lunedì 27 maggio 2013

Cosa vogliono le donne?



 
 
Se lo chiedeva già il maestro Freud, che ha posto in essere il suo sistematico metodo di esplorazione dell'inconscio a partire proprio dalle storie e bisogni delle sue pazienti, finendo per ammettere che La grande domanda che non ha mai ricevuto risposta e a cui, nonostante i miei trent’anni di ricerca nell’animo femminile, non sono stato in grado di rispondere è ‘Cosa vogliono le donne?”.

Per lui dunque la femminilità rappresentava un enigma, fondato però su un elemento di realtà che a suo parere dava il via alla complessità, ovvero la mancanza anatomica del pene, origine dell'invidia e di tutto ciò che ne deriva. 
 
Ieri sera Massimo Gramellini a “Che tempo che fa” ha suggerito di leggere le notizie da altri punti di vista, provando a dare titoli diversi agli articoli di giornale, per provare a uscire dal circolo vizioso dell'atteggiamento che vede solo il problema (o la crisi)
 

Qualche giorno prima, Aldo Cazzullo, nella sua rubrica “Quello che gli uomini non dicono” rifletteva sulla difficoltà che possono trovare gli uomini a fare un complimento spassionato e spontaneo a una donna (lo trovi qui).
Oggi sono voluta partire dalle riflessioni di questi uomini intelligenti e sensibili, che si interrogano e dai loro scritti fanno trasparire, in modalità diverse ma importanti, un'attenzione allo studio dei fenomeni dell'animo umano, per provare a rilevare alcuni atteggiamenti nella relazione fra maschile e femminile, che come al solito rischiano di allontanare piuttosto che avvicinare.

Partiamo da un video, della stessa campagna di cui vi ho parlato la scorsa settimana.
 
 

Vi vediamo donne di tutte le età, commosse e intenerite da un bambino di 10 anni, che si avvicina e dice loro quanto sono belle.

Volti stupiti e sorpresi che si sciolgono in sorrisi e si lasciano andare al benessere di godersi una carezza interiore.

Ma se a dire quelle stesse parole, in quello stesso modo, semplice e diretto, fosse stato un uomo?

Immagino che molte, visto tutto quello che succede in giro, col fantasma del femminicidio che aleggia sulle nostre teste, perlomeno l'avrebbero osservato guardinghe, si sarebbero chieste che tipo di preludio potesse essere quello, (mi prende in giro, mi vuole raggirare o mi vuole fare del male?) se proprio non avessero risposto col dito medio, come da citazione di Cazzullo.

È difficile discernere in maniera obiettiva quando siamo bombardati da notizie dello stesso tipo che sottendono un messaggio subliminale: attente, gli uomini sono pericolosi.

È facile generalizzare.

Mi preme ricordare, giusto per onore di cronaca, che tutti questi episodi che i giornali ci sbattono violentemente in prima pagina, trovano origine all'interno di rapporti di coppia, dentro le famiglie, i matrimoni... luoghi che dovrebbero rappresentare la “protezione” per antonomasia.

Ecco da dove nasce lo iato interiore.

Se non ci si può fidare nemmeno a casa propria, come si può guardare al mondo con sguardo aperto e speranzoso?

Ma la chiusura non è una soluzione. Non lo è neppure fare di tutti gli uomini dei potenziali carnefici.

Le donne vogliono da una parte essere riconosciute e amate, sentirsi dire “come sei bella!” ma come un uomo lo fa, scattano sulla difensiva e si interrogano sui doppi fini...
In parallelo, sempre di più si discute sulla mercificazione della bellezza, sull'uso improprio del corpo, per cui anche le donne che si sentono belle, si sentono sempre “in difetto”, percependo di doversi in qualche modo giustificare, dover dimostrare che oltre a quell'aspetto esteriore c'è di più, che la cura del proprio aspetto non nasconde una leggerezza di intenti, che sono anche intelligenti, impegnate, “serie”.

Ed ecco un'ulteriore scissione.

Chi mi segue da un po' sa che promuovo la necessità dell'integrazione, del far la pace con le divisioni e opposizioni interiori.

