lunedì 30 novembre 2015

Il desiderio al maschile e al femminile. E' possibile una sintesi?



Qualche tempo fa sono andata a visitare la mostra “Tamara de Lempicka” a Verona (la trovate qui fino al 31 gennaio 2016) e incantata di fronte alle sue opere mi è venuto in mente il titolo di un libro di Massimo Recalcati “Ritratti del desiderio” (2012).

Ma prima di parlare del libro, vi invito a leggere notizie biografiche di Tamara (qui) per comprendere la complessità della sua persona e della sua opera.
Tamara ha avuto una vita sicuramente “sopra le righe”, con una forte personalità che evinciamo fin dagli episodi che riguardano la sua infanzia e adolescenza.
Sposata giovanissima, ha avuto una figlia – Kizette – e poi molti amori con donne che hanno fatto parte della sua esistenza, posando anche come modelle per i suoi quadri.
È nella sezione della mostra chiamata “Visioni amorose” che troviamo tele splendide le quali testimoniano lo sguardo desiderante col quale Tamara si posava sui suoi amori, immortalandole.


Ritratto di madame Perrot (1922)


Ragazza in verde (1932)


Nudo con vele (1931)


La sottoveste rosa (1927)


Mi è venuto in mente il libro di Recalcati perché nel capitolo “il desiderio amoroso” inizia così:

Se dovessi immaginare un quadro, un ritratto plastico di questa figura del desiderio, immaginerei il ritratto di una donna.
(pag. 134)

Questa frase mi è balzata in mente proprio mentre osservavo “La bella Rafaela” (1927):



Recalcati a seguire fa una differenziazione importante sul desiderio sessuale maschile e quello femminile.

Per il desiderio sessuale dell'uomo, il corpo della donna si frammenta in tanti piccoli oggetti – oggetti (a) per Lacan: una ciocca di capelli, una gamba dondolante, il seno tra le braccia incrociate, l'indice della mano, il contorno delle labbra, il capolavoro del culo.
[…]
Se il desiderio maschile e il suo godimento sono governati da un fantasma feticistico, quello femminile, secondo la lezione di Lacan […] gravita attorno alla domanda d'amore. Al posto del "pezzo", al centro del discorso femminile, è la parola, la frase, la lettera d'amore.

(Recalcati, pag. 137-139)

Nello stile pittorico della Lempicka, ho colto questa narrazione unica della mancanza della persona amata, il riconoscimento di un desiderio amoroso che la porta a voler fissare sulla tela il sentimento e farne testimonianza e allo stesso tempo dono, in una via tutta femminile:

è dono del segno che l'Altro mi manca, che la sua esistenza sa scavare in me la mancanza.
[…]
Nel desiderio amoroso di una donna si manifesta la capacità, piena di grazia, di associare il nome al corpo, o se si preferisce, di fare del nome un corpo. Cosa vuol dire? […] La possibilità unica di unire il nome al corpo in modo indissolubile, di amare e di desiderare quel corpo come se fosse un nome, dunque come se fosse assolutamente insostituibile, fuori serie, e di desiderare quel nome, di sentire quel nome, di pronunciare quel nome con la stessa intensità, con la stessa forza pulsionale come se fosse un corpo...
(Recalcati, pag. 141-144)

Ecco perché la bella Rafaela mi ha fatto scaturire queste riflessioni.
Ai miei occhi ha rappresentato la sintesi – per Recalcati e Lacan difficile da realizzare – fra desiderio maschile e femminile.
Nel titolo del quadro c'è il nome, l'identità unica e irripetibile associata alla plasticità di un corpo nudo che sprigiona l'energia di Rafaela e la sua sola, non è il feticcio meramente maschile, è un corpo che emana peculiarità e parla parole di intimità e amore, narra la storia senza bisogno di dirla, racconta l'unione, la vicinanza, l'unicità.

