sostenendo fastidiosa che è arrivato il momento di darsi da fare per preparare al meglio lo svelarsi del corpo, dopo mesi di nascondimento in maglioni e cappotti.
Mai come in questo periodo dell'anno si sente parlare di diete, disintossicazione, rinnovamento cellulare, creme anticellulite (che mentre dormi fanno i miracoli), tisane (che promettono decine di centimetri in meno dove serve) e altre “opportunità” di diventare qualcos'altro da quelle che siamo.
Ed eccoci tutte lì, in preda al panico da imminente prova costume assalite dai pensieri più catastrofici riguardo lo stato architettonico delle nostre forme, l'aspetto estetico dei nostri tessuti, intente a far progetti sugli eventuali interventi di “restauro” che dovranno subire.
Perdonatemi la provocazione.
Ma davvero il nostro corpo è così ridotto ad oggetto? Un mausoleo cadente da puntellare per renderlo più appetibile possibile di fronte a possibili “fruitori”?
Mi viene in mente quel buffo programma di Real Time, dove i desiderosi acquirenti sono accompagnati in giro per case in vendita, piene di difetti da eliminare, colori da cambiare, mobili da rinnovare, che dopo il sapiente intervento dell'architetto dell'agenzia, appaiono ai loro occhi qualcosa di totalmente diverso e accattivante che li induce alla scelta.
Alle smorfie di critica e disapprovazione si sostituiscono così sorrisi entusiasti e gridolini di giubilo, e a me sorge spontanea la domanda: ma non è la stessa casa di prima? Basta così poco per ingannare l'occhio? Ma soprattutto, non potevano acquistarla e poi fare tutte le modifiche che preferivano a loro gusto, immagine e creatività? E i proprietari, come fanno a permettere l'avvicendarsi di quelle drastiche tinte shock, in mezzo ai loro vissuti e ricordi conservati fra quelle mura, senza batter ciglio? (si si, lo so, logica di mercato, esigenze televisive, ma il mio animo un po' retrò fa fatica ad adeguarsi...)
Uscendo dalla metafora, comunque questo è quello che facciamo quando ci adeguiamo a stereotipi dettati da altri circa il “come dobbiamo essere”, come il nostro corpo deve apparire e mostrarsi, al di là di come viene abitato e vissuto nell'intimo, cosicché a volte, dopo tanto interventismo forzato, il corpo stesso si ribella e torna alle origini, espandendosi anche di più.
Si stabilisce sempre di più una discrepanza insanabile fra il contenitore e il contenuto, tornando indietro di secoli alla scissione cartesiana di res cogitans e res extensa.
Non importa quanta sofferenza c'è dietro alla ricerca spasmodica di adeguarsi al modello imposto, basta che quel modello sia raggiunto, perché è l'immagine che conta.
Non si tratta nemmeno più del concetto di bellezza o meno: il magro è il nuovo dictat.
Quando ero piccola, il proverbio popolare (già allora discutibile) recitava “altezza mezza bellezza”, a giustificare che se una donna era imponente nella statura era già a metà strada e appariva più bella, mentre adesso invece suonerebbe più opportuno “magrezza mezza bellezza”.
E se invece ci concentrassimo sul poter vivere al meglio quello che siamo? Si può anche fare qualcosa per curarsi e volersi bene, ma non stravolgersi per diventare altro.
Non c'è niente di più bello di una donna che partecipa con entusiasmo delle sfaccettature della sua fisicità, che abita con amore le sue forme e le mostra orgogliosa al mondo che la circonda. Occorre fare attenzione e difendersi da chi ci dice che non corrispondiamo a certi canoni. I chili in più possono essere eliminati, a patto che lo si faccia in una logica di benessere e non di deprivazione e tortura perché la salute è qualcosa di molto diverso dall'estetica.
Sono daccordo col movimento e l'attività che ci ricarica e tonifica, meno con i macchinari che sciolgono o i bisturi che tagliano (ma poi, ce n'è sempre davvero bisogno?).
Qualcuno ha detto che il nostro corpo è il nostro tempio sacro.
Abbiamone cura, accettiamolo nella sua espressione, ricordando le parole di Amélie Nothomb «Alcune bellezze saltano agli occhi e altre sono geroglifici: ci si mette tempo a decifrare il loro splendore, ma, quando ormai è evidente, è più bello della bellezza stessa» .

virginia

venerdì 8 aprile 2011

Piccolo vademecum anti-stress_2



Come promesso lo scorso venerdì, ecco qua la "seconda puntata" dei preziosi suggerimenti per far fronte ai piccoli e grandi stress quotidiani.
Si tratta di veri e propri bon bon monodose di benessere sempre a portata di mano, da non dimenticare. Se ti sei persa la prima puntata, la trovi qui.

