Non
siamo mai pronti per la partenza di qualcuno che amiamo.
Lo
osservavo in questi giorni in cui ho frequentato le stazioni
ferroviarie.
Lì
è tutto un brulicare di persone e storie, traiettorie intrecciate
di destinazioni e valigie su ruote che sembrano cagnolini al
guinzaglio di padroni frettolosi.
Osservare
i modi in cui le persone interagiscono, mi rende più amica l'attesa.
Quando
il treno arriva, chi aspetta è più disposto a sostare in cima alla
banchina, col naso all'insù, come un antenna semovente, a destra e
sinistra, nell'attesa di scovare gli occhi conosciuti per
abbracciarli già da lontano con un sorriso, oppure slanciarsi in una
corsa che finisce in un bacio.
Quando
il treno parte invece si approfitta delle ultime briciole di tempo
per cui la sosta è proprio a pochi passi, di fronte a quella porta
rialzata che fra pochi minuti inghiottirà la persona che si è
venuti ad accompagnare.
Non
solo gli innamorati hanno questa abitudine.
A
volte anche i genitori e i figli, le amiche, gli amici...
Una volta si riusciva ad affacciarsi ai finestrini per lanciare l'ultimo bacio volante... oggi sono bloccati, per cui come tanti pesci si inviano frasi mute attraverso i vetri doppiati.
Diverso
è l'aereoporto.
Lì
ci sono dei varchi, dei confini invalicabili, anche per l'amore.
Se
non vai nella stessa direzione ti è proibito condividere il tempo
dell'attesa.
Così
all'arrivo tutti si ammassano dietro le porte scorrevoli che separano
il tempo del viaggio da quello di chi attende. E poi il processo è
lo stesso. Sorriso, abbraccio, baci.
Gli
unici impassibili sono i portatori di cartello: Miss.... Mister.....
Dottore.... Ingegnere.
Chissà
se nella loro fantasia avevano immaginato un volto.
Alla
partenza dei voli invece, occorre separarsi molto prima, tollerare che
nonostante il tempo del viaggio non sia ancora arrivato, esiste un
limbo di tempo sospeso, condiviso solo da chi se ne va.
Così,
lungo il serpentone del controllo bagagli, si assiste al languore
degli sguardi che si cercano fino all'ultima curva, prima che un
poliziotto introduca uno ad uno attraverso la porta del limbo, che
per la sicurezza deve suonare se rileva metalli indossati.
È
una fortuna che non riesca a cogliere la pesantezza degli umori
plumbei di chi è costretto a stare lontano... altrimenti chissà che
confusione!
Una
volta senza telefonini si rimaneva incapsulati nel non-tempo, con
solo il filo dei pensieri rivolti all'altro. Oggi grazie alla
tecnologia si può continuare a restare in relazione, trasferirsi
affetto attraverso onde wireless.
Persa
in queste riflessioni, ho pensato a quando qualcuno ci lascia.
Definitivamente.
No,
non perché ha preferito esplorare il mondo.
Ma
perché suo malgrado ha dovuto lasciarlo.
Sarebbe
bello poter accompagnare chi amiamo fino all'ultimo gradino prima che
salga per il suo ultimo viaggio.
Essere
consapevoli che è arrivato il momento e riuscire a dire qualcosa che
sia di conforto, per provare a dare un senso all'esperienza che
nessuno è preparato a vivere.
Questo
non è sempre possibile.
Non
abbiamo sempre il tempo dei saluti, neppure se siamo a pochi passi
dal varco.
Pensavo
a quella donna a Grosseto alla quale un torrente in piena ha portato
via il marito e il figlio, fino a pochi istanti prima lì con lei.
Pensavo
ai parenti di coloro che la disperazione ha fatto salire su quel
barcone naufragato a Lampedusa, partiti in cerca di una vita
migliore.
La
morte è il viaggio che nessuno di noi può programmare.
Si
può però dare significato ai giorni che abbiamo a disposizione.
Non
aspettare l'ultimo momento per dichiarare il nostro amore, per
chiudere situazioni incompiute, per chiarire incomprensioni.
Sperando
che chi se ne va, magari abbia un limbo dove sostare, per dedicarci
ancora qualche messaggio d'amore, prima di volare verso la pace.
buona settimana
virginia
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