Qualcuno potrebbe obiettare che c'è riuscita perché si tratta di una donna che ha amato un' altra donna...
La Lempicka in realtà, mostra il processo nel linguaggio artistico che le è proprio, dando parola alle immagini, ma oggi voglio darvi testimonianza di aver ascoltato nella stanza di terapia anche molti uomini che contrariamente alle previsioni lacaniane, sono riusciti, grazie all'integrazione della propria parte femminile, a trasmettere l'amore in modo completo alla compagna, apprezzandone sì alcuni tratti e frammenti ma anche entrando in relazione grazie al dialogo, all'ascolto e al rispetto della sua diversità come persona, prima ancora che come donna.

Anzi, se c'è una possibile definizione dell'amore sarebbe proprio quella di rendere l'Altro insostituibile, di amare nell'Altro non il simile ma l'insostituibile nella sua alterità.
                                                                                                                                 (pag. 144)

Auguro a ciascuna di trovare un uomo così.
Vi garantisco che esistono, io ho trovato il mio, adesso tocca a voi.

Buona settimana
virginia 

giovedì 26 novembre 2015

parole per l'anima #33


Sono sopravvissuta
perché il fuoco dentro di me 
ha bruciato più luminoso del fuoco intorno a me

Ieri ricorreva la giornata internazionale contro la violenza sulle donne (qui) e il post di oggi è dedicato a tutte coloro che temono di non farcela. 
Nella mia esperienza allo sportello antiviolenza - ma anche nel mio studio - ho potuto constatare che quando una donna sceglie di porre fine a una situazione dolorosa, spesso lascia emergere da sé delle risorse che nemmeno pensava di poter avere. 


Si tratta di porre in salvo e proteggere il nucleo di sé più prezioso e incontaminato. 


Fare perno su quello e ritrovare un equilibrio e una forza nonostante le difficoltà


Si sprigiona così un fuoco trasformativo degno della dea Kali, attiva e dirompente


Un fuoco da canalizzare verso nuovi obiettivi


Per ricominciare a guardare il proprio mondo da altre prospettive.


buon week end
virginia

(fonte immagini: Pinterest)

lunedì 23 novembre 2015

Quali e quante forme di violenza?



Il 25 novembre ricorre la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Come ogni anno mi trovo qui a scrivere parole di conoscenza su un fenomeno purtroppo in costante aumento, nonostante le campagne di sensibilizzazione, nonostante l'emancipazione femminile, nonostante la possibilità di fuggire via da chi perpetra abusi.
Come abbiamo condiviso qualche sera fa in una serata dedicata alle nostre volontarie dello Sportello Donna Nuova (trovi info qui o sulla pagina fb qui) il fenomeno della violenza è sotterraneo e subdolo, spesso di nasconde dietro a facciate di serenità, tra le righe di un “tutto bene, grazie”.
Ecco che se lo stato dei fatti è questo, occorre non smettere mai di fare informazione al riguardo, perché la realtà è che ancora troppe donne sono intrappolate in relazioni disfunzionali basate su un malinteso di fondo: il dimostrare amore “a modo suo” non è amore.
La violenza nasce, cresce e si mantiene in situazioni dove la relazione fra le due persone è basata non sull'amore bensì su una dinamica di potere, un rapporto sfalsato dove uno dei due viene considerato oggetto dell'altro, una proprietà da difendere.

E' violenza dunque, ogni abuso di potere e controllo che si manifesta attraverso il sopruso fisico, sessuale, psicologico ed economico. E’, in primo luogo, un crimine, la cui responsabilità ricade su chi esercita la violenza e non su chi da questa viene colpito.
Oggi ancora una volta voglio dedicare questo post alla spiegazione e diffusione delle diverse forme in cui la violenza prende forma, perché sempre più persone possano riconoscerne i segnali.

Che cos’è la violenza fisica?
Ogni forma di violenza contro il tuo corpo e le tue proprietà, quando ti spinge, ti strattona, ti colpisce, distrugge mobili, oggetti, documenti, cose per te particolarmente care.