Bon bon di benessere n.10 – piccolo vademecum anti-stress_ 2

  • Seguite coscienziosamente la pratica di fare una cosa alla volta, mantenendo la mente concentrata sul presente. Fate tutto ciò che state facendo con maggiore lentezza, intenzionalità, consapevolezza e rispetto.
  • Scegliete di non sprecare la vostra preziosa esistenza in sensi di colpa riguardo al passato o preoccupazioni per il futuro.
  • Imparate una varietà di tecniche di rilassamento praticandone regolarmente almeno una.
  • Quando vi scoprite continuamente arrabbiati, chiedetevi “cosa posso imparare da questo?”
  • Modificate la frase “io ho bisogno” in “io voglio” e quella “io devo” in “io scelgo” e notate le differenze.
  • Siate consapevoli delle richieste che ponete a voi stessi, al vostro ambiente e agli altri, di essere diversi dal modo in cui sono ogni momento. Le richieste sono una tremenda sorgente di stress.
  • Imparate a delegare le responsabilità
  • Fatevi un massaggio, imparate a massaggiarvi il collo, le spalle e i piedi.
  • Cercate degli amici o un aiuto professionale quando sentite di non farcela.
  • Osservate le nuvole o l'acqua che si muove. Notate il silenzio fra i suoni e lo spazio fra i pensieri.
  • Ricordate di fermarvi e odorare i fiori. 
Buon fine settimana
virginia 

mercoledì 6 aprile 2011

Apologia delle scarpe: shoes – victimes fra conscio e inconscio



Qualcuno sosterrebbe che quella fra donne e scarpe è una liaison dangereuse, una addiction perversa difficile da comprendere, anche per l'uomo più illuminato.
Mi sono sempre chiesta quali siano i significati nascosti di questo indissolubile legame, che fra alti e bassi, periodi di maggiore o minore intensità, rimane spesso stabile nel tempo: diciamoci la verità, anche se la nostra parte più responsabile (a volte!) prevale su quella incosciente e avventata, comunque ci possiamo riconoscere un impulso irresistibile all'acquisto di questo accessorio che fa bella mostra di sé in innumerevoli forme, colori, altezze, materiali.
Che siamo amanti dei tacchi a spillo o delle ballerine, delle fashion sneakers o dei sandali con pietre preziose, dello stivale stile cavallerizza o il mocassino alla francese, le irresistibili tentazioni sono sempre in agguato. Ma che cos'è che ci attrae così tanto?
Come al solito tutto comincia quando siamo bambine...
Oggi, molto più precocemente di un tempo, le giovanissime fanciulle possono scegliere con che cosa calzare i loro piedini, avendo di fronte un'ampissima gamma di estetiche scarpette di tutti i colori e fogge, ornate di fiocchi, strass, luci, e chi più ne ha più ne metta (personalmente ricordo nella mia infanzia solo delle sbrilluccicose ballerine, che guardavo soltanto, perché costretta dal medico a indossare solo scarpe ortopediche fino ai sei anni – forse da quel trauma poi mi sono ricompensata eccedendo in anni successivi!).
Nonostante questa ricchezza di scelte, siamo sempre state attratte da quelle stupende decolleté della mamma...chi di noi non ha infilato il lillipuziano piedino in quelle desiderabili calzature giganti, giocando a fare la signora e così muovendo i primi passi emulando la mamma-donna nel mondo dei grandi?
E poi, come non citare le fiabe?
Ascoltavamo tutte sognanti Cenerentola, che piroetta al ballo col principe su leggiadre scarpine di cristallo, e viene scelta dopo mille ricerche, perché il suo piedino calza alla perfezione la perduta scarpetta. E ancora, la storia del mago di Oz, nella quale Dorothy possiede magiche scarpe d'argento che riescono a riportarla a casa, semplicemente battendone insieme per tre volte i tacchi. E poi, la storia delle scarpe rovinate dal ballo, possedute dalle dodici principesse sorelle. E che dire del Gatto con gli stivali?
Da tutto questo alla cabina armadio di Carrie Bradshaw il passo è brevissimo! :-)



