lunedì 25 febbraio 2013

I diritti dell'amore e la crisi dell'avvocatura


 
 
Questo scritto parte da una profonda crisi professionale come avvocato di diritto di famiglia.
Proprio dal punto di vista di avvocato allora, mi sono chiesta che ruolo occupa la norma nella famiglia e come la stessa debba necessariamente affiancarsi alla consapevolezza delle parti e degli operatori  (quindi degli avvocati e dei giudici).
Il diritto tratta il concetto di amore come “realtà extragiuridica”.
Francesco Gazzoni, uno dei più noti giuristi italiani, in “Amore e Diritto ovverosia i diritti dell’Amore“ (1994) , specifica che il diritto si occupa solo della parte patologica della coppia , laddove l’intesa è venuta meno e i coniugi prima si separano e poi divorziano.
Spetterà al giudice risolvere il problema dell’affidamento dei figli e degli aspetti patrimoniali della fine dell’unione, ma anche, laddove richiesto, quello dell’addebito a uno dei due coniugi del fallimento del rapporto.
Ed è proprio qui che i rapporti tra amore e giudizio vengono più che mai in questione.
Il diritto di famiglia si trova quindi ad affrontare regolarmente pratiche di amore mancato, quando oramai se ne possono solo mitigare gli effetti drammatici.
La pratica giudiziaria è costretta quindi a registrare una propria impotenza rispetto alla possibilità di incidere sul buon andamento delle relazioni umane , in particolare di quelle familiari.
Conclude quindi Gazzoni “ La verità è che il diritto non può imporre ai coniugi di vivere in armonia né può sostituire all’accordo la coazione"
Ed io aggiungo che il diritto non riesce a imporre a due genitori di essere bravi genitori.
Impotenza del diritto?
Se concepiamo l’amore come competenza nel regolare i propri rapporti privati, allora possiamo pensare che diritto e amore proprio nella famiglia si coniugano e necessitano di strumenti nuovi ed innovativi.
Ma soprattutto necessitano di operatori – giudici e avvocati -  in grado di essere consapevoli, e che quindi non riversino i propri conflitti e i propri traumi su una coppia in crisi e magari con figli.
Invece la maggior parte di noi operatori del diritto cerca nel diritto quell’ordine, quella regola, quella risposta che è mancata nella famiglia d’origine e quindi, spinta da un bisogno personale, tramite il cliente o il cittadino, risolve i propri personali conflitti irrisolti.
Il diritto di famiglia, essendo, come è stato definito “un diritto a maglia larga” ovvero facilmente adattabile, permette a noi operatori di metterci molto del nostro.
Provocatoriamente mi sorge una domanda: non c'è il rischio che sfoghiamo in questo contesto il bambino ferito che è dentro ciascuno di noi? Oppure il partner tradito, quello che ha abbandonato, quello che non ha ottenuto quello che voleva ecc...?
Il mio consiglio...diffidate dell’avvocato che invece di consigliarvi in maniera obiettiva, fa sue le vostre emozioni, vi incita alla lotta e al conflitto..
E quanto al giudice ..non ci resta che pregare!!!

Con affetto

Evi


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lunedì 18 febbraio 2013

il sabotatore interiore




incontro n.1
Annalisa: “sono qui perché ormai non riesco più a fare niente. Vivo bloccata e terrorizzata dal prendere qualsiasi iniziativa”
Marco: “non riesco a lasciarmi andare, sento sempre che gli altri mi stanno giudicando per quello che faccio o dico”

Maria: “la mia vita è uno schifo, non credo più a nulla, le persone sono tutte meschine e cattive”