Che cos’è la violenza psicologica?
Ogni mancanza di rispetto che colpisce la tua identità di persona, quando ti insulta, ti critica continuamente, ti umilia o ti ridicolizza, ti segue, ti controlla, ti impedisce di vedere parenti e amici, di coltivare i tuoi interessi, minaccia di fare del male ai tuoi figli e alla tua famiglia, quando minaccia di farsi del male o suicidarsi se tu lo lasci o non fai quello che vuole.
In questo anno di apertura del nostro sportello di informazione Donna Nuova, sono state moltissime le donne che hanno portato la loro storia di violenza psicologica, la più strisciante e difficile da individuare, perché le basi sono state messe fin dall'inizio della relazione, dove le prime avvisaglie davano origine ad affermazioni del tipo “ma lui è fatto così...”

Che cos’è la violenza economica:
Qualsiasi modalità di controllo sulla tua autonomia economica, quando ti impedisce di cercare o mantenere un lavoro, di mantenere un tuo conto in banca, non ti informa sulle entrate o le spese della famiglia, si appropria del tuo denaro o dei tuoi averi, lesina sul denaro da spendere in famiglia se tu non lavori, ti fa contrarre debiti o impegni economici senza consultarti.

Che cos’è la violenza sessuale:
Tutte le forme di coinvolgimento in attività sessuali senza il tuo consenso, sia all’interno che al di fuori della coppia. Nella coppia, quando il partner ti impone rapporti nonostante tu non ne abbia voglia, ti costringe a guardare o utilizzare materiale pornografico o ad avere rapporti con altre persone contro la tua volontà. Da parte di estranei, quando vieni costretta ad avere rapporti da una o più persone, quando un conoscente, un amico, un collega non accettano che tu dica loro di no.
L'abuso sessuale intra-familiare è invece quando un tuo familiare o amico ti costringe, o ti ha costretta in passato, a partecipare a rapporti sessuali o a guardare mentre loro ci si dedicavano, quando queste persone ti hanno coinvolto, magari attraverso il gioco, in attività sessuali.

Se ti senti vittima di una di queste situazioni, puoi rivolgerti al centro anti violenza più vicino a casa tua (qui trovi più info) oppure telefonare al numero 1522 – in ogni caso si tratta di ricevere informazioni in forma anonima, segreta ma accogliente, dove potrai essere indirizzata al meglio, in un primo momento rispetto a te stessa e alla situazione che stai attraversando, e – solo se lo vorrai – potrai essere accompagnata in un percorso di allontanamento dalla tua casa.

Se sei una donna che non subisce violenza, non dimenticarti di saper osservare, vedere, sensibilizzare al problema, perché solo insieme potremo fare la differenza.

Buona settimana
virginia 

giovedì 19 novembre 2015

parole per l'anima #32


E talvolta,
contro ogni probabilità,
contro ogni logica, 
noi speriamo ancora.

Ci sono momenti in cui tutto sembra buio e privo di senso. 
Come abbiamo visto lunedì (qui) possono essere episodi che ci riguardano in maniera personale oppure che colpiscono tutti senza eccezione, come dimostrano gli ultimi fatti di cronaca.
è proprio in questi periodi che occorre dare energia collettiva ad una volontà di bene che riesca a dissipare le tenebre. 
Sperare, sperare ancora nella parte migliore di ciascun essere umano. 









buon week end 
virginia 

(fonte immagini: Pinterest)

lunedì 16 novembre 2015

Quanti modi per affrontare il dolore?



