domenica 31 gennaio 2016

Storie di levrieri, di ferite e di rinascita




Oggi ricorre il “dia del galgo” ovvero la Giornata Mondiale del Galgo (il levriero spagnolo, qui maggiori informazioni).
Per chi non mi conosce personalmente questo post sembrerà un po' strano e fuori tema rispetto al resto degli argomenti trattati, ma in realtà adesso vi spiegherò perché ho scelto di parlarvene.

In primo luogo perché nella mia vita da due mesi è entrato Golem, un galgo spagnolo di 4 anni, salvato a Siviglia dalla Fundacion Benjamin Mehnert (qui) - che ogni anno è impegnata nel recupero, cura e adozione di animali maltrattati, in special modo i levrieri, usati in Spagna per la caccia alla lepre o per le manifestazioni di corsa.

Ciascuno di questi animali, giovane, forte e veloce può essere abbandonato per una corsa non vinta, per un tempo non raggiunto, per una svolta inaspettata della lepre, per una slogatura della zampa, per un’amputazione accidentale della coda, che utilizza come timone, ecc… Tutte queste cause assurde che fanno la differenza tra un perdente ed un campione, e per esse il galgo può perdere il valore per i galgheros.
(tratto dal sito della FBM)

Oltre a questo anche i cani “campioni” vengono tenuti in condizioni di vita pessime e costretti ad allenamenti estenuanti.
Il primo febbraio segna la fine del periodo di caccia ed è il momento in cui moltissimi cani vengono abbandonati o brutalmente eliminati (uccisi o seviziati).
Ecco l'origine del dia del galgo, una giornata dedicata alla sensibilizzazione e conoscenza di un fenomeno terribile e purtroppo molto esteso nella vicina terra spagnola.

Golem sta ogni giorno in studio con me.


Il suo nome glielo avevano dato alla Fundacion e glielo abbiamo lasciato, perché mi piaceva il significato etimologico ebraico di “principio creatore del mondo” ma anche l'idea leggendaria del “gigante protettore”.
Ormai è diventato una presenza silenziosa ma fondamentale nella stanza di terapia.
Sta nella sua cuccia vicino a me, anche se si esprime al meglio sulla sua poltrona personale di casa!



Tutti si stupiscono di come si sia adattato alla sua nuova condizione di vita, così distante dai brulli campi sconfinati dell'Andalusia.
Golem ogni giorno che passa dimostra di imparare qualcosa di nuovo, e io con lui.
Perché tutti gli animali ci insegnano qualcosa e perché – come Mark Rowlands suggerisce – credo che certi pensieri possano emergere solo nello spazio fra un lupo e un uomo (da “Il lupo e il filosofo. Lezioni di vita dalla natura selvaggia” 2009).

La domanda che più di frequente mi viene rivolta è “ma devi portarlo a correre? Vorrà muoversi molto!
No, in realtà credo che abbia già corso abbastanza... e nella maniera peggiore.
Adesso corre quando vuol giocare, ed è una gioia vederlo, ma dopo qualche falcata – ci mette due secondi a fare il perimetro dell'area di sgambamento! - torna a trotterellare verso di me in cerca di coccole.
Sono cani molto (molto, molto, molto!) affettuosi, diventano la nostra ombra, ed è incredibile l'attaccamento e la fiducia che dimostrano nonostante i traumi subiti proprio dai nostri simili.
La più frequente esclamazione di chi incontra i suoi occhi è “ma quanto sei buono?”.

Ecco il secondo motivo che mi porta a scrivere di questo argomento qui nel blog, oggi.
I levrieri ci danno testimonianza di come sia possibile guarire dalle ferite del nostro passato.
La loro presenza nella nostra vita diventa metafora della possibilità di rinascita.
Molti portano ancora i segni di cicatrici sul corpo, altri si muovono impauriti e guardinghi perché temono ulteriori attacchi dall'esterno, ma nonostante tutto riescono a fidarsi pian piano di questi nuovi tipi di umani che si sono presi cura di loro – in Fundacion prima e nelle famiglie successivamente.
Accade per loro proprio come a ognuno di noi, quando siamo stati feriti, offesi e umiliati.
Ci sono momenti di sconforto dove la paura vince su tutto.
Altri in cui siamo tristi e disperati.
Altri ancora in cui non crediamo che le cose cambieranno mai.
Questi sono i vissuti e le emozioni di chi arriva nella stanza di terapia.
Ci vuole tempo e pazienza.
Costanza.
Coraggio, nel rivivere la memoria di episodi terribili e nel voler cambiare le cose.
Curare le ferite e provare di nuovo a vivere.
Ricostruire giorno dopo giorno un nuovo modo di essere e di fare.
E infine scoprire con stupore che esistono persone diverse da quelle che ci hanno ferito e che una nuova vita ci aspetta.
Questo è il prezioso insegnamento dei galgos.