[…]
incontro n. 10
Annalisa: “ogni volta che mi appresto a fare qualcosa, è come se ci fosse una voce dentro di me che mi dice – ma cosa ti sei messa in testa... non ci riuscirai mai, non sei brava abbastanza – e così qualsiasi mia decisione viene bloccata in partenza, perché mi sembra impossibile riuscire a realizzare quello che desidero, anche se è qualcosa di semplice, ma solo diverso dal solito”
Marco: “è come se sentissi una presenza costante che mi giudica, mi osserva biasimandomi fino a criticare tutto quello che faccio, una sorta di Grande Fratello che mi tiene sotto tiro, arrivando fino a boicottarmi nei pensieri, perché a volte ritengo anche di non potermi permettere neppure di fantasticare su certe cose, dato che è qualcosa che non si fa
Maria: “quando mi accade un evento bello, vivo nel terrore che possa accadere qualcosa di brutto, che la situazione si capovolga da un momento all'altro e io torni nel mio normale stato di insoddisfazione. Un pensiero insistente mi assale quando tutto scorre liscio: non te lo meriti! So che è assurdo e ci sono giorni che mi ribello con forza a questo automatismo, ma poi non posso farne a meno, perché nella mia vita niente è mai andato come doveva andare e ormai ci ho quasi fatto l'abitudine.”
 

incontro n. 11

Annalisa: “ci ho pensato, sai, al sabotatore, a questo personaggio interiore che mi porto sempre dietro e mi boicotta... il mio si chiama “Ernesto”, immagino che faccia il professore, un tuttologo, di quelli che ti fanno sempre sentire inferiore... ah, si, e ho anche pensato a quando è nato dentro di me. Credo sia nato quando mia madre mi diceva sempre di guardare a mio fratello maggiore, lui si che era bravo, esperto, preparato, lui era il modello da seguire ma anche la perfezione, quindi io non ero mai all'altezza...”
Marco: “l'ho smascherato sai, quel Grande Fratello! Ci ho pensato a quale personaggio si nasconde dietro quell'occhio che tutto giudica... credo che venga dal collegio dove ho passato gran parte della mia infanzia...lì eravamo trattati come signorini inamidati, ligi alle regole dei religiosi che ci istruivano, ma lì mancava qualsiasi esperienza d'affetto. Ci sono entrato a sei anni e uscito a venti.  L'unico modo che avevo per farmi benvolere era essere irreprensibile, per lo meno avrei avuto qualche parola di elogio. Ma forse, nella mia mente di bambino di allora, avevo attribuito a quell'istituzione un potere enorme, anche quello di potermi vedere dentro – attenti a peccare! Dio vi vede in ogni momento! – intimava il padre confessore, così ancora oggi, non sono libero di pensare o desiderare fuori dai canoni, che immagino le reazioni sdegnate degli altri.
 
Maria: “è doloroso pensare che in tutto questo tempo mi sono rovinata la vita da sola, succube di un mostriciattolo che viene da chissà dove nel mio passato e che si ostina a impedirmi di essere felice. Io l'ho chiamato la “sanguisuga” perché sento che quando emerge mi succhia tutta la linfa vitale, tutto diventa nero, difficile, e io cado in preda a un pessimismo cosmico... quando è nato? Non lo so, è talmente subdolo che ancora faccio fatica a credere che possa esistere nel mio mondo interiore qualcosa di simile... qualcosa che rema contro la mia volontà (o forse lo so, ma è ancora troppo difficile ammetterlo)”


Ho voluto iniziare creando delle ipotetiche storie di terapia**, per parlarvi di un personaggio scomodo, una subpersonalità – in termini psicosintetici – che impedisce il benessere della maggioranza delle persone, in maniere diverse e con gradi differenti di disagio.

Credo che nella nostra vita, tutti abbiamo avuto esperienza degli effetti del sabotatore interiore, anche se solo in un periodo oppure in un settore dell'esistenza, o in certi tipi di relazioni interpersonali.

Le storie di Annalisa, Marco e Maria ci forniscono solo alcuni esempi, ma i modi in cui possiamo impedirci di stare bene sono innumerevoli, a volte anche paradossali!

Roberto Assagioli invitava a trovare i diversi personaggi che abitano il nostro animo molteplice (per approfondire questo tema, clicca qui e qui) in modo da ampliare la nostra conoscenza dei meccanismi che ci permettono di entrare in comunicazione col mondo.