È stato un fine settimana traumatico per le nostre vite.
Ciascuno è stato fortemente toccato nelle corde più profonde della sopravvivenza e del valore della vita.
Mai come in questi momenti l'oggetto computer è diventato il tramite per dimostrare al mondo la nostra presenza: ma qui non voglio demonizzare in senso assoluto il voler mettere una foto del profilo colorata di Francia, ci sono già troppe diatribe al riguardo.
Mi sono detta che forse, così come i buddisti si ritrovano a pregare per modificare l'energia dei luoghi delle stragi, la nostra occidentalizzata civiltà fa marce di consapevolezza, oppure ogni persona esprime attraverso un'immagine simbolica il cordoglio per chi non c'è più, come se fosse un modo per dirigere intenzionalità consapevoli di pace e di cambiamento.
Ogni trauma ci mette in contatto con la vulnerabilità e la finitezza umana.
È un gioco crudele del destino, essere nel posto sbagliato nel momento giusto.
Che ci piaccia o no nessuno di noi ha il controllo su quello che sarà.
E continuamente cerchiamo modi per non contattare questa verità: il postare compulsivo è uno di questi.
È un fare qualcosa per sentire meno l'angoscia per ciò che è accaduto.
C'è da chiedersi magari, come poterlo fare per usare strumenti potenti in modo costruttivo.
Slogan razzisti o debacle per decidere se aveva ragione Terzani o la Fallaci, accuse separatorie – noi i buoni e voi i cattivi – dove ci portano?
Sono ulteriori elementi di scissione, scariche impulsive che attenuano sul momento la frustrazione ma non hanno alcun effetto riparatore, né su ciò che è accaduto, né tanto meno su quello che sarà.
Credo fortemente nella potenzialità di ciascuno di poter cambiare qualcosa ma a partire dalla propria realtà, ponendosi quesiti e cercando risposte cariche di senso.

Negli ultimi tempi sto assistendo a un fenomeno sempre più diffuso: la gestione del lutto online.
La persona non ha nemmeno fatto in tempo ad esalare l'ultimo respiro che già si leggono commenti al riguardo, manifestazioni di disagio e messaggi di commemorazione.
E non sto parlando solo di Valeria Solesin.
Parlo degli amici, parenti, conoscenti che vivono il nostro quotidiano.
Rimango inizialmente turbata quando vedo il saccheggio di immagini che popolano le bacheche di facebook per ricordare una persona cara scomparsa.
Una volta il dolore era un fatto intimo e privato.
Adesso mi chiedo, a cosa serve questa condivisione compulsiva? E soprattutto, a chi serve?
Il mio lavoro mi ha abituata a non giudicare, bensì trovare significati in ogni nuovo modo che nella società viene creato per far fronte a situazioni antiche.
Quindi spesso accade questo: mille commenti e condivisioni e poi imbarazzo e silenzio il giorno del funerale.
Purtroppo siamo tutti pronti a mostrare al mondo attraverso i social la nostra indignazione, il nostro dolore e reticenti a raccontare le stesse cose guardandosi negli occhi quando succede nella porta accanto. Perché?
Perché il contatto diretto col dolore è lacerante e senza pietà.
Guardare negli occhi chi ha perso qualcuno ci fa sprofondare nella nostra paura di perdere chi ci sta vicino, ma allo stesso tempo ci fa sentire impotenti e senza strumenti: nonostante le migliori intenzioni non riusciremo a cacciare via la sofferenza, perché anche nell'era della tecnologia il dolore resta un processo lento e soggettivo, e ognuno deve farci i conti dentro se stesso.
Il paradosso moderno però sta proprio qui: nella dimostrazione – a volte ostentazione – di un dolore urlato al mondo via internet, che diventa paura di ferire qualcuno nell'incrociare lo sguardo di un altro essere umano per dire “anche io sto male, anche io sono arrabbiato, anche io mi sento rotto dentro” oppure “io in questo momento non ho alcuna soluzione per te” “ho paura di farti del male parlandone”.
Quindi è come se affidandolo all'etere per lo meno trovasse uno sfogo, milioni di occhi che leggono ma che non guardano, ma soprattutto non rispecchiano.
È questo che in realtà paventiamo di più.
Lo specchio dello sguardo di chi accoglie le parole, materializza il dolore che invece vogliamo allontanare il più possibile.
Ma è proprio nella condivisione profonda, anche delle emozioni più difficili da raccontare che può esserci l'incontro più vero.
È solo nell'incontro di sguardi che – forse – al di là delle ideologie e delle differenze, potremo riscoprirci tutti più umani.

