mercoledì 4 settembre 2013

Facebook, la diffamazione e la privacy


 
Un commento poco elegante a una foto caricata su Facebook può costare un risarcimento di 15 mila euro. Tale è stata, infatti, la condanna che il Tribunale di Monza ha inflitto ad un utente del social network blu per la sua condotta diffamante nei confronti della ex fidanzata.

La sentenza, che tratta il tema oggi assai discusso dell’offesa all’onore e alla reputazione per mezzo di un social network, offre lo spunto per svolgere alcune considerazioni sui rischi della navigazione in Internet: in particolare sulle conseguenze di un uso troppo disinibito della rete e degli strumenti che essa offre.

Il giudice ha ritenuto le parole postate sul social network come un insulto al decoro, all’onore e alla reputazione della donna, che ne avrebbero determinato un danno morale.

D’altronde, il crescente sviluppo dei social network come Facebook, Twitter e Netlog se da una parte consente una rapida diffusione di nuove forme di comunicazione e circolazione di informazioni, dall’altra crea una sorta di “terra di nessuno” che facilita la commissione di condotte illecite, dove il legislatore e il giudice si muovono con difficoltà.

Ma quando si può parlare di diffamazione su Facebook?

In generale si può dire che il reato di diffamazione ricorre in presenza dell’inserimento di frasi offensive, battute personali gravi, notizie riservate (la cui divulgazione provoca pregiudizi), foto denigratorie o la cui pubblicazione ha ripercussioni negative (anche solo potenziali) sulla reputazione della persona ritratta.

È diffamatorio, per esempio:

- creare il gruppo “Quelli che odiano il proprio professore di matematica”;

- rivelare sulla propria o altrui bacheca una relazione extraconiugale del proprio collega di lavoro con la segretaria;

- inserire la foto della propria ex fidanzata nuda o in atteggiamenti piccanti.

Per parlare di diffamazione, l’offesa deve essere rivolta a un soggetto determinato o determinabile (cioè ad esempio menzionando nome e cognome). Se si parla male di una persona senza far capire di chi si tratta non c’è reato. Il reato invece sussiste se si inseriscono riferimenti che consentano di risalire alla persona offesa.

Le pene previste per la diffamazione a mezzo internet sono la reclusione da sei mesi a tre anni o la multa non inferiore ad euro 516.

Inoltre la giurisprudenza è orientata a ritenere responsabile anche colui che, venutone a conoscenza e avendo i poteri per farlo, non cancella la pubblicazione.


Il vero problema non è però rappresentato tanto dalla pena (che il più delle volte viene sospesa con la “condizionale”), ma dai costi connessi al procedimento penale.

In caso di condanna occorre infatti pagare:

- il legale della parte civile;

- il proprio legale

- il risarcimento dei danni provocati alla parte lesa.

Inoltre prima di pubblicare foto di amici in fb chiedete loro il permesso:potrebbero citarvi in sede per lesione della loro privacy !!!

Per fare un banale esempio, la pubblicazione su facebook di foto di amici e conoscenti va ad incidere su alcuni diritti fondamentali relativi all’immagine e alla riservatezza della persona.

Il diritto all’immagine è un diritto personale avente ad oggetto il segno distintivo essenziale dell’individuo volto a rappresentarne le sembianze, l’aspetto fisico, l’espressione e, più in generale, la sua personalità.
Esso trova disciplina nel combinato disposto dell’art. 10 del codice civile e degli artt. 96 e 97 della legge 633/1941 (legge sul diritto d’autore).
Dalla normativa in esame si ricava che il ritratto di una persona non può essere esposto, pubblicato o messo in commercio senza il consenso (espresso o tacito) dell’interessato.

E’ inoltre necessario che la pubblicazione/esposizione/commercializzazione non determini un pregiudizio al decoro e alla reputazione del soggetto rappresentato.

Qualora la fotografia di un ritratto (ovvero del viso) di un individuo (o dei genitori, del coniuge o dei figli dello stesso) sia pubblicata senza il suo consenso, questi potrà rivolgersi al giudice per ottenere l’inibizione della pubblicazione stessa oltre al risarcimento dei danni ad essa conseguenti.

Il consenso, a seconda dei casi, può essere dato per iscritto, oralmente o per fatti concludenti e può essere sempre revocato.
Bisogna tenere presente che il consenso ad essere fotografati non equivale al consenso alla pubblicazione e alla diffusione della fotografia.
Esistono tuttavia eccezioni per le quali il consenso non è necessario e quindi la pubblicazione dell’immagine è lecita: ciò accade quando la riproduzione è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico ricoperto dalla persona ritratta, quando sussistono necessità di giustizia o di polizia, ove siano perseguiti scopi scientifici, didattici o culturali ovvero quando la pubblicazione risulti collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie d’interesse pubblico o svoltisi in pubblico.

Resta salvo, anche nelle eccezioni, il limite del rispetto del decoro e della reputazione del soggetto rappresentato, trattandosi di valori che attengono alla dignità della persona.

La pubblicazione su facebook della fotografia di un soggetto rileva anche sul profilo del diritto alla riservatezza in quanto la divulgazione di un’immagine costituisce una forma di trattamento dei dati personali lesiva del diritto alla privacy, come tutelato dal D.lgs. n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) che stabilisce il principio fondamentale per cui “chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano”.

Per “dato personale” s’intende, secondo l’art. 4 lettera b) del predetto decreto, qualunque informazione riguardante una “persona fisica identificata o identificabile.


A tal proposito il Garante della privacy ha chiarito che le fotografie, così come le riproduzioni di immagini (ivi comprese le videoriprese), rientrano nella nozione di dato personale (decisioni del 15 maggio 2002 e 19 febbraio del 2002).

