lunedì 28 ottobre 2013

Resistere al cambiamento


Evi qualche ora fa ha postato questa riflessione sulla pagina Facebook del Progetto Wonder Woman (se non lo conosci, clicca sul banner fb nella colonna qui a destra):

E di queste serate quale mi è piaciuta di più e quale di meno? E in quella che mi piaceva di meno cosa in specifico non mi è piaciuto? Quello che non mi è piaciuto ha a che fare con i meccanismi di difesa al mio cambiamento ? E se anche fosse stata " l'energia del gruppo", se siamo tutte collegate, cosa mi risuona in quell'energia?

L'ho vista come una buona occasione per scrivere qualcosa sulla paradossale tendenza a lasciare le cose così come sono, nonostante tutti gli sforzi e le manifestazioni di desiderio di cambiare.

A qualcuno sembrerà assurdo, ma la resistenza è un fenomeno pervasivo, è ciò che ci porta a mantenere lo status quo, anche se abbiamo voglia di trasformare ciò che percepiamo come catene, anche se ci vogliamo liberare di inutili pesi che portiamo da troppo tempo, e anche se con tutte noi stesse dichiariamo al mondo di voler cambiare.

Già Freud la definiva “il maggior ostacolo al lavoro terapeutico”, dato che si strutturava come vera e propria difesa dal cambiamento.

Perché? Cosa si cela dietro a questa insopprimibile tendenza?

Intanto vediamo come si manifesta.

Non solo in terapia ma nella nostra vita di tutti i giorni.

Negazione e opposizione. Ogni volta in cui vi trovate a opporvi con tutte voi stesse a una frase, un'affermazione o interpretazione di qualcuno su di un vostro atteggiamento o comportamento, ecco, lì dietro potrebbe celarsi una resistenza a vedere che anche quell'aspetto fa parte di voi.

Mancato ascolto. Quando all'improvviso vi ritrovate a pensare ad altro, oppure non vi ricordate ciò che una persona vi stava dicendo, soprattutto se si parlava di voi e di qualcosa che vi sta a cuore...

Perdita di interesse. Se avviene un mutamento di prospettiva, quando tutta l'attenzione che prima era verso una tematica, una persona, un'idea viene meno senza un motivo particolare, ma sentite che la vostra energia è sospinta altrove, può essere indizio di una resistenza in atto...

Reazioni emotive contro qualcosa o qualcuno. Inspiegabilmente vi trovate a provare una forte irritazione, oppure noia mortale, o ancora sentite l'inspiegabile impulso a fare qualcos'altro da ciò che state facendo... ma non riuscite a stabilire un motivo preciso che vi porta a comportarvi così. A volte questo modo di difendersi avviene sentendo la necessità di criticare un sentimento o comportamento altrui, quando ad esempio, un vissuto di un'amica ci porta ad allontanarla da noi, perché magari allontanando lei, allontaniamo anche il sentimento che rischia di risuonarci dentro...

Inoltre vi sono maniere ancora più subdole in cui le nostre difese inconsce filtrano furtive: magari attraverso sensi di colpa (“non posso affrontare questo problema, so che starebbe male e poi non me lo perdonerei”), ripetizione inconscia di copioni sempre uguali a se stessi (“sono consapevole che dovrei lasciar perdere ma è più forte di me, ci ricasco sempre...”) e infine con benefici secondari ottenuti dal perpetrarsi del problema (semplificando – che cosa ottenete dal permanere dello status quo? Qualcuno può avere l'attenzione, altre l'affetto e la cura, altre ancora il non sentire la solitudine ecc...) 
 
Ogni momento di consapevolezza porta una piccola o grande crisi di identità.

Lo scoprire di avere dentro di sé aspetti finora sconosciuti o per lo più rimossi (proprio perché alcune persone ci hanno ferite in altri tempi più remoti) porta a percepirsi di nuovo vulnerabili e fragili, verità dalla quale tutti cerchiamo di salvarci attraverso strategie che si stratificano in maniera originale negli anni della nostra vita.

Pur di non cadere di nuovo in quello stato di insicurezza siamo tentati di esacerbare quegli aspetti difensivi conosciuti, pur se disastrosi, perché il cambiamento ci fa più paura ancora.

In natura tutto è trasformazione ed evoluzione continua, mentre noi esseri umani ci arrocchiamo su convinzioni, atteggiamenti stereotipati e rigidità emotive.

Piuttosto che prendere in considerazione una via alternativa ci sediamo imbronciati dicendo che l'altro è un brutto cattivo che vuole ostacolarci.

Piuttosto che accogliere nuove parti che, oltre allo shock iniziale, possono portarci nuove forme di energia, preferiamo tenerci strette quelle prosciugate dal tempo, che ormai non hanno più risorse da offrirci.