Buona settimana
virginia 

giovedì 12 novembre 2015

parole per l'anima #31


Lei era inarrestabile.
non perché non aveva mai avuto fallimenti o dubbi.
ma perché continuava ad andare avanti malgrado quelli.

Oggi ho voluto riprendere il discorso da dove lo avevamo lasciato lunedi (qui), ovvero dal momento in cui si smette di illudersi e si guarda la realtà per quella che è. 






Quando si smette di aspettare un segnale che permetta di continuare ad avere fumo negli occhi. 
Quando non importa quali scuse vengano addotte per giustificare comportamenti inaccettabili. 
Basta.
Il velo è caduto.


Non servono più a niente gesti riparatori e vane promesse.



Ho sperato che mi portassi dei fiori.
Adesso li pianto da sola.



è quando il fallimento diventa un maestro di vita e le proprie paure e fragilità dei punti di forza


per guardare di nuovo avanti fiere della scelta fatta e di se stesse.


buon week end
virginia

(fonte immagini: Pinterest)

lunedì 9 novembre 2015

La trappola dell'illusione



Quando ho letto questa frase postata su instagram da un'amica non ho potuto fare a meno di pensare di usarla per il blog.
Mi ha subito fatto venire in mente la “nemica” più temibile con la quale devo fare i conti nella stanza di terapia, qualcosa che esiste e crea molti danni ma non fa riferimento a niente di reale: sto parlando dell'illusione.
In genere l'illusione viene usata come meccanismo di protezione dalla frustrazione.
Soprattutto nelle relazioni interpersonali, quando desideriamo ardentemente qualcuno che non ci ricambia o non ci corrisponde più come un tempo, continuiamo a raccontarci che magari ci sono motivi che giustificano quel comportamento, a volte esterni (è un brutto periodo... ha tanti problemi al lavoro o in famiglia...) altre volte interni alla relazione.
Questi ultimi possono assumere diverse forme, da quelle che sanciscono una crisi (c'è qualcosa nel rapporto che non va...) per finire in quelle che biasimano l'altro adducendo la responsabilità a se stessi (ho esagerato... sono io sbagliato/a... non gli ho dato abbastanza... dovevo fare qualcosa prima... ecc...).
Quando accade questo, la prima cosa da fare è cercare di ripercorrere gli eventi secondo un punto di vista obiettivo, perché l'oggettività è il primo antidoto all'illusione.
Tutte queste forme di giustificazioni hanno il solo scopo di mantenere l'altro immune dalla responsabilità, per lasciarlo tale e quale a come avevamo bisogno di immaginarlo.
Ed ecco l'aggancio con la frase della Merini.
Spesso il partner si mostra subito per quello che è: anche fra le righe di gesti, dialoghi e vissuti emotivi, emergono segnali che da qualche parte vi colpiscono e porterebbero all'accendersi di spie di allarme, che spesso decidete ostinatamente di ignorare.
A volte volete continuare a non vederle anche se sono ormai sirene di ambulanza e luci abbaglianti.
Nelle ricadute di relazioni tossiche basta che il partner – restando nella metafora – vi racconti che è stato solo un brutto scherzo di qualcuno che ha chiamato il 115, che l'importante è che ora lui/lei è qui con voi e non potrà succedere niente di brutto.
Ecco allora che il piromane all'improvviso si trasformerà nel vigile del fuoco dei vostri sogni!
Vedendo in lui/lei la creatura che più di ogni altra possiede le caratteristiche che voi amate e di cui avete assoluto bisogno, come poterne fare a meno?
L'illusione ha bisogno di alimentarsi, di energia continua che togliete a voi stessi per attribuirla all'altro. Man mano che il tempo passa diventa sempre più difficile sciogliere l'incantesimo. Sapete perché?
Perché la cosa più difficile da accettare è che vi siete ingannati da soli.
Che il partner ha ben aderito ai vostri bisogni ma che la dinamica è stata di entrambi.
Scoperto questo, non resta che decidere.
Restare e continuare all'infinito a disperdere energie vitali oppure andarsene e cominciare a reinvestire su voi stessi.