Per cui, ritengo che occorra arrivare a una sintesi produttiva e creativa di entrambi i poli. La divisione fra bella e intelligente è frutto del peggior maschilismo, che ha voluto screditare un femminile nei confronti del quale si sentiva inferiore.

Seguendo l'ipotesi di Gramellini e vedendo le cosa dal punto di vista opposto mi viene da chiedermi se nei secoli, la famosa invidia del pene non si sia ribaltata e vi sia invece una paura del potere del femminile che ha portato alle posizioni di maschilismo più estremo e svilente.

E quando parlo di maschilismo non mi riferisco solo ai “maschi”.

Ma anche a tutte quelle “femmine” che interpretano il mondo secondo canoni scissi: sia che giudichino dall'alto della loro posizione di intellettuali le altre povere sciocche, sia che ritengano che nella vita la bellezza è tutto e ti faccia arrivare dove vuoi (tanto per citare una delle molte polarità).

Entrambe queste modalità di vivere il femminile rischiano di allontanare gli uomini, perché ritengono che colui che fa loro un complimento sia un maniaco, un pirla o un poverino, e quindi da cacciare, usare o mortificare.

Ovviamente do per scontato che il complimento sia fatto in maniera educata, semplice, come tangibile espressione di un'interesse, (anche un po' maldestra, se volete, perché questi poveri uomini, non sanno più che pesci prendere...) ed escludo i commenti scurrili ad alta voce che servono solo a denigrare.

In ogni caso, se interpretiamo il rapporto con gli uomini come una lotta di potere, non andiamo da nessuna parte, continuiamo a perpetrare ad aeternum la separazione, l'impossibilità di incontro.

Il problema maggiore delle donne è l'autostima. I video che ho pubblicato la scorsa settimana ne sono una testimonianza fra tante.

Quando siamo in sintonia con noi stesse, stiamo bene nella nostra pelle, in quello che facciamo, che siamo ed esprimiamo, non c'è bisogno di scattare sull'attenti. Siamo la nostra testa tanto quanto le nostre gambe, perché dover scegliere? Perché doversela prendere se ci viene detto che siamo delle donne avvenenti e dobbiamo invece andar fiere se ci dicono che abbiamo un cervello eccezionale?

È così difficile accettare un complimento, dire semplicemente grazie e poi continuare con nonchalance a fare ciò che si stava facendo? Perché tutto deve diventare un affare di stato?
Riflettendo a voce alta mi piacerebbe che fossimo caute ma non prevenute.

Che riuscissimo a osservare, comprendere e separare il bene dal male. Il buono dal cattivo. La spontaneità dalla menzogna. Ma allo stesso tempo includessimo la possibilità che chi si trova di fronte sia spiazzato e impaurito quanto noi, aggredito e non aggressore.

Mi piacerebbe che imparassimo a fare attenzione, ma non perdessimo la bellezza di un sorriso lusingato.

Forse aveva ragione Freud. Siamo un enigma.

Ma anche per noi gli uomini lo sono a volte.

Non ci resta che parlarci, domandare e ascoltarci.

Per lo meno proviamoci.



Buona settimana

virginia

mercoledì 22 maggio 2013

Matrimonio e sesso non consumato


 

La famiglia italiana sta attraversando un momento di crisi non soltanto per colpa delle suocere o delle infedeltà, quanto per una crescente abulia sessuale.

Lo dichiara l’Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani, secondo cui l’assenza di rapporti sessuali è all’origine del 20% delle separazioni nel nostro paese. Le cause possono essere organiche e/o psicologiche, di certo generate da complessi meccanismi. Spesso all’origine di un matrimonio non consumato c’è l’incontro di un uomo con disfunzione erettile con una donna con altri problemi (che contrae involontariamente i muscoli delle pareti vaginali) oppure di un lui con problemi di eiaculazione precoce, con una lei affetta da dispareunia (con dolori associati ai rapporti sessuali, anche di natura organica).