Buona settimana
(e buona fortuna a tutti gli amici a quattro zampe in attesa di adozione)
virginia

P.S. Se volete maggiori informazioni per adottare un galgo contattate la pagina facebook “Insieme per FBM” (qui)

lunedì 25 gennaio 2016

E allora come spieghi a tuo figlio il gender, #svegliatitalia e le famiglie arcobaleno?



Il titolo questa volta è volutamente provocatorio.
Premessa a questo post è che in tutto questo gran discutere, io sto dalla parte dei bambini.
Che spesso mi sembra che tutti se ne dimentichino, persi nel desiderio di affermare chi ha ragione e chi no, chi fa la cosa giusta e come, chi può decidere o meno cosa insegnare.
Perché tutto ciò di cui si sente parlare (e come se ne sente parlare) sono cose da grandi, viste con gli occhi dei grandi, interpretate e filtrate da un'esperienza di vita – più o meno consapevole, ma pur sempre vissuta.
Mentre io a volte provo a immaginare di osservare e ascoltare con gli occhi e le orecchie dei piccoli, smarriti di fronte a qualcosa di accessibile – in immagini o discussioni – ma sconosciuto e spesso poco o per niente elaborato per loro e con loro.
Ci sono i genitori del “io gli insegno che siamo tutti uguali ma di quelle cose lì non ne voglio parlare” quelli del “sono gente sbagliata che rovina il mondo, non ne voglio sapere nulla (se va bene, ndr)” o “stai attento che quelli sono il diavolo” (nei casi peggiori, ndr) e infine ci sono anche quelli del “vorrei parlargliene ma non so come”.
Ecco, io oggi scrivo per questi ultimi – e forse anche per i primi – mentre se appartenete alla categoria di mezzo potete anche interrompere qui la lettura.

Chi mi segue sa cosa penso dei diritti LGBT, (gli altri possono scoprirlo qui, qui e qui) per cui è chiaro che mi prema aiutare i più piccoli a entrare con i passi adeguati in un terreno che prima ancora che sessuale deve essere relazionale e affettivo.
Le tanto “scandalose” linee guida dell'OMS – qui una lettura intelligente – non spingono a dare informazioni e messaggi inopportuni ai bambini, bensì sono inserite in un più ampio progetto di comunicazione per il rispetto dell'altro, della diversità e delle pari opportunità.
Che ai genitori piaccia o no, i figli accedono al loro corpo e al piacere dalla più tenera età e poi si cominciano a interrogare – sempre più precocemente ormai – sulle relazioni affettive, sulla sessualità, a partire dalle differenze anatomiche fino a come nascono i bambini.
È normale dunque, che in una società dove la genitorialità – riconosciuta civilmente o meno – può essere vissuta anche da coppie dello stesso sesso, un bambino possa avere come compagno di banco un amichetto con due mamme o due papà.
E in quel caso, (forse il genitore della categoria di mezzo di cui sopra gli farà cambiare scuola), ma gli altri, dovranno avere parole adeguate per rispondere alle meravigliose domande che nasceranno spontanee dalla curiosità del loro pargoletto.
In generale, ci si può attenere a tre semplici regole:
1) Usare contenuti adeguati all'età e rimandando a ciò che il bambino conosce.
2) Legati all'aspetto affettivo e rispettosi delle scelte altrui.
3) Limitati a ciò che il bambino chiede – non importa dare dettagli o informazioni approfondite se non ci sono domande specifiche, a meno che non lo riteniate necessario cogliendo l'occasione per spiegare concetti più generali.