Per quanto concerne la natura del dato personale, esso normalmente costituisce un “dato comune”.

Qualora l'immagine consenta di rilevare talune informazioni che la normativa sulla privacy inquadra nella categoria dei “dati sensibili” (art 4. comma 1, lett. d) del D. Lgs. 196 del 2003: “i dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”), anche l'immagine avrà tale natura e pertanto sarà oggetto di più stretta tutela.

Tutto ciò comporta che, colui che intenda pubblicare una fotografia rappresentativa di un soggetto identificabile, dovrà ottenerne il consenso scritto, ove tale fotografia riveli dati sensibili; negli altri casi il consenso potrà essere dato in forma diversa.  
Esistono eccezioni anche nella normativa sulla privacy e cioè quando il trattamento del dato è giustificato in assenza del consenso dell’interessato: si tratta delle fattispecie previste dall’art. 24 del decreto n. 196.

Qualora si commettano violazioni della normativa citata si può incorrere in una causa di risarcimento danni, che potranno essere sia di natura patrimoniale che non patrimoniale (c.d. danno esistenziale), indipendentemente dalla configurabilità di un reato.
Il danni patrimoniali sussistono nel caso in cui la persona ritratta (ad esempio, un personaggio famoso) avrebbe potuto ottenere un lucro utilizzando la fotografia a fini commerciali e promozionali.
La voce del danno non patrimoniale, invece, si riferisce a chiunque e consiste nel danno esistenziale o morale che la persona rappresentata ritenga di aver subito.

La persona che reputi di essere stata lesa dalla pubblicazione di una fotografia potrebbe anche tutelarsi sul piano del diritto penale, qualora si configuri il reato di cui all’art. 615 bis c.p. (“interferenze illecite nella vita privata”) secondo cui “chiunque, con l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procuri indebitamente notizie o immagini relative alla vita privata nell’abitazione (o in altro luogo privato), deve essere punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni”.

Qualche esempio:

Il comportamento tenuto dall’individuo, che ha pubblicato su Facebook le generalità e le foto del battesimo di un infante/minore, senza il preventivo consenso dei genitori del “neonato”, è idoneo a violare le norme di legge dettate a tutela della personalità altrui , “sub specie” di lesione della normativa a tutela dei minori, come approvata dalla convenzione di New York ,e recepita nel nostro ordinamento giuridico con la legge 27 maggio 1991 n. 176. Lo ha deciso il Giudice di Pace di Foggia, accogliendo la richiesta di risarcimento del “danno morale” , avanzata da una giovane coppia di neo-genitori foggiani nei confronti di un loro ex amico, reo di aver pubblicato sul proprio “profilo” di Facebook una serie di foto che ritraevano il bambino dei medesimi durante la celebrazione del battesimo e la festa al ristorante, alla quale egli stesso aveva partecipato come ospite/invitato.

Il giovane foggiano, convenuto in giudizio, si era difeso sostenendo di aver ricevuto un “implicito consenso” alla pubblicazione di quelle foto da parte dei genitori nonchè suoi ex amici, i quali, oltre ad averlo regolarmente invitato al “pranzo battesimale” in ristorante , non avevano avuto nulla da ridire nei confronti di quegli “scatti fotografici”, realizzati durante tutta la cerimonia relativa all’evento religioso. Di contro, i neo-genitori avevano sostenuto e provato, durante il giudizio, di non aver mai acconsentito alla “pubblicazione” delle foto del proprio minore su Facebook, a disposizione di pressoché chiunque volesse “accedere” alla loro visione ,“collegandosi” al link relativo al “Profilo” del loro ex amico ed inesperto “fotografo fai da te”.

Ed il Giudice di Pace di Foggia ha accolto la loro richiesta di risarcimento del danno , considerando illecita la pubblicazione su Facebook di quelle foto ed affermando, in sentenza, che “..l’ art. 16 della Convenzione di New York espressamente ribadisce, in armonia con i principi espressi dagli articoli 2 e 31 della Costituzione italiana , che nessun fanciullo sarà oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio o nella sua corrispondenza, e neppure di affronti illegali al suo onore e alla sua reputazione, e che il fanciullo ha diritto alla protezione della legge contro tali interferenze o tali affronti”. Il magistrato foggiano ha,poi, evidenziato come l’art. 3 della medesima Convenzione internazionale sottolinea che in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, della autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.

Pur essendo, pertanto, il servizio fotografico, pubblicato su Facebook, ad avviso dell’Autorità Giudicante, non tale da ledere la dignità del minore nè quella dei propri genitori, tuttavia, l’art. 16 della convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ratificata dall’Italia con la legge n. 176 del 1991, fa divieto di interferenze arbitrarie nella vita privata del minore ,quale è la pubblicazione della foto del bambino, in cui questi sia riconoscibile, salvo che la riproduzione dell’immagine non sia giustificata dall’utilità sociale della notizia, circostanza quest’ultima non ravvisabile nella fattispecie oggetto di valutazione . ( in tal senso vedasi Cassazione civile , sez. III, 05 settembre 2006, n. 19069; ed ancora Tribunale Milano, 12 luglio 2001). Proprio perché l’interesse superiore del fanciullo deve essere una “considerazione preminente”, il Giudice di Pace di Foggia ha concluso affermando che il consenso allo scatto fotografico non “implica” necessariamente la susseguente autorizzazione alla pubblicazione della foto che ritrae il minore , nè vale come scriminante dell’illecito di violazione del diritto all’ immagine del minore stesso (in questo senso vedasi, altresì, Cassazione penale , sez. V, 19 giugno 2008, n. 30664).
E quindi...postate e taggate con parsimonia!

Evi

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