A volte è solo uscendo di scena che si può capire quale ruolo si è svolto”
(S.J.Lec) 


buona settimana
virginia

giovedì 5 novembre 2015

parole per l'anima #30


Il guaio è 
che si pensa 
di avere tempo



Se c'è una cosa che ho imparato negli anni in cui ho prestato servizio in ambito oncologico è il valore profondo e commovente della vita umana, che in ciascuno assume sfumature di senso ineguagliabili e meravigliose.
Di fronte a una sofferenza così grande, che mette a rischio la propria esistenza, le persone che ho accompagnato hanno affrontato con coraggio il percorso medico e allo stesso tempo dedicato spazio a rivedere episodi significativi della propria esperienza, cercando significati e spesso volendo modificare o portare a termine alcune cose lasciate per troppo tempo mai iniziate, sospese o interrotte. 
Le nostre paure ci condizionano ogni giorno, ognuno di noi ha delle piccole o grandi zone d'ombra che non vuole affrontare e che procrastina seguendo l'adagio "lo farò poi..." 



la paura non ferma la morte,
ferma la vita.

Perché non fare adesso qualcosa che desideriamo, che non ci siamo mai concessi o che finalmente può aiutarci ad essere pienamente noi stessi?




La vita o è un'audace avventura o niente.

In ciascuno il concetto di "avventura" virerà secondo una personale sfaccettatura, in base al vibrare delle corde dell'anima. 
Nella frase iniziale, il Buddha ci ricorda che è fondamentale vivere nel "qui e ora".
Ma che sia un salto nello spazio o l'osare un vezzo inaspettato, non è mai troppo tardi per vivere a pieno secondo la propria natura. 



Buon week end
virginia

(fonte immagini: Pinterest)

lunedì 2 novembre 2015

il valore della perdita




Oggi è il giorno della commemorazione dei defunti.
Nella stanza di terapia il tema del lutto è molto presente: a volte è proprio il motivo che porta le persone a varcare la mia soglia, altre volte diventa una tappa necessaria da rivedere insieme per riuscire a comprendere meglio la sofferenza e il disagio attuali, anche se la perdita è avvenuta molti anni indietro.
L'elaborazione della dipartita di una persona cara è un processo complesso e difficile, perché non si è mai pronti per il distacco definitivo, una parte di noi vorrebbe che la vita fosse eterna e che non ci fosse mai da assistere al dolore di chi amiamo.
Ogni esperienza di morte ci mette di fronte anche a mille dubbi sul significato della vita, ci fa toccare con mano la finitezza umana e – spesso all'improvviso – ci fa piombare coi piedi per terra rispetto all'illusione che saremo qui per sempre.
Per questi motivi non esiste un processo di elaborazione del lutto uguale a un altro.
Ogni persona ha tempi e modalità tutte sue, in base alla storia di vita e al sistema valoriale che la accompagna, però può essere utile conoscere le cinque fasi teorizzate da Elisabeth Kubler Ross nel 1970 – fasi che individuano tappe necessarie per l'evoluzione positiva di qualsiasi evento luttuoso, ma che non necessariamente avvengono secondo l'ordine con cui sono descritte, e che anzi, possono avvenire anche diverse volte in un arco di tempo variabile.
La Kubler Ross ha descritto queste fasi sostenendo persone cui veniva diagnosticata una malattia che avrebbe messo a repentaglio la sopravvivenza, ma poi con l'esperienza, si è potuto generalizzare il processo a ogni evento traumatico.