Come altre volte, ho creato una storia, che spero possa esservi di ispirazione.

Anna, 5 anni.

- Mamma lo sai che Silvia ha due papà?
- Davvero tesoro, e chi te lo ha detto?
- Lei lo ha detto a tutti, perché la maestra ci ha fatto fare il disegno della rosa per la festa della mamma e Silvia ha detto, io non ce l'ho la mamma, ho due papà.
- … ah, è proprio una cosa interessante...
- Si. come fa a non avere la mamma se tu mi hai detto che tutti i bambini escono dalla pancia della mamma?
- Hai ragione. Sicuramente Silvia è uscita dalla pancia di una donna, ma poi quella signora forse non ha potuto farle da mamma ed è stata adottata. Come Thomas, sai quel bambino che viene dall'Africa e troviamo al parco con i suoi genitori che hanno la pelle bianca?
- … si, come Thomas che voleva una famiglia perché non ce l'aveva.
(riflette) si ma Thomas ha una mamma e un papà che sono bianchi e lui è nero, ma sono un maschio e una femmina. Perché Silvia ha due maschi?
- Ah, ecco oggi allora impariamo una cosa nuova.
Ci sono tanti modi per volersi bene.
Ci sono famiglie come la nostra dove ci sono la mamma e il papà e i bambini.
Ci sono famiglie dove ci sono due papà e i bambini oppure due mamme e i bambini.
La cosa importante è volersi bene.
- E se un bambino ha due mamme come fanno ad avere i semini del papà per nascere?
- Ci sarà un signore che gli dà il suo semino e a una mamma gli cresce la pancia.
- Mamma, ma anche i papà di Silvia si danno i baci come te e il papà? (con la faccia perplessa...)
- Si, anche loro, perché si vogliono molto bene.
(faccia ancora più perplessa) Ma è strano! I maschi non si danno i baci!
- A volte si. Ci sono delle persone che a un certo punto gli batte forte il cuore e sono innamorati di un altro maschio o di un'altra femmina e sono felici.
E Silvia è stata una bambina fortunata perché vogliono molto bene anche a lei.
- E sai mamma che Silvia ha fatto il lavoretto per il suo papà Gianni perché a lui gli piacciono le rose, proprio come a te!
- Ah, che bello! mi sta già simpatico questo papà!
- Anche a me. Domani invitiamo Silvia a giocare?

Oltre a tutte le teorie, ricordiamo sempre che il modo migliore per educare è dare
l' esempio.

Buona settimana
virginia 

venerdì 22 gennaio 2016

parole per l'anima #2


Un errore può essere il tuo maestro, 
non il tuo aggressore.
Un errore è una lezione,
non una perdita.
Si tratta di una necessaria e temporanea deviazione,
non di un vicolo cieco. 

Come abbiamo visto lunedì (qui) i nostri errori, soprattutto quelli che facciamo inconsapevolmente da sempre, possono diventare elementi preziosi per la nostra libertà, ma ad alcune condizioni: 

1) che usciamo dall'automatismo del "copia incolla" - ovvero riusciamo finalmente a vedere chi, che cosa e come ci induce a comportarsi sempre alla stessa maniera. 


2) che ci accorgiamo quale aspetto nocivo e boicottante andiamo a nutrire col nostro agire (dictat familiari? stereotipi sociali?) perché anche se non ce ne rendiamo conto, gli schemi più disfunzionali nascono e crescono con noi e in noi. 


3) che cominciamo a muovere i primi passi con le nostre gambe e a pensare con la nostra testa, liberandosi da condizionamenti imposti e strade precostituite da altri al nostro posto 


4) che non perdiamo di vista anche l'aspetto umoristico che può servire a sdrammatizzare e vedersi con uno sguardo più leggero 


(Non faccio mai lo stesso errore due volte. 
Lo faccio cinque o sei volte, 
giusto per essere sicuro/a.)

5) che siamo pronti a guardarci dentro e scoprire nuove potenzialità nascoste da copioni che nel tempo diventano catene. 


buon week end 
virginia 

(fonte immagini: Pinterest) 

lunedì 18 gennaio 2016

perché facciamo sempre gli stessi errori?