Nella maggior parte dei casi, spiegano i sessuologi, dietro l’assenza di rapporti c’è un consenso anche se inconscio dei coniugi, che si trovano tra molti e si scelgono per continuare ad evitare di confrontarsi con la sessualità. In caso di mancanza di desiderio da entrambe le parti, la coppia gode di una sorta di soddisfazione solo apparente, vista la necessità profonda di vivere la sessualità per corpo e psiche. Se solo uno dei partner rifiuta i rapporti, per l’altro inizia un periodo di frustrazione, incomprensione, dispetti e ripicche. 

Ed in diritto cosa accade?

E’ possibile ottenere direttamente il divorzio senza passare per il processo di separazione dei coniugi “allorché il matrimonio non sia stato consumato”. Tuttavia non è mai ammessa la semplice dichiarazione congiunta dei coniugi, ma si richiedono prove specifiche, le quali, salvo casi particolari di difetti fisici o di illibatezza della donna, sono di ben difficile effettuazione. Tuttavia alcune sentenze stanno, da qualche anno, mostrando una maggiore disponibilità dei Tribunali.

Il punto f) dell’art.3 della legge divorzile n.898/70 (singolarmente, a causa forse delle polemiche sorte al momento della promulgazione della legge, il Parlamento non ha mai inserito la normativa relativa all’interno del codice civile nella parte dedicata al matrimonio all’annullamento ed alla separazione), ammette che il Tribunale possa pronunciare il divorzio, allorché il matrimonio non sia stato consumato, senza la preventiva pronuncia della separazione.
D’altra parte tutte le decisioni emanate fino al 2004-2005 respingevano sempre le domande, anche se presentate congiuntamente, non ammettendo semplicemente i mezzi istruttori richiesti, ritenendo inammissibili delle prove da espletarsi con soggetti che riferiscono per relato (cioè riportando le dichiarazioni dei coniugi), ma che nulla possono riferire per aver constatato personalmente.
Poiché in genere i testimoni non frequentano i talami coniugali, la norma diveniva di fatto inutilizzabile.


Alcuni Tribunali italiani tuttavia in determinate situazioni, cominciarono a rivedere le proprie posizioni.
In alcune fattispecie infatti, pur in assenza di prove dirette, sussistevano indizi univoci e concordanti tali da far ipotizzare la fondatezza delle deduzioni del o dei ricorrenti.
Ciò avveniva per esempio, allorché i coniugi, entrati in contrasto subito dopo il matrimonio, non erano andati a convivere sotto lo stesso tetto.
Questo stato di fatto, pur non essendo decisivo (i rapporti sessuali possono intrattenersi dovunque), tuttavia costituiva una circostanza tale da legittimare anche l’ammissione di prove testimoniali de relato le quali, se confermavano i fatti dedotti, convincevano.


Anche la Corte Suprema rimetteva mano alla questione con la sentenza n.2815 dell’8.2.2006 in una fattispecie piuttosto singolare.
La questione riguardava una coppia nella quale la donna era al terzo matrimonio.
Il marito si rivolgeva al Tribunale sostenendo che lo stesso giorno della cerimonia nuziale, egli si era recato in viaggio di nozze in Costa Azzurra con la moglie, ma questa, la sera, nella camera dell’hotel, si era rifiutata di intrattenere rapporti fisici, sostenendo che lo considerava soltanto come un padre e di non sentirsi pronta ad un rapporto sessuale.
La stessa sera il marito aveva comunicato la situazione e tutto il suo disappunto telefonando in Italia a due conoscenti, delle quali una era un avvocato.
Trasferitisi i coniugi in altro hotel, prendevano due camere separate.
Il giorno successivo interrompevano il viaggio ed il rapporto. Il marito si recava per lavoro in Lussemburgo ed al ritorno in Italia presentava il ricorso divorzile.
In tale processo, sussistendo prove documentali degli eventi (la locazione di due camere separate, la mancata convivenza), venivano ammesse le prove, pur se non relative a circostanze verificate direttamente. Sentite le due donne che avevano ricevuto le confidenze a caldo dal marito deluso, confermavano i fatti ed addirittura uno dei precedenti mariti della donna, citato singolarmente dalla stessa, narrava al Tribunale che analoga situazione si era verificata durante il suo matrimonio.
Sia il Tribunale che la Corte di appello pronunciavano il divorzio.
La Cassazione a cui si era rivolta la moglie, lamentando l’inammissibilità di prove con testi che riferivano fatti de relato, confermava le sentenze, precisando che, allorché non sia possibile effettuare accertamenti medico legali sullo stato di verginità della donna o di difetti fisici dei coniugi, e sempre che vi siano rilevanti indizi, come quelli relativi alla mancata convivenza comune, divengono ammissibili e rilevanti anche le testimonianze de relato, o semplici elementi indiziari, come la tempestiva lettera dell’avvocato del marito che contestava gli eventi, non riscontrata, o la condotta processuale delle parti.

