lunedì 18 gennaio 2016

perché facciamo sempre gli stessi errori?



Molto frequentemente una delle frasi affermate sul divano di terapia è “non ce la faccio più a continuare così. Mi trovo sempre nella stessa situazione, non capisco perché...
Si tratta spesso di persone che ad un certo punto si accorgono che hanno cambiato partner, oppure lavoro o amicizie, ma dopo un po' di tempo, certe dinamiche relazionali riemergono tali e quali, creando conflitti, complicazioni o ennesime rotture.
Qualcuno a volte arriva anche a dire “forse sono io il problema??
E in questo caso non hanno tutti i torti, basta non prendere questa domanda alla lettera.
Quando certe esperienze si ripetono – portando con sé scelte, comportamenti e anche i cosiddetti “errori” - è sì importante rilevare cosa accade consciamente nel panorama emotiva della persona che li pone in essere, ma soprattutto bisogna cominciare ad indagare cosa si è mosso nell'inconscio per far sì che tutto ciò si ripetesse per l'ennesima volta.
È qui il nucleo della frase “il problema sono io”.
Fra le numerose e intelligenti vignette di Cavez, ho trovato questa che sintetizza molto bene la risposta alla domanda che ho scelto per titolo.



Cosa significa che lo stesso errore è “sicuro”?
Significa che mentre porta conseguenze disastrose, allo stesso tempo va ad appagare qualche convinzione inconscia su se stessi, o che realizza un bisogno di boicottaggio (sempre inconscio) o conferma le affermazioni e etichette che le figure significative dell'infanzia possono aver espresso sul proprio conto.
Provo a fare degli esempi pratici, pur se un po' semplicistici (la nostra realtà psichica è sempre più complessa).

Esempio 1 – mettiamo il caso di un bambino con un'esperienza di umiliazione scolastica dovuta a compagni che lo prendevano in giro perché arrossiva e balbettava ogniqualvolta veniva interrogato. Questo bambino potrebbe aver sviluppato delle idee su se stesso del tipo “sono un buono a nulla”. Da grande, potrebbe accadere che in un posto di lavoro se chiamato anche solo in una riunione a esprimere il suo parere di fronte agli altri, si senta un incapace, pur se preparato e competente, così da inscenare risposte abbozzate, somatizzazioni fisiche, a volte anche ansia e panico che finiscono per impedirgli di ricoprire quel ruolo. Questo vissuto incontrollabile, non fa che confermare la convinzione limitante di essere un buono a nulla.

Esempio 2 – bambina con un trauma di rifiuto da parte di uno dei genitori, perché magari non corrispondeva all'idea di figlia che il padre o la madre volevano. Da grande, potrebbe essere che nella ricerca di un partner questa donna si trovi sempre a “cercare” inconsciamente un compagno che non perda occasione per ricordarle che la vuole diversa da quella che è, che le altre sono meglio o che lei non è abbastanza. Questa scelta autodistruttiva le permette di essere “fedele” alla bambina rifiutata che porta sempre dentro di sé.

In psicologia si parla di coazione a ripetere, ovvero – secondo la definizione di Freud – dell' “eterno ritorno dell'uguale”: la ripetizione coatta di una situazione traumatica trasposta nel presente.
Restando nei nostri esempi, l'uomo continua a trovarsi in situazioni dove sentirsi incapace per non ricordare la ferita dell'umiliazione, la donna trova uomini che la svalutano per non ricordare il dolore per il rifiuto infantile.
Allo stesso tempo però, si ripete per cercare in qualche modo di controllare e superare il trauma: l'uomo quindi cerca situazioni di umiliazione per dimostrare inconsciamente a se stesso che potrà superarle, la donna invece vuole dimostrare ai genitori di essere amabile – e per farlo dovrà conquistare l'amore di qualcuno che è come loro, ovvero svalutante e rifiutante (per questo a volte è così difficile uscire da relazioni disfunzionali!).
A volte la realtà può essere ancora più complessa e vi sono casi in cui il trauma è addirittura trans-generazionale, per cui i discendenti si possono trovare inconsciamente a cercare di risolvere attraverso la coazione a ripetere, eventi accaduti a nonni o avi lontani.
Sempre semplificando poniamo il caso di un ragazzo che scelga di fare il reporter e fra le tante possibilità si trovi sempre a optare per luoghi pericolosi, dove la sua vita è continuamente a rischio: potrebbe essere che stia cercando di controllare e gestire un trauma di guerra, accaduto a un membro della sua famiglia.
Come uscire da questo “incantesimo”?
Finché tutte queste dinamiche restano inconsce tenderanno a riproporsi.
La terapia serve proprio a svelarle e renderle finalmente coscienti, in modo che la persona possa affrontare il trauma originario e superarlo (nel caso del trans-generazionale, sono un ottimo strumento le costellazioni familiari).

Insomma, contrariamente a quanto pensiamo, i nostri errori più grandi spesso nascondono le più ampie possibilità di riscatto e liberazione.

Buona settimana
virginia 

1 commento:

samanta.catastini.scrittrice ha detto...

Bel testo che narra una realtà familiare se non a tutti, ma almeno a "quasi" tutti...

Grazie