Molto frequentemente una delle frasi affermate sul divano di terapia è “non ce la faccio più a continuare così. Mi trovo sempre nella stessa situazione, non capisco perché...
Si tratta spesso di persone che ad un certo punto si accorgono che hanno cambiato partner, oppure lavoro o amicizie, ma dopo un po' di tempo, certe dinamiche relazionali riemergono tali e quali, creando conflitti, complicazioni o ennesime rotture.
Qualcuno a volte arriva anche a dire “forse sono io il problema??
E in questo caso non hanno tutti i torti, basta non prendere questa domanda alla lettera.
Quando certe esperienze si ripetono – portando con sé scelte, comportamenti e anche i cosiddetti “errori” - è sì importante rilevare cosa accade consciamente nel panorama emotiva della persona che li pone in essere, ma soprattutto bisogna cominciare ad indagare cosa si è mosso nell'inconscio per far sì che tutto ciò si ripetesse per l'ennesima volta.
È qui il nucleo della frase “il problema sono io”.
Fra le numerose e intelligenti vignette di Cavez, ho trovato questa che sintetizza molto bene la risposta alla domanda che ho scelto per titolo.



Cosa significa che lo stesso errore è “sicuro”?
Significa che mentre porta conseguenze disastrose, allo stesso tempo va ad appagare qualche convinzione inconscia su se stessi, o che realizza un bisogno di boicottaggio (sempre inconscio) o conferma le affermazioni e etichette che le figure significative dell'infanzia possono aver espresso sul proprio conto.
Provo a fare degli esempi pratici, pur se un po' semplicistici (la nostra realtà psichica è sempre più complessa).

Esempio 1 – mettiamo il caso di un bambino con un'esperienza di umiliazione scolastica dovuta a compagni che lo prendevano in giro perché arrossiva e balbettava ogniqualvolta veniva interrogato. Questo bambino potrebbe aver sviluppato delle idee su se stesso del tipo “sono un buono a nulla”. Da grande, potrebbe accadere che in un posto di lavoro se chiamato anche solo in una riunione a esprimere il suo parere di fronte agli altri, si senta un incapace, pur se preparato e competente, così da inscenare risposte abbozzate, somatizzazioni fisiche, a volte anche ansia e panico che finiscono per impedirgli di ricoprire quel ruolo. Questo vissuto incontrollabile, non fa che confermare la convinzione limitante di essere un buono a nulla.

Esempio 2 – bambina con un trauma di rifiuto da parte di uno dei genitori, perché magari non corrispondeva all'idea di figlia che il padre o la madre volevano. Da grande, potrebbe essere che nella ricerca di un partner questa donna si trovi sempre a “cercare” inconsciamente un compagno che non perda occasione per ricordarle che la vuole diversa da quella che è, che le altre sono meglio o che lei non è abbastanza. Questa scelta autodistruttiva le permette di essere “fedele” alla bambina rifiutata che porta sempre dentro di sé.

In psicologia si parla di coazione a ripetere, ovvero – secondo la definizione di Freud – dell' “eterno ritorno dell'uguale”: la ripetizione coatta di una situazione traumatica trasposta nel presente.
Restando nei nostri esempi, l'uomo continua a trovarsi in situazioni dove sentirsi incapace per non ricordare la ferita dell'umiliazione, la donna trova uomini che la svalutano per non ricordare il dolore per il rifiuto infantile.
Allo stesso tempo però, si ripete per cercare in qualche modo di controllare e superare il trauma: l'uomo quindi cerca situazioni di umiliazione per dimostrare inconsciamente a se stesso che potrà superarle, la donna invece vuole dimostrare ai genitori di essere amabile – e per farlo dovrà conquistare l'amore di qualcuno che è come loro, ovvero svalutante e rifiutante (per questo a volte è così difficile uscire da relazioni disfunzionali!).
A volte la realtà può essere ancora più complessa e vi sono casi in cui il trauma è addirittura trans-generazionale, per cui i discendenti si possono trovare inconsciamente a cercare di risolvere attraverso la coazione a ripetere, eventi accaduti a nonni o avi lontani.
Sempre semplificando poniamo il caso di un ragazzo che scelga di fare il reporter e fra le tante possibilità si trovi sempre a optare per luoghi pericolosi, dove la sua vita è continuamente a rischio: potrebbe essere che stia cercando di controllare e gestire un trauma di guerra, accaduto a un membro della sua famiglia.
Come uscire da questo “incantesimo”?
Finché tutte queste dinamiche restano inconsce tenderanno a riproporsi.
La terapia serve proprio a svelarle e renderle finalmente coscienti, in modo che la persona possa affrontare il trauma originario e superarlo (nel caso del trans-generazionale, sono un ottimo strumento le costellazioni familiari).

