lunedì 18 aprile 2016

parole per l'anima #8


Perché resti in prigione 
quando la porta 
è spalancata?

Questa frase di Rumi mi ha fatto pensare all'esperimento di Seligman, quello che quando lo racconto in terapia per spiegare come mai le persone in certe situazioni siano così arrendevoli lascia sempre sconcertati.
Lo sconcerto non nasce solo dalle modalità usate fino a qualche decennio fa di sfruttare gli animali come cavie in psicologia sperimentale – e infatti questo tipo di esperienze poi sono state considerate non etiche e interrotte – bensì nasce dalla improvvisa consapevolezza di essere in qualche modo stati “vittime” dello stesso meccanismo nella propria vita.

Nel 1967 Martin Seligman cominciò a studiare il comportamento di alcuni cani di fronte a uno stimolo doloroso. 
Egli pose due gabbie contigue unite da un passaggio che permetteva all'animale di andare dall'una all'altra se lo desiderava.
Una delle due gabbie aveva il pavimento elettrificato così, se il cane si trovava in quella, una volta che riceveva la scossa poteva rifugiarsi nell'altra.
Dopo un po' di prove veniva chiusa la porta di passaggio così il cane metteva in atto dei tentativi per provare a passare di nuovo dall'altra parte, ma quando risultavano vani alla fine si rassegnava a subire lo stimolo doloroso.
L'aspetto però maggiormente traumatico era il fatto che dopo un certo numero di tentativi dove l'animale non poteva fare niente se non subire, alla fine anche se la porta di separazione era di nuovo aperta, il povero cane non aveva più l'istinto di fuga, si era abituato ad essere impotente di fronte a questa causa avversa.
Seligman chiamò questo processo “senso di impotenza appreso” e ipotizzò che potesse essere alla base, nell'essere umano, del disturbo depressivo e del comportamento di chi accetta in maniera passiva situazioni che altri ritengono insopportabili e per questo non cercano più un'alternativa, una soluzione o una ribellione.

La notizia positiva era che riabilitando i cani, questi riuscivano a tornare alla risposta sana di partenza. 
La stessa cosa, sostiene Seligman, succede all'essere umano: con la terapia si può tornare ad essere in grado di trovare nuove risposte creative per uscire da quelli che crediamo vicoli ciechi.
Le nostre paure e le convinzioni limitanti nascono nell'infanzia, quando nelle prime esperienze siamo vulnerabili al condizionamento dell'ambiente che ci circonda. 
Ad esempio - semplificando -  se i genitori hanno una certa opinione di che cosa sia pericoloso allora il bambino ne potrà essere condizionato e comportarsi di conseguenza, evitando le stesse cose che evitano loro.
Lo stesso vale per i giudizi sugli altri e sul mondo. 
Il problema avverrà se quel bambino sentirà in sé delle spinte interiori a porre in essere quei comportamenti considerati "sbagliati" dall'ambiente in cui è cresciuto. 



Non lasciare che la tua paura 
decida il tuo futuro

Che si tratti di paure oppure di convinzioni, o anche di false immagini di sé, occorre svelarle e capirne i significati profondi, perché altrimenti potremmo essere come dei burattini inconsapevoli, che si muovono secondo scelte altrui.



Questo può valere anche nel presente, quando ci lasciamo condizionare dall'ormai "opinione comune" perpetrata dalla rete dei social network o dalle "verità" e notizie virtuali, che impongono nuovi stereotipi e pregiudizi. 


Affrontare le proprie paure presuppone un atteggiamento che sappia guardare dentro a ciò che temiamo di più, soprattutto se si tratta dell'opinione dei familiari sulle nostre scelte, sui nostri comportamenti e modi di vivere. 

Si tratterà di rendersi consapevoli che ad un certo punto della vita potremo fare a meno di qualcosa che credevamo necessario per potersi descrivere e definire. 
Oppure di lasciar andare vecchie certezze per far spazio al nuovo.
O ancora allontanarsi dalle strade conosciute per avventurarsi in quelle ancora inesplorate.


Si hai ragione.
Dopo anni di immobilismo e impotenza potrà sembrarti un salto nel vuoto.



Cosa succede se cado?
Oh, mia cara, 
cosa succede se voli?