Per completare l’argomento, va detto che lo stesso principio alcuni Tribunali lo hanno ritenuto valido per i matrimoni cosiddetti di comodo, allorché l’unione sia solo finalizzata a far ottenere la cittadinanza ad una donna.

In tal senso il Tribunale di Salerno con sent. n. 1909 del 2007 ha statuito che, nell'ipotesi in cui la mancata consumazione del matrimonio civile sia stata dai nubendi preordinata - come avviene qualora il matrimonio sia simulato - per sciogliere il vincolo la legge accorda due distinti rimedi.
Il primo consiste nel dedurre l'invalidità del matrimonio nel termine di decadenza di cui all'art. 123 c.c..
Il secondo nel proporre domanda di divorzio per inconsumazione ex art. 3, n. 2, lett. f), della legge n. 898/1970, rimedio che ben può essere fatto valere anche quando sia già maturato il termine di decadenza previsto per l'azione di simulazione e tra i coniugi non si sia mai instaurata una comunione spirituale e materiale.
Con Amore
Evi

lunedì 20 maggio 2013

Senza troppe parole...

 
 
 
 
Complice una giornata con poco tempo per scrivere, approfitto per pubblicare alcuni video che ritengo meritevoli di qualche minuto di attenzione consapevole.
 
Ti ricordano la tua bellezza autentica, una volta che ti sei liberata dei fronzoli delle aspettative irrealistiche e irrealizzabili, delle parole incrostate nella memoria di chi non ti ha mai vista per quello che eri e ti voleva diversa, una volta che le distorsioni dei tuoi occhi impietosi hanno lasciato spazio al riuscire a vedere davvero, oltre lo specchio, con gli occhi profondi che vedono la persona straordinaria che sei.  
 
E ti ricordano l'importanza di condividere tutto questo anche con le altre donne, grandi e piccine. 
 
 
 
 
 
 
Buona settimana
virginia

lunedì 13 maggio 2013

Elisir di giovinezza


 
 
Immaginate un vasetto che abbia come contenuto un condensato cosmetico per rimediare a un'interiorità invecchiata e affaticata, messa alla prova dai segni del tempo emotivo, scenario di eventi altalenanti e passaggi repentini da lacrime a sorrisi.

Un siero rigenerante per i pensieri stropicciati, martellati, costellati di immagini piene di tossine della vita.
Forse pensate che un tale elisir non esista.

Invece c'è chi dice che è proprio dentro di noi.

Voi possedete dentro di voi un'eterna fontana di giovinezza, a cui potete attingere in qualsiasi momento, per sempre, semplicemente permettendo a voi stessi di ridiventare bambini.

[ W.W. Dyer – Te stesso al cento per cento. (1981)]