Io non sono così.

Questo non mi appartiene.

È lui/lei quello sbagliato/a.

Non voglio pesantezza nella mia vita. Voglio solo stare bene.

Sono fatto/a così e non posso farci nulla...

potrei andare avanti all'infinito, ma è giusto per citare alcune frasi tipiche.
 
In realtà la stabilità è un'illusione.

Ma tutto ciò che è nuovo ci destabilizza e ci fa sentire incerti.

Allo stesso tempo ci costringe a lasciare emergere nuove forme di interazione con l'ambiente e con gli altri, che mai avremmo scoperto se tutto restasse sempre uguale a se stesso.

Se utilizziamo il nostro sguardo critico per conoscere meglio noi stessi, non sarà tempo speso invano, anche se abbiamo fatto una cosa che all'apparenza sembra non piacerci, o corrisponderci come vorremmo.

Non è detto che tutto ciò che conosciamo e che ci piace sia per sua natura buono e perenne.

Chiudo lasciandovi con una citazione per riflettere:

Gli uccelli nati in una gabbia, pensano che volare sia una malattia

(A. Jodorowsky)

Buona settimana

virginia

lunedì 21 ottobre 2013

La sindrome di Monna Lisa


 



Enigmatico sorriso che ci interroga da secoli.

Guardando l'opera non si può fare a meno di chiedersi quale emozione si celi dietro a quelle labbra appena schiuse, a quegli occhi che guardano altrove.

È una felicità inespressa o tristezza malcelata? È fuga in altri mondi o aggressività sotterranea?

Da uno studio del 1954, sembra che nella prima versione del dipinto (che si trova sotto l'originale), l'espressione del volto fosse stata cupa e malinconica, poi corretta successivamente.

Ute Ehrhardt nel suo famosissimo libro (“Le brave ragazze vanno in paradiso le cattive dappertutto”. (1996) Ed. Corbaccio: Milano) ci parla di questo sorriso come sottomesso, segnale identificativo di una temibile trappola in cui molte donne cadono, loro malgrado.

La mentalità di Monna Lisa, secondo lei si esprime in cinque modelli di rapporto, che le donne subiscono o determinano, ovvero:

  1. la comprensione – che avviene ogniqualvolta ci si sente in dovere di comprendere le difficoltà interiori di chi ci circonda, anche se si comporta male nei nostri confronti.
  2. la disponibilità – che si manifesta nel rendersi continuamente utili, affermando che lo si fa con piacere, o perché siamo fatte così... ma in realtà nasconde il desiderio inconscio di avere attenzione, dedizione e riconoscimento.
  3. il sacrificio – quando la vocazione a martirizzarsi per il bene altrui è più forte dell'autoconservazione
  4. la modestia – ovvero fare di necessità virtù quando si rinuncia alle proprie attitudini e aspettative, facendolo passare come un normale anteporre il benessere altrui al proprio.
  5. La compassione – esercita il suo potere quando si crede di poter essere l'unica a portare salvezza, ma allo stesso tempo non se ne è capaci perché ci si identifica con l'altro, deresponsabilizzandolo.

Come accorgersi se si è in trappola? Occorre fare attenzione se, nelle relazioni significative, si incorre ogni volta nella domanda “tu che cosa vuoi?” - chiedendolo direttamente o comunque tenendone conto prima di prendere una decisione – o addirittura se si tende ad anticipare i desideri dell'altro, ancor prima che li esprima (in entrambi i casi dimostrando di anteporre i suoi bisogni ai propri).

Diversi possono essere i motivi per cui questo modo di essere entra a far parte di un automatismo spesso inconsapevole: c'è chi vuole evitare il conflitto e chi vuole ricercare l'armonia a tutti i costi, chi è abituata da sempre a dover anteporre a sé le persone che ama , ad essere obbediente e non avere desideri.

In molti casi ciò che ha condotto al comportamento di oggi sono frasi condizionanti del passato di una bambina alla quale non era concesso essere sopra le righe.

Questo non sta bene... quello non puoi farlo … se gli altri lo facessero a te non piacerebbe... con questo atteggiamento non otterrai mai quello che vuoi... sembri una furia... ti rendi ridicola... guarda che figure mi fai fare... non sei una brava bambina...” e la peggiore: “se fai così non ti vorrà mai nessuno”.

Ecco che subdola nasce la convinzione limitante che fa cadere tutte le potenti energie, necessarie per portare avanti i propri bisogni. È così che l'impulso subisce una grave amputazione.

Dentro di noi può nascondersi la paura di non essere amate e riconosciute se solo osassimo manifestare la nostra opinione, far vedere che la pensiamo diversamente, col timore di essere considerate donne “cattive” o egoiste.

