A castle in sky by kazumi Ishikawa on Fivehundredpx
Spesso
mi capita di parlare in terapia, con uomini e donne che si rivolgono
a me, della relatività dei punti di vista.
Di
come ciò che per una persona può sembrare una tragedia, per
un'altra possa essere una benedizione.
Della
possibilità che interpretiamo il pensiero e il sentire altrui sulla
base di ciò che noi stessi pensiamo e sentiamo, non solo degli altri
ma anche di noi stessi.
Le
nostre esperienze subiscono sempre il filtro dei bisogni.
Occorre
essere attenti e presenti a noi stessi ed imparare a discernere fra
bisogni e sogni, fra aspettative e necessità.
C'è
differenza fra scegliere e fuggire. Fra agire e subire. Fra distruggere e modellare.
Per
questo ho voluto prendere spunto da queste due storie, sempre a
partire da una foto. La stessa.
(se ti sei persa le altre storie a partire dalle finestre le trovi qui)
(Lecce)
Vista
da dentro:
Adesso
c'è solo il bianco. Essenziale per cominciare una nuova avventura.
Come
per le tele candide dell'artista che trepidanti aspettano la prima
pennellata, ancora ignare del loro destino.
Bianco
come quando tutto è ancora da cominciare, pensare, creare nelle
forme che plasticamente si sovrappongono, nell'immaginazione di
luoghi che ancora non appartengono a nessuno.
Al
momento solo i muri sono miei: confini di un'identità scandita solo
nei metri quadri. Sono in cerca di me.
Riuscirò
a trovarmi?
Non
voglio il legno rustico della cucina dei miei genitori, troppo
avvolgente nei viluppi dei nodi che fanno da trama alle ante.
Non
sono neppure un'anima minimale come mio fratello, per il quale la
casa non deve tradire alcunché di vissuto.
No,
non ho neppure la tendenza barocca a strafare di mia sorella, che
riempie gli spazi di oggetti feticcio; “per raccontare di me” –
dice lei – “per ostentare realtà mascherate” – penso io.
Mi
piacerebbe quell'atmosfera che c'era dalla nonna, un profumo di pane
e biscotti, pensieri affettivi e carezze di sguardi. Forse è per
questo che l'ho scelta sopra un fornaio.
Vorrei
quei camei di antiche trine, sfumature arancioni di bianco, come le
case del sud baciate dal sole al tramonto.
La
voglio essenziale.
Come
se ci fosse un ordine prestabilito: come i pianeti che ruotano
intorno al loro astro e sanno che quello è il destino. Ogni cosa al
suo posto, anche quel libro che sembra lasciato lì a bocca aperta
sul divano da un lettore distratto, alzatosi perché hanno suonato e
dopo impegnato in tutt'altre faccende.
La
voglio accogliente.
Desidero
la possibilità per chi varca la porta di tuffarsi in un abbraccio,
percepire sulla pelle il benvenuto di un ospite che senza tanti
fronzoli ha sempre qualcosa da offrirti, soprattutto un sorriso.
La
sogno autentica.
Non
da copertina o rivista, piuttosto un cantiere aperto alle novità,
capace di trasformarsi senza snaturarsi, flessibile ai bisogni e
capace di cogliere le opportunità.
Voglio
che cresca con me, che sia una narrazione e non una bella frase ad
effetto.
Voglio
riempirla di gioia, di colori e di significati.
Che
entri la luce da questa grande finestra, il mondo penetri qua dentro
con tutta la sua energia, per portare nuove esperienze.
Questo
piccolo terrazzo potrebbe essere il trampolino per una vita a due,
chissà, magari una tappa provvisoria quando saremo in tre, da
lasciare di nuovo a chi – come me adesso – è all'inizio della
sua avventura nel mondo.
Ho
paura. E se non facessi le scelte giuste? Che ne sarà di me?
Vista
da fuori:
Qui
sulla panchina, alzo lo sguardo e lo vedo.
Quello
sarebbe il posto giusto per ricominciare.
Mimetizzarsi
senza tradire niente all'esterno.
Una
finestra anonima, nessun fiore da curare, nessun orpello che tradisca
le passioni di chi di abita. Magari un'asciugatrice, necessaria per
non rivelare con gli indumenti stesi l'identità dell'inquilino.
Ho
bisogno di resettare la mia vita in una stanza bianca, con muri
bianchi, quei pochi mobili che servono per necessità; all'inizio
andrebbe bene anche un materasso poggiato a terra, per sentire con
maggior forza la gravità della situazione.
Voglio
un rifugio d'emergenza, un riparo dall'implosione della mia vita.
Fuggire
da tutti quelli che mi alitano sul collo e mi impediscono di essere.
Ansimo
e sogno una tregua.
Mi
fermo ma il cuore batte troppo forte per sostare.
Forse
non posso più tirarmi indietro, eppure vorrei scappare.
Credevo
che quella fosse la mia strada, lui la persona giusta, quello il
lavoro che volevo.
Invece
mi ritrovo qui, su una panchina del centro, accattona di vite altrui,
a immaginare di essere sola, isolata, anche triste se questo è il
prezzo da pagare, ma libera.
Se
quella casa fosse mia, vorrei nascondermi nel buio: mettere pesanti
tende scure a quelle finestre così abbaglianti di luce e come un
animale nella tana aspettare tempi migliori. Sperare che il nemico si
stufi di stare fuori ad attendermi.
Chiusa
ermeticamente dentro un contenitore vuoto, uscire solo per un po' di
pane del fornaio, e acqua, come carcerata di me stessa.
Chissà
invece chi ci abita... chissà se conosce la fortuna di poter
scegliere fra molte possibilità.
Spero
che almeno lui o lei, faccia la scelta giusta.
Ma
poi mi chiedo, esiste davvero la scelta giusta, o ogni giorno è
quello giusto per prendere in mano la propria vita, anche quella che c'è già, e renderla come la vorremmo, senza fuggire?
Questi due punti di vista ci insegnano che solo partendo dai bisogni realistici e profondi , si possono fare
delle scelte.
Spesso
non si sa prima se saranno quelle più giuste in assoluto.
È
importante conoscersi, prendere consapevolezza dei bisogni propri e
allontanare quelli altrui che tarpano le ali, ma allo stesso tempo venir meno dalle illusioni e vedere con obiettività tutti gli aspetti di una data situazione.
Occorre dipanare le nebbie e uscire dalle aspettative irrealistiche.
La
qualità più opportuna in questi casi è la respons-abilità, come
capacità di essere abili a dare risposte, sapendo far fronte anche
alle conseguenze, perché comunque si è in profonda connessione con
se stessi.
“Non
è mai troppo tardi per essere chi si sarebbe potuti essere”
G.
Eliot
buona
settimana
virginia
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