Gli ingredienti fondamentali di questo elisir sono sette:
  • Ridere. Perché tutti per natura cerchiamo l'umorismo e le risate, per cui, è fondamentale provare a vivere e vedere le cose da altri punti di vista, (di fronte a cose che catturano i nostri pensieri, possiamo chiederci “è una cosa di cui un giorno potrò ridere?” perché non farlo adesso...), circondarsi di persone che hanno un effetto benefico sulla nostra vita.
  • Ripristinare la fantasia nella propria vita. La capacità di fantasticare è propria dell'infanzia, mentre da adulti si tende sempre a far finta di... per il bambino tutto è possibile, si crea il suo mondo e si comporta di conseguenza. Possiamo decidere dunque di concedersi questo lusso, ricordando che qualsiasi azione necessita di essere prima pensata e creata altrove, prima di essere eseguita nella realtà. Occorre fare molta attenzione, però: si può godere di una fantasia senza trasformarla in un atteggiamento distruttivo, dove l'immaginazione diventi una sterile programmazione che porta al senso di inadeguatezza o rimuginazioni fini a se stesse. Si può stilare un elenco di cose che desiderate fare da tanto tempo e poi definire quelle realizzabili da quelle non realizzabili, almeno immediatamente. Fra le prime, perché non cominciare a concedersele, da adesso?
  • Essere un po' pazzi. Non si tratta di perdere il controllo di sé e lasciarsi andare a comportamenti nocivi per gli altri. La sana follia, comporta di abbandonare atteggiamenti rigidi, schemi di comportamento che intristiscono, osando essere “sopra le righe” in certi contesti, senza perdere di vista il senso di responsabilità al lavoro, l'essere maturi nelle scelte o seri quando occorre. Si può essere liberi dentro senza perdere di vista la presenza in ciò che si fa e nel modo in cui si fa.
  • Essere spontanei. Può apparire una contraddizione: ogni volta che si dice a qualcuno di essere spontaneo, si perde l'immediatezza dell'esperienza. Qui però si fa riferimento a un atteggiamento interiore che non ponga veti rispetto all'interesse verso il mondo e le cose che ci accadono. A volte capita che ci fermiamo catturati da qualcosa, recuperiamo meraviglia per gli eventi della natura o ci appassioniamo nel dialogo con qualcuno tanto da perdere la cognizione del tempo. Si tratta di sfuggire alla pianificazione a tutti i costi, dai sentieri stabiliti, le regole tracciate... permettersi di perdersi e ammirare quello che capita. Almeno qualche volta.
  • Non aver paura di sbagliare. Da bambini siamo sperimentatori per natura, poi, con l'esperienza e le interazioni sociali, spesso si entra nel sentiero nevrotico del senso di inferiorità, che appare al momento in cui ci si confronta con chi ne sa di più, con chi riesce meglio, ecc... questo porta necessariamente a evitare di fare le cose, farle di nascosto o addirittura a non farle più. Dyer a questo proposito dà delle indicazioni importanti:
    - fare una lista di attività sempre evitate per paura di apparire goffi e provare di nuovo adesso.
    - ricordare che nella vita si può fallire in qualcosa, ma questo non significa essere un fallimento come persona
    - non aver paura di ammettere i propri errori
    - smettere di attribuire un valore altissimo a tutto ciò che facciamo (o che fanno i nostri partner, i figli...)
  • Prendere il mondo per quello che è. I nostri tentativi di voler controllare tutto ciò che accade, soprattutto fuori di noi, non comporteranno alcun cambiamento in ciò che sta accadendo. Certamente si può fare del nostro meglio per modificare ciò che può essere cambiato, ma riguardo al resto, lo si può solo accettare, evitando di entrare nel circolo vizioso del rancore, della recriminazione o sofferenza.
  • Essere fiduciosi. Il nostro atteggiamento nei confronti degli altri fa la differenza nel tipo di rapporti che quotidianamente andiamo ad instaurare. Questo non vuol essere un invito a mettere da parte la prudenza e aprirsi a chiunque capiti sulla nostra strada, ma spesso, lasciando emergere la nostra parte bambina, potremo accedere a un'intuizione migliore di tante strategie da Sherlock Holmes.

Ad alcuni di voi questo elenco potrà sembrare semplicistico. Ad altri utopico.

Io credo che permettersi l'idea di uno spazio di autenticità come possibile, sia il primo passo verso lo scioglimento di nodi che limitano il nostro raggio d'azione, imprigionandoci in catene di atteggiamenti sempre uguali a se stessi.

Saremo sempre giovani finché avremo voglia di imparare cose nuove e trasformarci.


