Molto
frequentemente una delle frasi affermate sul divano di terapia è
“non
ce la faccio più a continuare così. Mi trovo sempre nella stessa
situazione, non capisco perché...”
Si
tratta spesso di persone che ad un certo punto si accorgono che hanno
cambiato partner, oppure lavoro o amicizie, ma dopo un po' di tempo,
certe dinamiche relazionali riemergono tali e quali, creando
conflitti, complicazioni o ennesime rotture.
Qualcuno
a volte arriva anche a dire “forse
sono io il problema??”
E
in questo caso non hanno tutti i torti, basta non prendere questa
domanda alla lettera.
Quando
certe esperienze si ripetono – portando con sé scelte,
comportamenti e anche i cosiddetti “errori” - è sì importante
rilevare cosa accade consciamente nel panorama emotiva della persona
che li pone in essere, ma soprattutto bisogna cominciare ad indagare
cosa si è mosso nell'inconscio per far sì che tutto ciò si
ripetesse per l'ennesima volta.
È
qui il nucleo della frase “il problema sono io”.
Fra
le numerose e intelligenti vignette di Cavez, ho trovato questa che
sintetizza molto bene la risposta alla domanda che ho scelto per
titolo.
Cosa
significa che lo stesso errore è “sicuro”?
Significa
che mentre porta conseguenze disastrose, allo stesso tempo va ad
appagare qualche convinzione inconscia su se stessi, o che realizza
un bisogno di boicottaggio (sempre inconscio) o conferma le
affermazioni e etichette che le figure significative dell'infanzia
possono aver espresso sul proprio conto.
Provo
a fare degli esempi pratici, pur se un po' semplicistici (la nostra
realtà psichica è sempre più complessa).
Esempio
1 – mettiamo il caso di un bambino con un'esperienza di umiliazione
scolastica dovuta a compagni che lo prendevano in giro perché
arrossiva e balbettava ogniqualvolta veniva interrogato. Questo
bambino potrebbe aver sviluppato delle idee su se stesso del tipo
“sono un buono a nulla”. Da grande, potrebbe accadere che in un
posto di lavoro se chiamato anche solo in una riunione a esprimere il
suo parere di fronte agli altri, si senta un incapace, pur se
preparato e competente, così da inscenare risposte abbozzate,
somatizzazioni fisiche, a volte anche ansia e panico che finiscono
per impedirgli di ricoprire quel ruolo. Questo vissuto
incontrollabile, non fa che confermare la convinzione limitante di
essere un buono a nulla.
Esempio
2 – bambina con un trauma di rifiuto da parte di uno dei genitori,
perché magari non corrispondeva all'idea di figlia che il padre o la
madre volevano. Da grande, potrebbe essere che nella ricerca di un
partner questa donna si trovi sempre a “cercare” inconsciamente
un compagno che non perda occasione per ricordarle che la vuole
diversa da quella che è, che le altre sono meglio o che lei non è
abbastanza. Questa scelta autodistruttiva le permette di essere
“fedele” alla bambina rifiutata che porta sempre dentro di sé.
In
psicologia si parla di coazione
a ripetere,
ovvero – secondo la definizione di Freud – dell' “eterno
ritorno dell'uguale”: la ripetizione coatta di una situazione
traumatica trasposta nel presente.
Restando
nei nostri esempi, l'uomo continua a trovarsi in situazioni dove
sentirsi incapace per non ricordare la ferita dell'umiliazione, la
donna trova uomini che la svalutano per non ricordare il dolore per
il rifiuto infantile.
Allo
stesso tempo però, si ripete per cercare in qualche modo di
controllare e superare il trauma: l'uomo quindi cerca situazioni di
umiliazione per dimostrare inconsciamente a se stesso che potrà
superarle, la donna invece vuole dimostrare ai genitori di essere
amabile – e per farlo dovrà conquistare l'amore di qualcuno che è
come loro, ovvero svalutante e rifiutante (per questo a volte è così
difficile uscire da relazioni disfunzionali!).
A
volte la realtà può essere ancora più complessa e vi sono casi in
cui il trauma è addirittura trans-generazionale, per cui i
discendenti si possono trovare inconsciamente a cercare di risolvere
attraverso la coazione a ripetere, eventi accaduti a nonni o avi
lontani.
Sempre
semplificando poniamo il caso di un ragazzo che scelga di fare il
reporter e fra le tante possibilità si trovi sempre a optare per
luoghi pericolosi, dove la sua vita è continuamente a rischio:
potrebbe essere che stia cercando di controllare e gestire un trauma
di guerra, accaduto a un membro della sua famiglia.
Come
uscire da questo “incantesimo”?
Finché
tutte queste dinamiche restano inconsce tenderanno a riproporsi.
La
terapia serve proprio a svelarle e renderle finalmente coscienti, in
modo che la persona possa affrontare il trauma originario e superarlo
(nel caso del trans-generazionale, sono un ottimo strumento le
costellazioni familiari).
Insomma,
contrariamente a quanto pensiamo, i nostri errori più grandi spesso
nascondono le più ampie possibilità di riscatto e liberazione.
Buona
settimana
virginia
1 commento:
Bel testo che narra una realtà familiare se non a tutti, ma almeno a "quasi" tutti...
Grazie
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