Insomma, contrariamente a quanto pensiamo, i nostri errori più grandi spesso nascondono le più ampie possibilità di riscatto e liberazione.

Buona settimana
virginia 

giovedì 14 gennaio 2016

parole per l'anima #1


Non hai bisogno di qualcuno 
che ti completi.
Hai solo bisogno di qualcuno 
che ti accetti completamente.

In molti si comportano come se fossero delle metà in cerca di completamento: con dei vuoti da colmare si aggirano nei sentieri della vita, affannosamente, nell'ansia di non trovare mai qualcuno che appaghi i loro bisogni. 


Altri cercano qualcuno che li definisca, che doni finalmente loro un'identità, finendo magari per adeguarsi all'immagine che l'altro desidera, pur di sentirsi qualcosa per qualcuno.


Altri ancora bramano solo un posto sicuro dove sentirsi protetti, e per averlo, sono disposti a sacrificare molto di sé, soprattutto se lo cercano da qualcuno di altrettanto immaturo, che rischia di trasformare l'abbraccio in una morsa.


Invece come abbiamo visto insieme lunedì (qui) il desiderio che alimenta ogni rapporto d'amore, dovrebbe basarsi in primo luogo sull'accettazione dell'altro come diverso da sé, ovvero come individuo che ama ed è amato perché rispetta l'unicità del partner senza cercare di trasformarlo (attente però a non cadere nella trappola del "ti accetto diverso da me anche se tu non lo fai", questo non è amore).


Amore è quando siamo profondamente in sintonia pur nella differenza.


Quando si condividono passioni e ideali, restando però se stessi



Quando il sesso è un incontro e non un mero contatto di corpi


L'amore è quando si riesce a ridere e sdrammatizzare sui difetti dell'altro.



(Non ho bisogno di Google,
mia moglie conosce ogni cosa)




L'amore non è quando 
non ci sono conflitti nella relazione.
L'amore è quando una volta che il conflitto è terminato, 
l'amore è ancora lì.

buon week end
virginia

(fonte immagini: Pinterest)


lunedì 11 gennaio 2016

“per la donna il matrimonio è una relazione con in più la sessualità”




La più parte degli uomini è eroticamente cieca, poiché commette l'imperdonabile malinteso di scambiare eros con sessualità.
L'uomo crede di possedere la donna quando la possiede sessualmente: ma mai la possiede meno di allora.
Infatti per la donna la sola relazione che conti è quella erotica.
Per lei il matrimonio è una relazione con in più la sessualità.”
(C. G. Jung)

Voglio iniziare l'anno parlando di coppia e di un malinteso amoroso che spesso ha risvolti tragici, quando nella coppia l'amore si trasforma in violenza.
Il bisogno di inglobare l'altro come oggetto di proprietà, possederne il corpo, disporne a proprio piacimento rassicura la parte regressiva del bambino nell'uomo, che vuole possedere la mamma, lui e nessun altro. Questo però rende la persona amata come un oggetto, al quale non si riconosce identità alcuna, perché l'identità è pericolosa, può far allontanare da sé e scegliere qualcos'altro o qualcun altro.
Se la compagna manca, questo tipo di uomo sente un'angoscia pari a quella di un bimbo molto piccolo cui viene tolta la madre. Perché egli sente di dover essere il centro del mondo per lei, proprio come nel bisogno narcisistico vitale del lattante che crede che tutto il mondo – madre in primis – si muova per adempiere ai suoi bisogni e necessità.
Esiste una prima fase dell'amore in cui questa “illusione” viene mantenuta da entrambi i partner, perché il bisogno di funzionare all'unisono è maggiore degli interessi individuali, che per un po' di tempo passano in secondo piano.
In questo processo fisiologico degli inizi, soprattutto alcune donne abituate a essere “come tu mi vuoi” rischiano molto se il loro partner non è abbastanza maturo da riuscire a emergere dalla simbiosi e avere atteggiamenti più maturi nella relazione: nel momento in cui proveranno a far presenti i loro bisogni e desideri, si ritroveranno in trappola, accusate di non essere quelle degli inizi o ben di peggio, di aver finto, di avere altri interessi ecc...