Buona settimana

virginia

venerdì 10 maggio 2013

I nostri pompieri interiori e la loro rilevanza




Care amiche,
Shaurtz, un autore tedesco, ha così sintetizzato cosa si trova nell 'universo della nostra anima.
Egli ha individuato tre grandi macro aree:
- le parti manager sono quelle ci permettono di andare al lavoro, prendere decisioni riguardo la vita di tutti i giorni,organizzarci ect...
- le parti esiliate ossia traumatizzate, quelle che per il troppo dolore o la troppa rabbia abbiamo sommerso e a volte riemergono (ad esempio all' età di otto anni sono stata abusata o sono stata ricoverata in Ospedale e non c'era nessuno vicino a me o assistevo impotente ad episodi violenti ect). Quella rabbia, quel dolore acuto o quella tristezza , quella voglia di piangere che ci sale a volte di fronte magari anche fatti banali (un pettegolezzo di un' amica, un rimprovero di un capo) è frutto dell'energia di quelle parti che sono state esiliate allora.
- le parti pompieri, ossia quelle strategie che col tempo abbiamo imparato ad adottare quando ciò che sale è troppo e quindi ci proteggiamo.
Quali sono i nostri pompieri?
Dormire, leggere, lavorare a maglia, dipingere, guardare la tv, fare shopping,ascoltare musica, fare sesso, mangiare, viaggiare, litigare con la vicina, fare sport, collegarsi ad internet, attaccarsi al pc...
Ognuna di noi ha le sue strategie di sopravvivenza
Imparare a conoscere ed ad apprezzare di più le parti pompieri, quelle parti che si prendono cura di dolori che sappiamo e che proteggono da qualcosa di più grave
Ora vi propongo un esercizio:
Fate un elenco dei vostri pompieri e dite loro "Voi siete le parti che mi proteggono. Vi vedo, vi rispetto, vi ringrazio".
Un abbraccio
Con amore
Evi
...e w i pompieri interiori !

lunedì 6 maggio 2013

Liberarsi dai pensieri nocivi




E' come se avessi un disco rotto che si è incantato su una strofa e continua ininterrottamente a ripeterla... vorrei liberarmene ma è impossibile da rimuovere.”


Rimugino sempre, su tutto ciò che accade: sento la necessità di ripensarci per poterlo elaborare, per trovare soluzioni...”


Quando ho un problema, assorbe tutto il mio tempo e le mie energie, non riesco a dormire la notte, mi assento quando sono con gli altri, rivedo immagini, ripercorro con la mente passaggi che mi aiutino a capire, ma senza in realtà cercare di superare le cose... è come se in qualche modo godessi del semplice ripetere ossessivamente gli stessi pensieri.”


è una tortura. Mi sento imprigionata negli stessi schemi mentali e non riesco a venirne fuori. Più ci penso per mettere ordine e più la mia mente è nel caos assoluto. Mi sento presa in un circolo vizioso. Sono esausta.”


Sono giorni che non posso fare a meno di pensare continuamente a quello che è successo. La mia vita ormai ruota attorno al pensiero di lui/lei, riesco a liberarmene mentre lavoro, ma solo se parlo con qualcuno, mentre se sono in silenzio davanti al computer non posso evitare che la mia mente vada continuamente su quello che mi ha detto, che mi ha fatto...perché è successo? Non so darmi una spiegazione e non me ne farò una ragione finché non lo saprò.”
 

Chi non ha mai provato uno di questi stati d'animo?

Credo che ormai, l'uso spasmodico della funzione “pensiero”, sia uno dei “mali” dei nostri tempi.

Abbiamo imparato a riflettere su tutto – che, se di per sé può essere una cosa costruttiva – in alcune occasioni si rivela un meccanismo perverso per continuare a restare fissati su qualcosa che si fa fatica ad elaborare, impedendosi di guardare con fiducia verso un possibile cambiamento.

Tutto avviene a causa di alcuni fraintendimenti.