La “cattiva” è una subpersonalità che molte donne accompagnano come protagonista sul mio divano: la richiesta è di fare qualcosa per modificarla, per non farla più emergere con richieste assurde, chiedendomi di diventare in parte complice di chi ha già sentenziato che “così non va...”.

Io invece accolgo con gioia questa parte, lasciando perplesse la maggior parte delle persone che si rivolgono a me, identificate in quel momento con la “buona”, in attesa di essere lodata e riconosciuta dopo tanti sacrifici e azioni ineccepibili.

In quel momento forse leggono sul mio volto l'altra faccia di Monna Lisa, il suo sorriso beffardo che sembra dire: sei proprio sicura che tutta questa bontà sia sempre positiva? Chi lo ha detto?
 
Lascio anche voi con lo stesso interrogativo...
 
buona settimana
virginia

Scene dal film "Mona Lisa Smile" (2003) :

 
 
 
 
 

lunedì 14 ottobre 2013

Sul silenzio e la parola


 
Sarà che in questa settimana terrò ben due corsi sul rilassamento, così mi trovo a entrare in risonanza con l'argomento e i suoi presupposti.

Sarà che a volte sento la necessità fisica, impellente di assaporarlo con tutti i sensi, quando gli stimoli fuori sono invadenti.

Il silenzio è un isola felice. Almeno per me, in certi momenti.

Per molti è invece il vuoto, l'abbandono, la mancanza.

Per altri è l'imposizione, l'obbligo a tacere di fronte a chi è più forte di te e non permette repliche.

Per qualcuno può anche rappresentare una difesa, uno spazio privato dove trovare riparo.

Per un altro ancora è il modo alternativo per lottare.

Pensando a tutti coloro che narrano la loro storia a parole nella mia stanza, vado con la mente anche ai silenzi che hanno riempito lo spazio fra le pareti: silenzi densi oppure liquidi, silenzi duri come pietra e altri ricchi di commozione, silenzi falsi e altri più schiaccianti di mille parole...

silenzi pieni di respiri, silenzi in apnea, silenzi rotti dal pianto oppure come puntini sospesi, in cerca di risposte sfuggenti.

Proverò a tratteggiare parole sul silenzio, romanzando sulle storie di chi me lo ha raccontato:

Pensavo che tacere verità scomode potesse essere una forma silenziosa di rispetto dell'altro, poi ho scoperto che se avessi urlato a squarciagola avrei fatto meno male.

Credevo che chiudermi in un mutismo provocatorio avrebbe fatto accorrere gli altri, preoccupati perché non esprimevo il mio sentire. In realtà hanno sempre creduto che non avessi niente da dire, né tanto meno che riuscissi a percepire alcunché.


Quando gli chiedevo il perché di certi gesti, interpretavo i suoi silenzi come difficoltà a rivelarmi particolari che mi avrebbero permesso di comprendere, per perdonarlo ancora e ancora... Poi ho scoperto che non conosceva le risposte, non possedeva il dizionario emotivo per dare un senso al dolore, né il suo, né il mio.


I silenzi di mia figlia mi spaventavano. Frustrata non avevo appiglio che mi facesse da ponte fra me e lei... c'era un baratro e molte volte ho avuto la tentazione di caderci.
Le parole di mia mamma mi stordivano. Avevo bisogno di difendermi, costruire una trincea per ripararmi dalla sua ingombrante presenza nella mia vita.


Odio i silenzi. Entro in casa e accendo la tv, perché mi sembra di avere compagnia. In auto c'è la radio, al lavoro quel brusio di sottofondo mi culla. Non sopporto quando qualcuno mi guarda e non dice alcunché...


Amo quegli sguardi che dicono tutto. Adoro ritagliare spazi privati di riserbo e ovatta. Il silenzio nella mia casa dove creare un'oasi, un rifugio. Spegnere tutto e semplicemente stare.


Non ho mai potuto dire quello che volevo. Ho fatto del silenzio la mia virtù, non potendo fare delle grida il mio difetto. Oggi mi ritrovo a dover fare una logopedia delle emozioni: incapace di esprimere qualsiasi vissuto, per poter tornare a comunicare col mondo.


Quante sfaccettature ha il silenzio?

Spesso lo si vive solo in negativo, come l'assenza di suoni, parole, pensieri... mentre in realtà può nascondere immense ricchezze. Svelare aspetti di noi inaccessibili.

Viviamo in un mondo in cui ormai non esiste più nemmeno il silenzio della scrittura, dato che siamo continuamente interconnessi con il resto del mondo.

Entrare nel silenzio come dimensione, è un atto di volontà. Diventa una scelta. Sempre più ardua.

Perché entrare nel silenzio è fare un passo dentro se stessi, avere un'attenzione consapevole per quello che c'è dentro, invece che fuori.