Il sabotatore, come ci dice la storia di Maria, è subdolo e nascosto, è faticoso riconoscerlo, perché ci identifichiamo con lui, di modo da lasciargli prendere il sopravvento. Quando stiliamo l'elenco cosciente delle nostre subpersonalità non lo inseriamo quasi mai subito, perché spesso dimora nell'inconscio e agisce a nostra insaputa, fondando convinzioni limitanti, emozioni negative e atteggiamenti disfunzionali.

Il riconoscerlo funziona da primo fondamentale passo verso il cambiamento, perché attraverso un'osservazione consapevole lo si può anche tenere sotto controllo.

Una volta smascherato è possibile relativizzare la sua influenza, rendere oggettivo quello che fino ad ora ci è parso “la verità” e iniziare a vedere le cose da altri punti di vista.

Gli incontri dei nostri ipotetici pazienti non finiscono qui, a volte è necessario un approfondimento e un'integrazione di quanto scoperto durante le sedute, ma queste poche righe ci hanno permesso di scoprire che il dare un nome al sabotatore, ricostruirne la storia, conoscerne i bisogni nascosti può permettere davvero di invertire il processo negativo e dirigere le proprie energie verso un ritrovato benessere.

Adesso tocca a voi, ogni volta che vi trovate a tentennare di fronte a qualcosa, a fare il contrario di quello che vorreste, o a non affrontare qualcosa che vi sta a cuore, chiedetevi “quale mio auto-sabotatore sta agendo in questo momento?”
Buona settimana

virginia

** I nomi, i dialoghi e le storie sono puro frutto di fantasia

mercoledì 13 febbraio 2013

Wow! (momenti di Grazia...)


 
Ho scoperto per caso una curiosa iniziativa di Grazia.it e, una volta superata la mia iniziale reticenza per qualsiasi contest (ammetto che solo da poco mi concedo un solitario virtuale sul tablet per staccare la spina!) ho deciso di lasciar scorrere le dita sulla tastiera, ispirata  da questa parola che vedete nel titolo, che fa parte dei molti temi del manifesto della campagna online (per saperne di più cliccate qui) e mi ha permesso di giocare col doppio senso del sottotitolo fra parentesi.  

Wow mi fa venire in mente i fumetti che leggevo da bambina, il “Topolino” divorato nello scorrere delle ore di una domenica mattina, assorta nelle esclamazioni estatiche di Qui Quo Qua, perfetti dialogatori sincronici.

E forse di misteriosa sincronia è fatto anche il nostro wow-adulto, espressione di quei momenti che in Psicosintesi si chiamano esperienze transpersonali, apparizioni della Bellezza – proprio con la B maiuscola! – in tutte le sue forme, come eterei frammenti che riempiono l'anima.

Sono episodi di significato profondo e sublime, che donano senso alla vita, gioie semplici, consapevolezze improvvise.

Forse ne avrete sentito parlare nelle filosofie orientali come “illuminazioni”, e quindi subito interpretate come inaccessibili e proibite.

In realtà esperienze di tale risveglio possono avvenire nella vita di tutti noi.

Basta saperle cogliere, posare la nostra attenzione su ciò che ci fa “ridere il cuore”. 
Wow è quando qualcosa si incastra perfettamente nel divenire delle cose, una parola giusta, un incontro inaspettato, un paesaggio poetico, un sorriso incoraggiante, un'emozione dimenticata che zampilla di nuovo, da una crepa di una giornata uguale alle altre.

Così ti ritrovi in questa esclamazione che sgorga improvvisa, uno stato d'animo, una certezza interiore, a volte neppure espressa, ma fondante.

Un atto creativo che ti fa sentire in armonia col mondo: non importa se si tratta del progetto migliore che hai mai pensato, di un dialogo con una persona importante o di una ricetta appena sfornata.

Sei tu, qui e ora. E questo basta. 
Wow è energia allo stato puro, è libertà, nuovo fluire della vita che si era addormentata, dopo essersi punta al fuso di una vecchia strega, chiamata abitudine.

È quando un attimo di felicità si trova incastonato come pietra preziosa nel modesto quotidiano, ravvivando di luce quello che prima sembrava opaco.