In primo luogo perché usando i pensieri si cerca di difendersi dall'emozione che quell'evento o quella situazione porta con sé. Il voler capire, il cercare spiegazioni logiche, fa sì che si appaghi il desiderio di etichettare, contenere in una forma o in una definizione qualcosa che sfugge e come tale ci provoca smarrimento e sentimenti contrastanti che ci rendono vulnerabili. Le emozioni sono portatrici di sofferenza, mentre i pensieri cercano di mettere ordine e disciplina dove apparentemente non c'è. È più facile accettare che l'altro abbia fatto qualcosa per un motivo “giustificabile” piuttosto che l'abbia fatto e basta. È più rassicurante riuscire a prevedere delle alternative a un problema, piuttosto che accettare la temporanea incertezza che un momento critico porta con sé.

Da qui l'altro fraintendimento: troppo spesso confondiamo il pensiero con l'intuizione.

In automatico rimuginiamo su qualcosa credendo che prima o poi arrivi un'illuminazione, mentre in realtà, questa può arrivare solo se i pensieri fini a se stessi si acquietano e si permette alla nostra mente di accedere a soluzioni alternative perché creative, libere da schemi e da sillogismi logici.
In psicosintesi si può lavorare attraverso diverse tecniche per smascherare questi automatismi, ma oggi, per semplificare, mi limiterò a suggerirvi alcune semplici modalità da usare in autonomia, oltre a due preziosi alleati della floriterapia.
Roberto Assagioli suggeriva la scrittura come tecnica catartica per sfogare le energie in eccesso. Se ci sono pensieri o preoccupazioni che occupano l'attenzione, si può scrivere su un foglio tutto ciò che ci passa per la testa, in maniera immediata, senza preoccuparsi della forma o della punteggiatura: deve essere solo un modo per allontanare da sé ciò che disturba. Lo si può fare dandosi un tempo, finito il quale ci si dedica a qualcos'altro.

Un'altra tecnica interessante è quella della meditazione riflessiva, fatta sempre per iscritto, come suggerito da Piero Ferrucci. Si prende un foglio bianco, si scrive al centro una parola che rappresenti la tematica su cui si vuole riflettere, di modo da dare un “compito” preciso alla mente che altrimenti in maniera anarchica salta da un pensiero all'altro. Si associa a quella parola tutto ciò che in quel momento viene alla mente (e si scrivono, legandole da una freccia, come in una mappa mentale), anche cose apparentemente senza senso, così diventa possibile scovare alcune soluzioni più creative rese impossibili dal semplice rimuginare.

 
Nel repertorio di Bach, il fiore che riequilibra la cosiddetta “sindrome del disco rotto” è WHITE CHESTNUT (pioppo bianco), che permette di rompere la ruminazione mentale, di sciogliere la tensione che essa porta e ristabilire armonia nei nostri pensieri.

È ottimo quando c'è insonnia data da improvvisi risvegli e incapacità di addormentarsi dovuta al sopraggiungere dei pensieri su ciò che ci sarà da fare il giorno dopo, o in generale su problemi che assillano in quel momento.

L'essenza del pioppo bianco, spezza l'incantesimo della fissazione, delle idee ossessive su un episodio, su frasi ascoltate o scene subite.
Vi segnalo anche un fiore del repertorio australiano, ovvero BORONIA, ideale quando le tematiche che assillano sono relative alla rottura di un rapporto affettivo, con pensieri fissi su quella persona che ha fatto soffrire, che impediscono di guardare avanti e andare oltre. La tortura mentale dello stato Boronia, è data dall'insicurezza, dal restare attaccati al senso di possesso per ciò che non è più presente, vivendo nello struggimento dei tempi passati e nel rimuginare sui perché, i se e i ma...

L'essenza agisce nel rimarginare la ferita emotiva, nell'accettare invece di recriminare e pretendere spiegazioni che non fanno altro che peggiorare le cose.


Non devi cercare di fare in modo che le cose vadano come vuoi, ma accettare le cose come vanno: così sarai sereno.

(Epitteto)

buona settimana
virginia

p.s. Ricordo che i fiori di bach si prendono 4 gocce per 4 volte al giorno, mentre gli australiani, 7 gocce mattina + sera