Buona settimana
virginia

(fonte immagini: Pinterest)

lunedì 4 aprile 2016

Non tutte le paure vengono per nuocere



Qualche giorno fa ho pubblicato un video sulla mia pagina fb, si trattava di un corto animato sulle paure




Fra i motivi di richiesta di sostegno psicologico e psicoterapia, i problemi dello spettro ansioso – che include paure, fobie, agitazione, stress, insonnia, panico – sono tra i più comuni.
Per questo ho pensato che fosse utile un post sull'argomento, che permettesse di vedere le cose da diversi punti di vista, proprio come accade in questo video.
Per qualcuno potrà sembrare un'ovvietà ma la paura non è solo quel sintomo fastidioso e invalidante che sperimentiamo nella nostra vita quando si presenta in maniera esasperata e generalizzata.
La paura è un'emozione fondamentale, nata come risposta adattiva a uno stress che mina il nostro equilibrio e altera in alcuni casi la percezione di sicurezza.
Se proviamo paura – in condizioni normali – siamo capaci di operare dei cambiamenti nel nostro ambiente o nel nostro comportamento, tali da ripristinare la condizione di tranquillità.
In natura, nella risposta del nostro cervello rettiliano, si tratta di attaccare o fuggire, o in casi estremi bloccarsi per cercare di evitare il pericolo (ne avevamo già parlato qui ).
Nella nostra vita ormai fuori dalla foresta, i motivi che possono portare a provare timore diventano le relazioni umane, le condizioni di lavoro, traumi, incidenti, prove importanti da superare che vanno a minare l'autostima e il senso di sé.
Di solito mettiamo in essere strategie e accorgimenti per riuscire a superare indenni tutto questo: altre volte invece qualcosa va storto e – spesso all'improvviso – si può arrivare a sentirsi sopraffare da ciò che fino a qualche tempo prima risultava gestibile.
Perché?
Nel caso degli attacchi di panico vi rimando ad alcuni vecchi articoli, a partire da questo
mentre nel caso di paure e disagi che non diventano panico, bensì reazioni incontrollabili a situazioni precise e definite, vi invito a fermarvi un attimo e cominciare ad ascoltarvi.

Se questa paura è arrivata significa che vi sta dando un messaggio e che in qualche modo è protettiva rispetto a qualcosa che altrimenti sarebbe considerato “peggiore” per voi e per la vostra vita.
Può sembrarvi paradossale, ma il vostro sintomo porta già con sé la soluzione all'enigma.
Si tratta di scoprire quale altro aspetto “peggiore” quella paura sta coprendo.
Attenzione però, quando dico “peggiore” non sto parlando di una valutazione obiettiva: è il peggiore filtrato magari dalla visione di una vostra parte limitante, di una subpersonalità boicottante (vedi qui) o anche secondo un vostro punto di vista giudicante che in realtà non è vostro, ma familiare o sociale, col quale ormai vi identificate per poter essere accettati.
Sono molto affezionata alla teoria della ghianda di James Hillman

[…] l'idea che ciascuna persona sia portatrice di un'unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di essere vissuta. (pag.21)
[…] dice che io e voi e chiunque altro siamo venuti al mondo con un'immagine che ci definisce. (pag.27)
(Il codice dell'anima, 1997)

Il problema spesso è che nell'arco della nostra vita ci allontaniamo da quell'impronta auto-realizzativa ed è per questo che appare il sintomo, creato dal daimon per ricordarci la strada verso noi stessi (ne avevamo parlato qui)

Quindi quando all'improvviso si presenta una paura, piuttosto che maledirla, occorre osservarla, perché “il sintomo vuole essere contemplato, non solo analizzato” (Hillman, pag. 55).
Successivamente provate a porvi qualche domanda paradossale.
Ad esempio, se non riuscite più a guidare l'auto quale beneficio ottenete dallo stare fermi? Cosa volete evitare? Oppure se non volete più parlare in pubblico perché la paura vi paralizza, che cosa vorreste urlare al mondo ma vi impedite di fare?
Questi sono solo alcuni esempi che come al solito rischiano di semplificare la complessità di ogni essere umano, ma magari vi possono far comprendere che solo cambiando punto di vista è possibile accogliere ciò che vi sembra solo un incubo, e magari finalmente riuscire ad abbracciarlo, perché vi accompagna verso voi stessi.

Buona settimana

virginia