Semplificando, è come se per quest'uomo la costanza di un'unione sessuale confermasse e rinforzasse la convinzione che la donna lo vuole, lo ama e quindi si sente sicuro.
Per la donna invece la costanza del corpo non è affatto una “garanzia d'amore”.
Questo non significa scadere nel senso comune che vede gli uomini che “pensano sempre a quello” e le donne no... bensì significa vedere il significato simbolico della sessualità che non è mera fisicità.
Ecco che entra in scena l'Eros, inteso come energia desiderante, come forza trasformativa della relazione che non si accontenta dello status quo, ma porta a interrogarsi, voler crescere, diventare sempre più intimi sfidando i limiti imposti dal “siamo questi e così rimarremo”.
Ascolto molte donne nella stanza di terapia che dopo anni di matrimonio o di una relazione, crescendo si scoprono diverse, desiderose di cimentarsi in nuove parti di sé che spesso però non possono essere portate nella loro dimensione di coppia – ma sia chiaro, spesso questo capita anche agli uomini – per cui mi verrebbe da affermare che più che di differenziazione di genere reale (uomo e donna), nella frase di Jung ci si debba riferire alle parti psichiche (la parte/energia maschile o femminile, che prevale nell'uomo e nella donna).
Cosa significa dunque che per la “donna” il matrimonio è una relazione con in più la sessualità?
Significa proprio e questo moltissimi uomini in carne e ossa ancora fanno fatica a contemplarlo – che il sesso va costruito a partire dal desiderio, dalla complicità che permette di essere e fare qualsiasi esperienza condivisa, perché inserita in una dimensione di gioco leggero e accettazione profonda allo stesso tempo.
Si tratta, per la logica maschilista tout-court, di una contraddizione in termini: poter desiderare qualcosa di continuamente mutevole per cui mai completamente posseduto (vedi anche qui).
È l'accettazione della differenza, dell'altro da sé che è fondamentale proprio perché diverso e individuato (ne avevamo parlato anche qualche tempo fa qui).
Eros come desiderio, permette agli amanti di scoprirsi e riscoprirsi lungo il continuum del tempo, senza darsi per scontati, accettando la dimensione del rischio, lasciando ciascuno che l'altro si trovi e si ritrovi in se stesso e poi si possa sperimentare fuori da sé per tornare nella coppia con più spirito vitale di prima, arricchendo entrambi.
Questo processo se avviene agli albori della formazione della coppia, può rappresentare un momento delicato in cui vedere le differenze può ferire (si tratta di riuscire a tollerare lo “scheletro” - qui), per altre relazioni, se avviene dopo molti anni, può voler dire affrontare momenti tumultuosi che possono diventare crisi, ma in ogni caso, una volta superati, il rapporto si fonderà poi su presupposti difficilmente scardinabili, perché in realtà non ci sarà nulla da scardinare, tutto si fonderà sulla possibilità di confronto fluido e continuo delle differenze.
La dimensione erotica inoltre accetta anche l'assenza, non intesa come privazione dell'altro bensì come momento in cui siamo consapevoli che l'altro non è “nostro” e che il suo ritorno non dipenderà da un impegno scritto o dal possesso fisico: tornerà proprio perché è libero di andare ma vuole restare con te.
Occorre imparare ad accettare che “Amare” infondo è un ossimoro relazionale, ovvero riuscire ad unire ciò che è intrinsecamente separato.
In tal senso, la “coppia” può essere il simbolo che contiene e dà testimonianza dell'unione delle due individualità, delle quali nulla è perduto perché tutto è messo in relazione.

Buona settimana (e buon anno!)
virginia