È quando riesci a vedere qualcosa o qualcuno con nuovi occhi, scoprendo territori sconosciuti ad entrambi, che permettono di sentirsi vicini, anche solo per qualche attimo.

Wow è piangere di gioia, in preda a convulsioni che sconquassano il cuore e tolgono il respiro, alla fine di un film o fra le pagine di un libro.

Wow è vedere due anziani che, mano nella mano, camminano lenti nel parco, come ad avere tutta la vita davanti.

Wow è un impavido uccellino che si posa sul tavolo all'aperto di un bar, mentre mangi il tuo panino, e ti fa scendere una lacrima di commozione.

Wow è l'amore della tua vita, ogni volta che incroci il suo sguardo e ringrazi l'universo di avertelo fatto incontrare.

Wow è il miracolo della natura che ti coglie inaspettato alla fine di un sentiero di montagna, terrazza sul mondo.

[fotocommunity.it - iris russo] 

[tramonto tra i narcisi - marco caccia/ montagna.tv]

Ogni volta che senti un wow, si tratta di un affluire di energia positiva all'altezza del cuore, un senso di espansione ed appartenenza, contemplazione, uno stato di grazia, assenza di tempo e di spazio.

Quando puoi dire wow è segno che qualcosa di intenso e meraviglioso ha toccato le corde della tua anima, ha risuonato dentro di te e ha creato armonia laddove c'era caos.

Avviene quando ti allinei con Te, quando puoi essere quello che sei, fare ciò per cui sei nato, che ti appaga nel profondo.

Si tratta di istanti fugaci, da acchiappare e tenere al riparo dal resto, una rara intuizione nel mare della concretezza del fare, che accarezza, protegge e rincuora.

È il sole che torna, come oggi, dopo due giorni di bufera di neve.


La felicità si sa è effimera, ma a volte anche a portata di mano.

Più di quanto pensiamo.

E per te, quali sono i tuoi momenti di Wow?

Scriveteli e teneteli con voi, da ricordare sempre.


Buona giornata

virginia


lunedì 11 febbraio 2013

Come dici "ti amo"?



Visto che questa sarà la settimana dell'amore... non poteva mancare un post sull'argomento!
Nello stesso libro di cui vi ho parlato qualche giorno fa (lo trovi qui) si legge un altro passo interessante relativo ai rapporti d'amore, soprattutto nella comunicazione del sentimento.
Parafrasando domande già poste da Eric Berne nel libro “Ciao... e poi?” (ma vi consiglio, se non lo avete ancora letto, anche “A che gioco giochiamo?”) Buscaglia riformula gli interrogativi fondamentali della comunicazione dell'amore, cercando significati nelle risposte ai seguenti quesiti:

  1. Come dici “ti amo” e perché è così difficile dire una frase positiva come questa?
  2. Come rispondi “ti amo” senza timidezza o paura?
  3. Cosa diciamo dopo “ti amo”?
  4. Come possiamo mantenere viva la comunicazione amorosa?
  5. E soprattutto, cosa stiamo facendo invece di dirci “ti amo”?

Avete trovato le vostre risposte??
proviamo ora a riflettere insieme sulle sfumature che si celano dietro a queste domande (per le interpretazioni che ne dà Buscaglia vi rimando al suo testo), aiutandoci con alcune scene di film famosi.

Dire ti amo è esporsi di fronte a qualcuno con tutti noi stessi e lo si può fare – o non fare – in svariati modi.
Sicuramente tutte avrete presente il famoso dialogo di Ghost:
    Molly: Non mi dici mai che mi ami
    Sam:
Ma se te lo dico continuamente
    Molly:
Io dico ti amo, tu dici idem, è diverso...
Sam alla fine riesce a dire quelle due semplici parole solo quando non ha più niente da perdere, quando le deve dire addio...

Ghost 

Lo stesso in Colazione da Tiffany, quando ormai tutto è rovinato, quando il dolore della perdita è così concreto, qualcosa scatta in Holly e la fa andare oltre la paura di affidarsi.
Tutto il significato nascosto nella paura di lasciarsi andare completamente è in quella domanda che la giovane Audrey pone al suo innamorato: “...E poi?
E poi cosa accade, dopo la dichiarazione, dopo l'infatuazione, dopo i momenti splendidi dei primi tempi?
 