No, avete ragione, non può essere tutto dovuto alle favole e alla tv.
C'è un simbolismo molto arcaico che fa ormai parte del nostro inconscio collettivo, esplorato grazie anche al sapere antico delle fiabe che vi attingono, oltre ai sogni e alle tradizioni di diversi paesi.
Ho scoperto che le origini della fiaba di Cenerentola hanno radici addirittura nella cultura cinese: e se pensiamo al culto del piede femminile che questo popolo ha avuto nei secoli qualcosa ci rimanda anche alla perfetta forma del piedino di Cinderella.
Per secoli in Cina si è assistito all'usanza di comprimere i piedi delle bambine, grazie a strettissime fasce che ne impedivano la crescita, per ottenere delle minuscole estremità, segno di grazia, bellezza e qualità femminili, definite “loto d'oro” - anche nella versione originaria della fiaba le scarpette erano d'oro, non di cristallo come nella versione di Perrault, scelta da Disney per creare il cartone animato. Questo procedimento di blocco della crescita del piede però, faceva delle donne delle buffe caricature di se stesse, perché per muoversi, procedevano a piccoli passi, simili a brevi oscillazioni e saltelli (e comunque non potevano andare molto lontano né tantomeno lavorare, per cui venivano prese in sposa da uomini facoltosi, che le sceglievano anche se povere, grazie ai minuti piedini ottenuti con enormi sacrifici).
È paradossale come scavando nelle origini delle fiabe si nasconda sempre un risvolto molto crudele e triste, dovuto all'insegnamento di vita che alla fine volevano trasmettere ai bambini e alle bambine.
È proprio Perrault, nel '600 che ha edulcorato ed epurato la maggior parte delle fiabe antiche dei loro particolari troppo cruenti, poco consoni all'ambiente reale francese nel quale lui declamava storie: ad esempio omettendo il passaggio nel quale la matrigna di Cinderella, per permettere alle sorellastre di indossare la scarpa e ingannare il principe, asporta loro l'alluce e il tallone, rendendole monche e sanguinanti.
Bruno Bettelheim ne “Il mondo incantato” ci narra il significato psicanalitico delle fiabe più conosciute, facendoci scoprire anche l'aspetto legato alla sessualità del calzare la scarpa da parte di Cenerentola.
Citando storie risalenti agli Egizi, ci mostra come nei secoli, questo gesto del piede che entra nella scarpa stupenda, sia la simbolizzazione dell'atto sessuale fra uomo e donna, dove il piede rappresenta il pene e la scarpa (pantofola nelle versioni originarie) la vagina, mettendoci in guardia però sul fatto che questo stesso vissuto venga interpretato diversamente da parte maschile e femminile.
Al di là delle implicazioni psicanalitiche legate al concetto di castrazione per le quali rimando chi interessato alla lettura del testo (pag. 259-260), mi preme sottolineare l'aspetto importante del gesto “attivo” con cui la giovane fanciulla inserisce il piede nella scarpa, non lasciando che l'altro lo faccia per lei: “essa tolse il piede dalla sua pesante scarpa di legno e l'infilò nella pantofola, che le andò alla perfezione”, confermando che anche lei agirà in prima persona per la realizzazione della coppia e dimostrando allo stesso tempo di poter finalmente accettare la propria femminilità e vera identità, (aiutata e sostenuta dall'amore del principe), non più confinata ad esistere in un periodo limitato e sotto forma di incantesimo.
Personalmente sono molto affezionata anche ad un'altra storia, che si trova in un libro fondamentale per il nutrimento dell'anima di tutte le donne (“Donne che corrono coi lupi” di C.Pinkola Estés) e si intitola “Scarpette rosse” (se vuoi leggerla la trovi qui). L'autrice riporta le storie in tutti i loro aspetti terrifici che riescono a scuotere l'animo, per donarci messaggi importanti di risveglio. Qui le scarpe fatte a mano, con stracci pazientemente raccolti, simboleggiano il contatto profondo della bambina con le sue energie, la sua vitalità, la sua strada e la sua libertà: quando vi rinuncia perché allettata da una vita comoda e signorile, infondo rinuncia a se stessa e alla fine cerca spasmodicamente dei surrogati simili a quelle scarpette rosse abbandonate, che si dimostreranno deleterie perché fasulle.
E in ultimo, vorrei citare anche i detti della tradizione popolare, che confermano quanto detto finora: “stare con il piede in due scarpe” rimanda a una situazione ambigua - “ogni piede ha la sua scarpa” fa pensare che esiste una dimensione giusta per ciascuno, inutile tentarne di alternative che non sono fatte per noi - e infine “fare le scarpe a qualcuno” rappresenta proprio il prendere il suo posto, con l'inganno.
Vi starete chiedendo, cosa c'entra tutto questo con quell'irresistibile voglia che vi assale di fronte alle vetrine del centro?
Io credo che alla luce di quanto vi ho raccontato, la scelta della scarpa da parte delle donne sia un'inconscio simbolo di emancipazione e di libertà di essere, di vivere e sperimentare varie parti di sé (pensate al dubbio amletico “che scarpa mi metto oggi?” che potrebbe essere anche “che tipo di abito..” e in entrambi i casi è “che tipo di donna voglio essere oggi?”).
Provate a riflettere un attimo sui momenti in cui siete assalite maggiormente dal raptus da acquisto fulmineo, se questo è legato a particolari stati d'animo. Oppure domandatevi se avete acquistato un certo tipo di scarpa piuttosto che un altro quando siete state in preda a vissuti diversi o fasi della vita diverse.
Ci sono donne che per anni portano scarpe rasoterra e improvvisamente sentono l'ardire di camminare su dieci centimetri, altre che non sono mai scese sotto i sette e da un giorno all'altro apprezzano la comodità di avere il peso su tutto il piede, che grato le ringrazia... c'è poi da fare i conti con gli stereotipi sociali: tacco = sexy, ginnica = maschio ecc...
Ma non sempre un'immagine ha un solo significato: ci sono donne che non mettono tacchi e non per questo sono vissute o si sentono meno sensuali o attraenti, altre che esprimono bellezza anche con un paio di ciabatte da casa! C'è una realtà però che non si può ignorare, cioè la modificazione della postura dovuta al tacco che rende la gamba slanciata e l'andatura più accattivante, ma, se il tacco stesso è vissuto come una tortura, rischia di avvicinarci a quell'andatura delle povere cinesi inguainate in scarpine da bambina.
A volte invece, se usato con consapevolezza e disinvoltura, può davvero essere strumento per aumentare (temporaneamente!) centimetri e autostima.
Secondo me la questione finale è il riuscire a sentirsi a proprio agio nelle proprie scarpe, quelle scelte perché ci rendono uniche e speciali, ovvero, muoversi liberamente nella propria dimensione, permettendosi a volte di osare e giocare, coi colori, con i modelli o con le altezze, il tutto con leggerezza e allegria.
Credo anche però, che non ci sia sensazione migliore di quella di togliersi alla fine le scarpe, poter camminare a piedi nudi a contatto con la terra, riprendendo contatto con la nostra dimensione naturale e con la donna spontanea e bellissima che siamo, al di là di tutti gli accessori, che come tali sono spesso superflui.
virginia 

