martedì 15 novembre 2016

parole per l'anima #13


A chi non farebbe paura un drago? 
Nella simbologia archetipica, il drago rappresenta l'energia del materno castrante, della simbiosi uroborica, dalla quale occorre uscire per individuarsi e fondarsi come identità autoaffermativa. 
In questo senso va interpretata la frase di Rilke. 
Come il drago dell'immaginario sorveglia la grotta che cela un tesoro, così le nostre paure ci impediscono di accedere a contenuti interiori spaventosi ma che allo stesso tempo ci attraggono inspiegabilmente, ed è per questo che ci troviamo a spiarle da un posto sicuro: stiamo cercando un modo per metterci in contatto con loro. 


Poi però, molto spesso ce ne difendiamo: 
"è troppo tardi per dedicarmi a questa cosa che avrei tanto desiderato quando ero giovane..."


"Ne soffro ma devo frapporre fra me e il mondo una maschera che dimostri che va tutto bene"...
"Non si può mostrare la propria vulnerabilità"...


"Se non conosco dove mi porta questa strada non la inizio neppure..."


E potrei citare moltissime altre affermazioni che ciascuno di noi si racconta per riuscire a tollerare lo scarto fra la paura e il desiderio. 

Ma che succederebbe se per un po' di tempo provassimo a tenere per mano quegli aspetti che temiamo di più?  No, non dico ancora viverli, ma semplicemente sentire che effetto fa non combatterli, lasciare che almeno una parte di quella paura si trasformi in curiosità. 


Qualora lo facessimo, ci accorgeremmo che quel terrore non è altro che una "chiamata" repressa.
La paura dell'ignoto, una tensione verso qualcosa di più evoluto che si manifesta.
Il blocco, un'energia congelata.


Rispondi a ogni chiamata che emoziona 
la tua anima.

E come la sirena che è attirata dalla terraferma, sapremmo che nonostante ci siano molti aspetti che ci rassicurano, ce ne sono altri che ci portano altrove.
A dover fare delle scelte.


Si tratta di un sacrificio, ma nel senso di sacrum - facere rendere sacro qualcosa 
di davvero importante. 
Se infondo alla grotta c'è un aspetto di noi che vuole emergere, dobbiamo affrontare la realtà che non si può essere e avere tutto. O per lo meno, non si può lasciare tutto com'è e allo stesso tempo cambiare. 
E' necessario rinunciare ad aspetti conosciuti.
Come in tutti i processi trasformativi chimici, qualcosa si perde e si distrugge, 
ma quello che si ottiene è una sintesi completamente nuova che contiene in sé 
anche ciò che è perduto.  

La soluzione non è sconfiggere il drago uccidendolo, 
bensì integrandolo nella propria vita in una visione più armonica e completa. 
Scoprendone i lati gioiosi e vitali.


Con quale drago vuoi fare amicizia da domani?



Che i prossimi mesi possano essere un periodo 
di meravigliosa trasformazione.

Buona settimana
virginia 

lunedì 7 novembre 2016

il coraggio di una vita autentica



Sarà perché sto leggendo il libro “Così è la vita” di Concita De Gregorio (che vi consiglio, perché parla in maniera lieve e poetica dell'argomento profondo e doloroso che è la morte) o forse perché non dimentico mai gli anni di lavoro nel reparto dei morenti quando mi trovo a fare i conti con tutte le altre sofferenze quotidiane dei viventi – non tralasciando mai di portare testimonianze di significato di ciò che ho appreso in quei giorni ospedalieri – o forse è solo per questo week end piovoso che mi porta a riflessioni sfumate di grigio, che mi trovo a scrivere oggi sul senso del vivere.

Spesso mi interrogo, se dietro all'apparente ricerca della soluzione di un problema o di un sintomo, in realtà la terapia non sia altro che un continuo tentativo di trovare un significato a quell'insieme di eventi, persone, vissuti e azioni che solo alla fine potremo chiamare la “nostra” unica e irripetibile vita.
Ritengo che l'obiettivo finale di qualsiasi terapia sia quello di riuscire a vivere più pienamente la propria identità, ovvero vivere riuscendo ad essere se stessi, senza lasciarsi bloccare o frenare da aspetti interiori boicottanti.
Vivere e non sopravvivere.

Se dovessi riassumere in tre frasi le parole che maggiormente ho ascoltato in quelle corsie ospedaliere di cui vi parlavo poco sopra, sarebbero:
  • Ho dedicato poco tempo a me e troppo agli altri, mettendo i miei bisogni sempre dopo i loro
  • Ho lavorato molto ma mi accorgo che ho perso tante altre cose importanti della vita
  • Non ho coltivato i miei rapporti come avrei desiderato: ci sono molte cose che non ho detto o non ho fatto, pensando di avere sempre tempo per farlo

Questi temi sono spesso oggetto di riflessione nella stanza di terapia, ma mai li ho trovati così importanti e urgenti come nel momento della malattia o della fine.
Quindi mi chiedo: perché dobbiamo necessariamente attendere il bilancio definitivo per rendersi conto che qualcosa sarebbe potuto essere altrimenti?
Non è possibile rendere oggi la nostra vita più piena e auto-realizzativa?
Per farlo è necessario operare delle scelte.
E quando dico questo alle persone che siedono davanti a me, mi ritrovo occhi perplessi e smarriti che mi fissano lasciando trapelare timori da cataclisma.
In realtà non mi riferisco a cambiamenti radicali o colpi di testa.

la vita vera è vissuta quando vengono fatte le piccole scelte. Ma è solo con i cambiamenti infinitesimali, quelli che nessun altro percepisce, che hai la speranza della trasformazione” (Lev Tolstoj)

Il cambiamento vero e duraturo è paziente e costante, è un processo, non un atto.
L'atto arriva solo quando tutto dentro è pronto per il grande passo, e in quel momento sarà così spontaneo e naturale che vi stupirà, perché quell'azione sarà il gesto della nuova persona che siete diventati, non quello disperato di chi eravate prima.
E se state facendo qualcosa di intimamente affine alla vostra anima, qualcosa che appaga profondamente i vostri desideri, anche il tempo sarà relativo.
L'importante è sentirsi vivi durante il viaggio, perché niente vada sprecato.

Non scegli come morire. O quando.
Puoi solo decidere come vivere. Ora.
(Joan Baez)

buona settimana
virginia