Colazione da Tiffany - lo trovi in italiano qui


Appartenere a qualcuno è una scelta.
Ma non è una scelta che si fa a tavolino, non si può definire come un progetto ragionato.
Qualcuno lo ha definito abbandonarsi a “una felicità delirante”, "dimenticare il cervello e ascoltare il cuore".

 Ti presento Joe Black 

Ma dire ti amo significa rischiare e allo stesso tempo significa impegnarsi.
Dire ti amo è prendersi la responsabilità di vivere una relazione, di godere dei momenti felici ma anche affrontare le difficoltà.
Dire ti amo è ammettere che abbiamo bisogno, ma anche rispettare la libertà dell'altro.
Dire ti amo è accettare, includere, abbracciare il mondo di quella persona, restando se stessi, senza bisogno di snaturarsi, perché anche lui/lei farà altrettanto.
Per poter dire, parafrasando un altro famoso film, “possano le nostre individualità, rafforzare il nostro amore”. 


Se scappi ti sposo 

Solo quando sai chi sei e cosa desideri, puoi amare qualcuno con tutto te stesso. 
Non è nella mancanza che ci si compensa, bensì nell'arricchimento di qualcosa che c'è già, che si trova il proprio appagamento.
Dopo il ti amo arriva la vita vera, passano i giorni, i mesi, gli anni, e così si cambia, ci si trasforma.
Se non lo avete visto vi consiglio il film Casomai, metafora del coraggio di scegliere una vita insieme, nonostante tutto.

Casomai 

Ha ragione quel parroco. L'amore è qualcosa di privato e unico.
Solo i suoi protagonisti possono conoscerne i significati.
Solo i suoi protagonisti possono decidere di rischiare e farlo mille altre volte, quando al posto di rivendicazioni, conflitti, allontanamenti, si scioglieranno in un bacio o un abbraccio intenso... perché si sa, a volte l'amore, non ha bisogno di molte parole.

 Il favoloso mondo di Amélie 

Vi auguro una buona settimana, 
magari freddissima di neve fuori, ma calda e piena di amore dentro
virginia 

lunedì 4 febbraio 2013

La difficile arte dell'ascolto


 
 
La mia professione ha come presupposto fondamentale la capacità di ascolto, preziosa e delicata arte che coinvolge, trasporta, permette di entrare in punta di piedi nelle emozioni dell'altro, in una vita che fino a poco tempo prima era straniera ed ora è così intima, svelata , riconoscibile a se stessa anche grazie al mio sguardo.

Si, avete capito bene, ho detto sguardo, non solo orecchio.

Perché, quando ci si accinge ad ascoltare qualcuno, lo si può fare ponendo l'attenzione alle sole parole, alla storia, ai dettagli, oppure ampliare l'orizzonte ed includere gli occhi, la testa, la pancia, il corpo tutto.

Si può “sentire” ma non ascoltare. Si può ascoltare ma non “sentire”.

Per comprendere davvero qualcuno è necessario ascoltare e sentire insieme, partecipare in maniera globale a quello che sta succedendo, dentro e fuori, in noi e in lui/lei.

Nella vita di tutti i giorni molte sono le occasioni per ascoltare davvero.

Sicuramente è necessario scegliere e selezionare le situazioni, i luoghi e le persone – non possiamo pretendere di essere sempre presenti ed empatici in assoluto! - per poter dedicare un'attenzione amorevole a chi ci sta a cuore.

Non importa che stiate affrontando una divergenza di opinione al lavoro, un conflitto in famiglia, un confronto col partner, una confidenza di un figlio o uno sfogo di un'amica: il punto fondamentale è esser-ci.

La presenza è ciò che fa la differenza fra un dialogo profondo e uno superficiale.

Presenza significa essere sinceramente interessati a quello che sta accadendo, anche se muove dentro delle emozioni contrastanti, se risveglia sentimenti sopiti, se allude a ricordi personali dolorosi o esperienze elettrizzanti.