Tutto quello che c'è. Ma soprattutto “come” c'è.

Non si può cercare il “vuoto” se prima non si è scandagliato e conosciuto il “pieno”.

Il silenzio interiore, chimera forse irraggiungibile, può avvicinarsi quando facciamo la pace con noi, accettando tutti i suoni che il nostro animo produce.


Fa' silenzio intorno a te, se vuoi udir cantare l'anima tua

A. Graf


buona settimana

virginia


Oceano di silenzio - F. Battiato 

lunedì 7 ottobre 2013

Partenze e addii


 
Non siamo mai pronti per la partenza di qualcuno che amiamo.

Lo osservavo in questi giorni in cui ho frequentato le stazioni ferroviarie.

Lì è tutto un brulicare di persone e storie, traiettorie intrecciate di destinazioni e valigie su ruote che sembrano cagnolini al guinzaglio di padroni frettolosi.

Osservare i modi in cui le persone interagiscono, mi rende più amica l'attesa.

Quando il treno arriva, chi aspetta è più disposto a sostare in cima alla banchina, col naso all'insù, come un antenna semovente, a destra e sinistra, nell'attesa di scovare gli occhi conosciuti per abbracciarli già da lontano con un sorriso, oppure slanciarsi in una corsa che finisce in un bacio.

Quando il treno parte invece si approfitta delle ultime briciole di tempo per cui la sosta è proprio a pochi passi, di fronte a quella porta rialzata che fra pochi minuti inghiottirà la persona che si è venuti ad accompagnare.

Non solo gli innamorati hanno questa abitudine.

A volte anche i genitori e i figli, le amiche, gli amici...
 
Una volta si riusciva ad affacciarsi ai finestrini per lanciare l'ultimo bacio volante... oggi sono bloccati, per cui  come tanti pesci si inviano frasi mute attraverso i vetri doppiati.   


Diverso è l'aereoporto.

Lì ci sono dei varchi, dei confini invalicabili, anche per l'amore.

Se non vai nella stessa direzione ti è proibito condividere il tempo dell'attesa.

Così all'arrivo tutti si ammassano dietro le porte scorrevoli che separano il tempo del viaggio da quello di chi attende. E poi il processo è lo stesso. Sorriso, abbraccio, baci.

Gli unici impassibili sono i portatori di cartello: Miss.... Mister..... Dottore.... Ingegnere.

Chissà se nella loro fantasia avevano immaginato un volto.

Alla partenza dei voli invece, occorre separarsi molto prima, tollerare che nonostante il tempo del viaggio non sia ancora arrivato, esiste un limbo di tempo sospeso, condiviso solo da chi se ne va.

Così, lungo il serpentone del controllo bagagli, si assiste al languore degli sguardi che si cercano fino all'ultima curva, prima che un poliziotto introduca uno ad uno attraverso la porta del limbo, che per la sicurezza deve suonare se rileva metalli indossati.

È una fortuna che non riesca a cogliere la pesantezza degli umori plumbei di chi è costretto a stare lontano... altrimenti chissà che confusione!

Una volta senza telefonini si rimaneva incapsulati nel non-tempo, con solo il filo dei pensieri rivolti all'altro. Oggi grazie alla tecnologia si può continuare a restare in relazione, trasferirsi affetto attraverso onde wireless.


Persa in queste riflessioni, ho pensato a quando qualcuno ci lascia.

Definitivamente.

No, non perché ha preferito esplorare il mondo.

Ma perché suo malgrado ha dovuto lasciarlo.

Sarebbe bello poter accompagnare chi amiamo fino all'ultimo gradino prima che salga per il suo ultimo viaggio.

Essere consapevoli che è arrivato il momento e riuscire a dire qualcosa che sia di conforto, per provare a dare un senso all'esperienza che nessuno è preparato a vivere.

Questo non è sempre possibile.

Non abbiamo sempre il tempo dei saluti, neppure se siamo a pochi passi dal varco.

Pensavo a quella donna a Grosseto alla quale un torrente in piena ha portato via il marito e il figlio, fino a pochi istanti prima lì con lei.

Pensavo ai parenti di coloro che la disperazione ha fatto salire su quel barcone naufragato a Lampedusa, partiti in cerca di una vita migliore.

La morte è il viaggio che nessuno di noi può programmare.

Si può però dare significato ai giorni che abbiamo a disposizione.

Non aspettare l'ultimo momento per dichiarare il nostro amore, per chiudere situazioni incompiute, per chiarire incomprensioni.

Sperando che chi se ne va, magari abbia un limbo dove sostare, per dedicarci ancora qualche messaggio d'amore, prima di volare verso la pace.
 
buona settimana
virginia