Sarà
perché sto leggendo il libro “Così
è la vita”
di Concita De Gregorio (che vi consiglio, perché parla in maniera
lieve e poetica dell'argomento profondo e doloroso che è la morte) o
forse perché non dimentico mai gli anni di lavoro nel reparto dei
morenti quando mi trovo a fare i conti con tutte le altre sofferenze
quotidiane dei viventi – non tralasciando mai di portare
testimonianze di significato di ciò che ho appreso in quei giorni
ospedalieri – o forse è solo per questo week end piovoso che mi
porta a riflessioni sfumate di grigio, che mi trovo a scrivere oggi
sul senso del vivere.
Spesso mi interrogo, se dietro
all'apparente ricerca della soluzione di un problema o di un sintomo,
in realtà la terapia non sia altro che un continuo tentativo di
trovare un significato a quell'insieme di eventi, persone, vissuti e
azioni che solo alla fine potremo chiamare la “nostra” unica e
irripetibile vita.
Ritengo che l'obiettivo finale di
qualsiasi terapia sia quello di riuscire a vivere più pienamente la
propria identità, ovvero vivere riuscendo ad essere se stessi, senza
lasciarsi bloccare o frenare da aspetti interiori boicottanti.
Vivere e non sopravvivere.
Se dovessi riassumere in tre frasi le
parole che maggiormente ho ascoltato in quelle corsie ospedaliere di
cui vi parlavo poco sopra, sarebbero:
- Ho dedicato poco tempo a me e troppo agli altri, mettendo i miei bisogni sempre dopo i loro
- Ho lavorato molto ma mi accorgo che ho perso tante altre cose importanti della vita
- Non ho coltivato i miei rapporti come avrei desiderato: ci sono molte cose che non ho detto o non ho fatto, pensando di avere sempre tempo per farlo
Questi temi sono spesso oggetto di
riflessione nella stanza di terapia, ma mai li ho trovati così
importanti e urgenti come nel momento della malattia o della fine.
Quindi mi chiedo: perché dobbiamo
necessariamente attendere il bilancio definitivo per rendersi conto
che qualcosa sarebbe potuto essere altrimenti?
Non è possibile rendere oggi la nostra
vita più piena e auto-realizzativa?
Per farlo è necessario operare delle
scelte.
E quando dico questo alle persone che
siedono davanti a me, mi ritrovo occhi perplessi e smarriti che mi
fissano lasciando trapelare timori da cataclisma.
In realtà non mi riferisco a cambiamenti
radicali o colpi di testa.
“la
vita vera è vissuta quando vengono fatte le piccole scelte. Ma è
solo con i cambiamenti infinitesimali, quelli che nessun altro
percepisce, che hai la speranza della trasformazione”
(Lev Tolstoj)
Il cambiamento vero e duraturo è
paziente e costante, è un processo, non un atto.
L'atto arriva solo quando tutto dentro è
pronto per il grande passo, e in quel momento sarà così spontaneo e
naturale che vi stupirà, perché quell'azione sarà il gesto della
nuova persona che siete diventati, non quello disperato di chi
eravate prima.
E se state facendo qualcosa di
intimamente affine alla vostra anima, qualcosa che appaga
profondamente i vostri desideri, anche il tempo sarà relativo.
L'importante è sentirsi vivi durante il
viaggio, perché niente vada sprecato.
Non scegli come morire. O quando.
Puoi solo decidere come vivere. Ora.
(Joan Baez)
buona settimana
virginia
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