lunedì 7 ottobre 2013

Partenze e addii


 
Non siamo mai pronti per la partenza di qualcuno che amiamo.

Lo osservavo in questi giorni in cui ho frequentato le stazioni ferroviarie.

Lì è tutto un brulicare di persone e storie, traiettorie intrecciate di destinazioni e valigie su ruote che sembrano cagnolini al guinzaglio di padroni frettolosi.

Osservare i modi in cui le persone interagiscono, mi rende più amica l'attesa.

Quando il treno arriva, chi aspetta è più disposto a sostare in cima alla banchina, col naso all'insù, come un antenna semovente, a destra e sinistra, nell'attesa di scovare gli occhi conosciuti per abbracciarli già da lontano con un sorriso, oppure slanciarsi in una corsa che finisce in un bacio.

Quando il treno parte invece si approfitta delle ultime briciole di tempo per cui la sosta è proprio a pochi passi, di fronte a quella porta rialzata che fra pochi minuti inghiottirà la persona che si è venuti ad accompagnare.

Non solo gli innamorati hanno questa abitudine.

A volte anche i genitori e i figli, le amiche, gli amici...
 
Una volta si riusciva ad affacciarsi ai finestrini per lanciare l'ultimo bacio volante... oggi sono bloccati, per cui  come tanti pesci si inviano frasi mute attraverso i vetri doppiati.   


Diverso è l'aereoporto.

Lì ci sono dei varchi, dei confini invalicabili, anche per l'amore.

Se non vai nella stessa direzione ti è proibito condividere il tempo dell'attesa.

Così all'arrivo tutti si ammassano dietro le porte scorrevoli che separano il tempo del viaggio da quello di chi attende. E poi il processo è lo stesso. Sorriso, abbraccio, baci.

Gli unici impassibili sono i portatori di cartello: Miss.... Mister..... Dottore.... Ingegnere.

Chissà se nella loro fantasia avevano immaginato un volto.

Alla partenza dei voli invece, occorre separarsi molto prima, tollerare che nonostante il tempo del viaggio non sia ancora arrivato, esiste un limbo di tempo sospeso, condiviso solo da chi se ne va.

Così, lungo il serpentone del controllo bagagli, si assiste al languore degli sguardi che si cercano fino all'ultima curva, prima che un poliziotto introduca uno ad uno attraverso la porta del limbo, che per la sicurezza deve suonare se rileva metalli indossati.

È una fortuna che non riesca a cogliere la pesantezza degli umori plumbei di chi è costretto a stare lontano... altrimenti chissà che confusione!

Una volta senza telefonini si rimaneva incapsulati nel non-tempo, con solo il filo dei pensieri rivolti all'altro. Oggi grazie alla tecnologia si può continuare a restare in relazione, trasferirsi affetto attraverso onde wireless.


Persa in queste riflessioni, ho pensato a quando qualcuno ci lascia.

Definitivamente.

No, non perché ha preferito esplorare il mondo.

Ma perché suo malgrado ha dovuto lasciarlo.

Sarebbe bello poter accompagnare chi amiamo fino all'ultimo gradino prima che salga per il suo ultimo viaggio.

Essere consapevoli che è arrivato il momento e riuscire a dire qualcosa che sia di conforto, per provare a dare un senso all'esperienza che nessuno è preparato a vivere.

Questo non è sempre possibile.

Non abbiamo sempre il tempo dei saluti, neppure se siamo a pochi passi dal varco.

Pensavo a quella donna a Grosseto alla quale un torrente in piena ha portato via il marito e il figlio, fino a pochi istanti prima lì con lei.

Pensavo ai parenti di coloro che la disperazione ha fatto salire su quel barcone naufragato a Lampedusa, partiti in cerca di una vita migliore.

La morte è il viaggio che nessuno di noi può programmare.

Si può però dare significato ai giorni che abbiamo a disposizione.

Non aspettare l'ultimo momento per dichiarare il nostro amore, per chiudere situazioni incompiute, per chiarire incomprensioni.

Sperando che chi se ne va, magari abbia un limbo dove sostare, per dedicarci ancora qualche messaggio d'amore, prima di volare verso la pace.
 
buona settimana
virginia


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