Ognuno
è amico della sua patologia
(Alda
Merini)
Nonostante
tanti anni di lavoro, un interrogativo spesso mi assale: che cosa
può caratterizzarsi davvero e fino in fondo come psico-patologia?
Al
di là della nosografia psicopatologica tradizionale che serve a
creare un gergo comune per definire sintomi e segni di comportamenti
che esulano dalla “norma”, chi e che cosa può arrogarsi il
diritto di decidere che tutto in una persona è patologia?
A volte sembra che si perda il significato e valore del soggetto dietro alle etichette di depressione, ansia, attacchi di panico, disturbi alimentari, psicosi ecc...
In
maniera sensatamente folle mi piace seguire il pensiero di James
Hillman, secondo cui
“vogliamo
far tacere il rumore concettuale del gergo psicologico e creare,
nello studio del terapeuta, un'atmosfera in cui i vari momenti ci
parlino nei termini loro propri e noi rispondiamo nei nostri.
La
terapia diventa allora la disciplina del cercar di scoprire cosa sono
quei termini in ciascun caso – buttando via la diagnosi in favore
dell'inventiva, terapeuta e paziente insieme, un linguaggio in comune
adatto a questa particolare vita. Allora non stiamo cercando di
scoprire e curare una malattia, stiamo cercando di inventare e
parlare un linguaggio.
È
questa la cura: parlare alla vita e ascoltare la vita.
E
lo scopo non è che la vita guarisca, o diventi normale, e nemmeno
che cessino le sue sofferenze, ma che la vita diventi più se stessa,
che sia più onesta con se stessa, sia più fedele al suo demone”
(2005, pag. 95-96)
dove
per demone si intende il δαίμων
(dáimōn)
socratico, il proprio genio, o angelo, quella scintilla che ci
appartiene da sempre e che può guidarci verso la realizzazione.
Occorre
comprendere che talvolta
il genio sembra mostrarsi soltanto attraverso i sintomi e disturbi
come una sorta di medicina preventiva che ci trattiene dal prendere
una falsa strada (Hillman
op.cit. Pag. 83).
Anche
Edward Bach – medico inglese inventore della floriterapia –
sosteneva una cosa analoga:
ciò
che noi conosciamo come malattia è in ultima analisi il risultato
finale causato nell'organismo, il prodotto finale di forze che
agiscono nel profondo dell'animo umano.
[…] In sostanza, la malattia è il risultato di un conflitto fra
l'anima e la mente
[…] sebbene
in apparenza sia crudele, in realtà è benefica e utile e, se
interpretata nel modo giusto, può guidare alla scoperta degli errori
decisivi che abbiamo commesso, cosicché diventeremo persone migliori
(Bach,
1931 in Scheffer, I
fiori che guariscono l'anima,
2003 pag. 56-58).
E
infine anche Roberto Assagioli, il padre della Psicosintesi :
La
frequenza dei disturbi che hanno origine spirituale va rapidamente
crescendo ai giorni nostri, dato il numero crescente di persone le
quali, consciamente o inconsciamente, brancolano per trovare la
propria via verso una vita più piena
(Principi
e Metodi della Psicosintesi Terapeutica 1973,
pag. 44).
“Noi
siamo un colloquio”
dice Hölderlin,
citato da Galimberti (2009), il quale aggiunge:
il
colloquio è fatto unicamente di parole, ma le parole non si dicono
solo, si ascoltano anche. Ascoltare non è “prestare l'orecchio”,
è farsi condurre dalla parola dell'altro là dove la parola conduce.
Se poi, invece della parola, c'è il silenzio dell'altro, allora ci
si fa guidare da quel silenzio. Nel luogo indicato da quel silenzio è
dato reperire, per chi ha uno sguardo forte e osa guardare in faccia
il dolore, la verità avvertita dal nostro cuore e sepolta dagli
psicofarmaci la cui prima funzione è quella di mettere a tacere il
cuore.
(I
miti del nostro tempo, pag
175)
Già
Otto Rank, l'enfant
terrible della
psicanalisi vedeva la nevrosi come un'opera d'arte mancata, da cui
faceva discendere la necessità di una “terapia
della creatività”.
Prendendo
le mosse da tutti questi maestri, mi piace pensare al mio lavoro come
a una paziente opera artistica e artigianale, fatta a quattro mani,
le mie e quelle della persona che si rivolge a me, per creare
qualcosa di unico e originale, autentico, come ogni vita può essere.
"La
terapia, o l'analisi, non è solo qualcosa che gli analisti fanno ai
pazienti, essa è un processo che si svolge in modo intermittente
nella nostra individuale esplorazione dell'anima, negli sforzi per
capire le nostre complessità, negli attacchi critici, nelle
prescrizioni e negli incoraggiamenti che rivolgiamo a noi stessi.
Nella misura in cui siamo impegnati a fare anima, siamo tutti,
ininterrottamente, in terapia."
(J.
Hillman, Re-visioning Psycology, 1975)
buona
settimana
virginia
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