martedì 5 aprile 2011

Riprovare e non arrendersi



Questa poesia mi è stata dedicata da un'amica un milione di anni fa, quando condividevamo le nostre gioie e dolori di ragazzine inesperte e acerbe, e le parole ivi contenute ci sono servite per riflettere e diventare grandi, fra mille peripezie e avventure.
Oggi sento con trasporto e urgenza di volerla dedicare a un'altra amica, la quale mi legge paziente su queste pagine, che spero a volte riescano a colmare la distanza geografica che ci separa e trasformarla in un abbraccio avvolgente che consola. 
Questi versi ci mostrano che non si può eliminare il dolore dalla nostra vita, che le relazioni sono bellissime e anche complicate, ma ricordano soprattutto che noi, comunque, ce la possiamo fare.
A tutte le età.  


Dopo un po’ impari la sottile
differenza fra tenere una
mano e incatenare un’anima.

E impari che l’amore non è
appoggiarsi a qualcuno
e la compagnia non è sicurezza.

E inizi a imparare che i baci
non sono contratti
e i doni non sono promesse.

E cominci ad accettare le tue sconfitte
a testa alta e con gli occhi aperti
con la grazia di un adulto
non con il dolore di un bambino.

E impari a costruire
le tue strade oggi
perché il terreno di domani
è troppo incerto per fare piani.

Dopo un po’ impari
che il sole scotta
se ne prendi troppo.

Perciò pianti il tuo giardino
e decori la tua anima,
invece di aspettare
che qualcuno ti porti i fiori.

E impari che puoi davvero sopportare
che sei davvero forte
e che vali davvero.