Presenza è riconoscere tutte queste cose e nonostante tutto restare in quell'incontro, senza assecondare l'impulso che porterebbe a fuggire via, con le gambe o anche con la mente, cercando pensieri più docili da sostenere.

È difficile tacere, imbrigliare il tumulto che si agita dentro, donare sollievo in qualche modo a quell'ansia che attanaglia, non importa se te o lui.

Altrettanto difficile non aprire la bocca e prendere il sopravvento sull'altro, raccontando di te, agganciandoti a un ricordo meraviglioso simile al suo, prendendo il posto sul palcoscenico della gioia, fuori dal tuo turno.

Fondamentale è esser-ci: essere con l'altro, in quel preciso momento, in quel preciso luogo, dentro quelle parole o quei silenzi, dentro a quegli occhi che cercano risposte, inesorabili, o riflessi in quei sorrisi che aprono le porte di mille nuove speranze.

Quando ascolti puoi essere uno specchio.

Rimandare un'immagine cristallina oppure distorta, opaca o accecante.

Occorre essere obiettivi.

Aiutare l'altro a trovare la sua strada, la sua versione, attraverso una chiarificazione di quello che gli accade dentro, ma senza perdere di vista te stessa, il tuo sentire, i tuoi punti fermi.

Una volta, una ragazzina, che oggi è “quasi” una donna, mi ha insegnato un modo di dire che può aiutarci a comprendere.

Parlando di un'altra persona affermò: non mi capisce, legge solo dal suo libro.

Ovvero, non è disposta a cambiare punto di vista, interpreta il mondo secondo criteri irrevocabili, scritti sulle pagine del suo libro immaginario, depositario della verità, unico riferimento per capire (o non capire) gli altri.

Quindi un'altra necessaria caratteristica dell'ascolto è la flessibilità.

Se vuoi ascoltare davvero, occorre accettare, almeno in un primo momento che ciò che l'altro ti sta dicendo può essere plausibile, che nella sua concezione delle cose è una sofferenza o una cosa estremamente importante, accogliendo tutto ciò che questo comporta.

Se lo inquadri già nella griglia dei tuoi valori, pregiudizi o lo banalizzi, relativizzandolo, non aiuti l'altro a uscire dall'impasse, anzi, può essere che tu lo faccia sentire ancora di più in difficoltà, anche se il tuo intento era all'opposto.

Quando qualcuno ti chiede di ascoltarlo, so che può sembrare strano, ma a volte si aspetta “solo” quello. A volte ha bisogno di esprimere quello che pensa o che prova, a voce alta, magari raccontare le paure per poterle finalmente vedere, condividere una gioia perché si espanda e duri nel tempo. Essere in due fa da cassa di risonanza quando siamo felici, contiene e ripara quando siamo tristi.

Molti teorici affermano che più del dolore e della sofferenza, fa male la solitudine nel dolore e la sofferenza. Sapere che qualcuno ti ascolta è già un sollievo.

Non è sempre necessario trovare soluzioni ai problemi.

Se gli dai consigli risolutori è probabile che non ti ascolti.

La risposta arriva dentro ciascuno, quando le domande hanno trovato terreno fertile dove germogliare.

Voi potete essere quel terreno. Accogliente, umile, paziente e generoso.


Termino con uno scritto di un autore anonimo che si intitola “Listen” (Ascolta).

Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu cominci a darmi consigli,

non fai ciò che ti chiedo.

Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu cominci a dirmi perché non dovrei sentirmi in quel modo, calpesti le mie sensazioni.

Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu pensi di dover fare qualcosa per risolvere i miei problemi, mi deludi, anche se questo può sembrare strano.

Forse per questo la preghiera funziona, per molti.

Perché Dio è muto, non dà consigli, né prova ad aggiustare le cose.

Semplicemente, ascolta e confida che tu risolva da solo.

Quindi ti prego, ascolta e sentimi.

E se desideri parlare, aspetta qualche istante il tuo turno

e ti prometto che ascolterò.

Buona settimana

virginia