  1. La fase della negazione – è quella che segue lo shock di una diagnosi o la perdita vera e propria di una persona cara. La persona vive un momento di confusione, smarrimento e alterna momenti di incredulità ad altri di confronto con una realtà troppo difficile da affrontare. In questi momenti emergono frasi del tipo “non è possibile... non ci credo... è un brutto incubo...”
  2. La fase della rabbia – periodo caratterizzato da forti emozioni aggressive che possono rivolgersi contro le persone vicine, il personale medico, le divinità alle quali ci si era affidati e a volte anche contro se stessi. Il quesito che più di tutti ricorre è “perché proprio a me?” o “perché sei andato/a via e mi hai lasciato/a da solo/a?”
  3. La fase del patteggiamento – giunge quando si comincia a reinvestire su aspetti costruttivi e si accendono elementi di speranza sul da farsi, per poter andare avanti.
  4. La fase della depressione – è il momento di maggiore consapevolezza e di contatto profondo col dolore. È un passaggio necessario da attraversare per riuscire a comprendere con tutti noi stessi il senso di ciò che è accaduto, per donare significato alla nostra e all'altrui esistenza.
  5. La fase dell'accettazione – può trattarsi di una fase intermedia che apre a ulteriori tappe in un ciclo che porti lentamente alla rinascita oppure la parte finale di un processo attraversato con coraggio e umiltà, dove ciò che resta della persona perduta mette radici dentro di noi e ci accompagna nella nostra vita futura.

Uscendo dalle teorie che possono risultare sterili, come altre volte affiderò il compito di trasportarvi nelle profondità dell'animo umano ad un racconto che ho scritto partendo da questa foto.



Questa mattina ho fatto il bucato.
Non ho seguito alla lettera le regole implicite che negli anni mi hai insegnato, quando osservavo i nostri panni stesi, perché c'erano faccende solo tue – a ognuno i suoi compiti, dicevi – ma io l'ho sempre saputo che infondo temevi risultati imprevedibili qualora mi fossi impegnato.
E forse avevi ragione.
Non so perché l'ho fatto.
Sentivo la tua voce “a ognuno i suoi compiti”, ma adesso era suono sbiadito nella mia mente, un'allucinazione del mio desiderio.
Le mie mani non si muovevano calme ed esperte come le tue, quando con amore adagiavi ogni capo nella culla della lavatrice; in preda a un raptus fulmineo di rabbia e furore ho gettato alla rinfusa quei panni sgualciti dalle ultime notti, per non tenerli fra le dita, quasi mi contaminassero.
90° incurante delle conseguenze. Non volevo essere delicato.
Volevo lavar via la morte da te. Separare il dolore da noi, centrifugando i gironi infernali che mi avviluppano.
Sterilizzare tardivamente ogni germe di sofferenza – come se la tua malattia potesse essere estirpata col calore, dopo tutto quel veleno iniettato.
O forse era un modo per non sentire io quel gelo polare che mi abita da quando non sei più qui con me.
Il risultato è tetraggine e grigiore assoluti, in tinta coi giorni di solitudine che mi attendono.
Solo il tuo pigiama ha mantenuto un colore dignitoso e ho pensato che ti somiglia, discreta e garbata fino alla fine.
Nonostante il dolore.
Nonostante la paura.
Nonostante me, che incredulo assistevo alla tua fine senza poter far niente per salvarti.
Ho steso tutto al filo sospeso sul cielo, quello più alto: lo vedi anche tu?
Ammetto così le mie colpe, avevi ragione, non sarei stato un buon casalingo.
Spero solo di essere stato un degno compagno nella tua vita troppo breve.

Buona settimana
virginia