                                Veronica A. Shoffstall (1971)

virginia

lunedì 4 aprile 2011

L'affascinante percorso della scelta



Essere o non essere, questo è il problema” così si dilaniava l'animo di Amleto, scisso fra due possibilità, perduto nella speculazione a voce alta di un dramma interiore, potente e intenso, perché legato alla ricerca di senso dell'esistenza.
E anche noi, come lui possiamo spesso ritrovare fra le pagine delle nostre vite, dei momenti critici, in cui ci interroghiamo sul da farsi, quando una scelta preme ed esige posizioni definite, quando non ci sentiamo a posto nel luogo dove siamo, o anche con le persone che ci circondano: quando qualcosa ha fatto il suo tempo ed è l'ora di cambiare, quando ad una strada è stato impedito di essere percorsa e adesso chiede insistente i nostri passi, quando avevamo deciso qualcosa sulla base di criteri e bisogni altrui e i nostri oggi finalmente chiedono riscatto...
Mi è capitato di ascoltare e aiutare donne che volevano scegliere, ma che in primo luogo avevano bisogno di fare chiarezza.
Prima di scegliere è necessario rendere esplicito tutto ciò che dimora nella nostra mente e nella nostra anima, cercando di favorire l'emergere anche dei timori nascosti, delle idee pessimiste come di quelle troppo esaltate, aiutando timidi sogni a uscire allo scoperto per diventare progetti concreti ed elaborando il lutto per tutto ciò che viene abbandonato e lasciato dietro le spalle.
Per poter scegliere devo aver chiaro il mio obiettivo e il movente, le motivazioni che posso usare per rischiararlo lungo il cammino.
A volte non sono scelte facili, non è come un cambio d'abito, dove sai che magari quello scartato sarà adatto in un'altra occasione: molte delle nostre decisioni sono definitive e comportano cambiamenti epocali, ed è questo che ci spaventa.
Non riesco a tollerare l'idea di non poterci ripensare”... “non mi piace ferire qualcuno per la mia felicità”... “mi piacerebbe lasciarmi una via d'uscita”... “e se poi mi accorgo di aver sbagliato tutto?” … “non riesco neppure a capire dove sono io, come faccio a scelgliere con consapevolezza?” … “vorrei poter cambiare tutto in blocco”... “chi lascia la via vecchia per la nuova...” … “infondo ci sono aspetti di questa situazione che mi piacciono”...
Quante domande e dilemmi affollano la nostra mente in questi momenti!!
Oltre a un lavoro di consapevolezza, che serve a mettere sull'ipotetica bilancia le varie alternative che porteranno a posizioni definitive, consiglio sempre il “lavoro” con due preziosi alleati, in base alle circostanze.
Si tratta di due fiori di Bach, utilissimi proprio in situazioni come questa, ma con alcune differenze.
WILD OAT – il fiore dell'avena selvatica, arriva in nostro soccorso ogni volta che ci troviamo a dover fare il punto sulla nostra vocazione. Si ha bisogno di questo rimedio ogniqualvolta ci si sente in uno stato di irrequietezza dovuta all'incapacità di scegliere definitivamente qualcosa, perché si tende a intraprendere molte iniziative e attività senza però sentirne “propria” neppure una, con un conseguente dispendio di energia che aggrava la situazione. Wild oat è utile anche nelle fasi di vita in cui si debba davvero scegliere chi siamo e che cosa vogliamo fare del nostro futuro (penso agli adolescenti e la scelta della scuola, ma anche dopo una separazione, per ritrovare la propria strada e la propria dimensione o sul lavoro, quando è necessario reinventarsi). L'avena selvatica ci aiuta a riprendere contatto col nostro filo d'arianna interiore, quello che ci conduce “a casa”, intesa come la realizzazione di noi stessi tramite le attività che più ci appagano.
L'altro indispensabile aiutante è SCLERANTHUS, il fiore di centigrani, che rimette in armonia il potenziale dell'equilibrio interiore, necessario per una scelta ponderata.
Questo rimedio è un toccasana ogni volta che ci si trova a dover scegliere fra due possibilità, che sono già ben delineate nella nostra mente (contrariamente a Wild oat che apre a numerose possibilità) ma che presentano entrambe aspetti positivi che ci mettono in conflitto. Scleranthus ci soccorrerà quando vogliamo decidere fra due lavori, fra due pretendenti, o anche semplicemente quando occorre valutare se fare o meno una determinata azione (è pur sempre un dualismo).

In ogni caso, uniti all'ascolto interiore, entrambi i rimedi ci aiutano ad uscire dall'impasse rappresentato dalla speculazione continua sul da farsi, nell'oscillazione perenne che ci crea conflitti stagnanti che paralizzano le nostre vite.
Rimbocchiamoci le maniche e dedichiamoci allo sblocco delle nostre energie latenti, fondamentali in qualsiasi processo decisionale.
virginia