Quando
ho del tempo da dedicare alla scrittura, come in questa
domenica che sonnecchia un po' come me, mi piace prendere le foto che
ho scattato e scriverci una storia, inventare personaggi, vite di
donne che traspaiono dai frammenti di un istante rubato
dall'obbiettivo.
Questa
è la foto che ho scelto oggi.
(Rovigno, Croazia - 2010)
E questa è la storia che mi ha ispirato.
Ogni
anno in agosto mi rifugio qui.
Mi
piacerebbe poter dire che cerco la solitudine, il silenzio... che ho
bisogno di dedicare finalmente del tempo a me stessa, dopo tanti mesi
di duro lavoro.
Invece
non è così.
Vivo
a ritmi molli, pur se cadenzati.
Ricopro
una posizione privilegiata in azienda, pur essendo una semplice
impiegata: non sono costretta a misurare i gesti, a dimostrare
forsennati ritmi di battitura sulla tastiera, cercando di distogliere
il meno possibile lo sguardo dallo schermo, per non essere redarguita
dal capo, implacabile sorvegliante attento che tutti i conti tornino.
Per
me i numeri sono davvero un'opinione. Posso permettermi di
disilludere le aspettative di chi calcola al minuto la giornata.
Perché io rappresento un'eccezione e allo stesso tempo un cliché,
duro a estinguersi.
Sono
l'amante del capo.
Sono
l'altra. Non quella di una sera, no – a volte immagino che sarebbe
stato meglio – invece sono quella della vita parallela, quella che
se ne sta docile ad aspettare il momento in cui qualcosa cambierà.
Mi
rendo conto che anche il tempo per me è un'opinione.
Forse
era meglio se facevo la filosofa, piuttosto che la contabile.
Ogni
anno mi rifugio in questo piccolo appartamento, che mi rispecchia.
Anche
lui sta in mezzo, in uno spazio ritagliato fra case di tutt'altra
importanza.
C'è
giusto questa finestra, unico affaccio alla luce, unica possibilità
di contatto col mondo. Da qui puoi osservare la vita nelle stanze
degli altri, assistere a scene familiari di una pacificante noia
mortale: bambini a fare la doccia, no, adesso, che poi si mangia,
caro digli qualcosa, pensaci tu, io non posso, cosa si mangia, tutti
a prendere il gelato... e il tempo passa.
Qui
dentro non ci sono voci di bimbo, non c'è nemmeno un cane o un gatto
perché a Lui non piacciono.
E
io rispetto i suoi desideri, non come la moglie che per accontentare
i bambini, gli ha imposto un cucciolo dispettoso che deve portar
fuori ogni sera (ma almeno a volte diventa la scusa per un incontro
fugace).
Ma
anche questo non basta a farlo migrare.
Ogni
anno mi rifugio in queste due stanze di false speranze.
Sono
io che migro assecondando i venti del suo volere.
Si,
lui è qui, nel paesino vicino. Con la famiglia, e pure il cane.
Ogni
tanto va a pesca, questo è quello che dice.
E
si rifugia con me qui dentro per qualche ora, provando a pescare un
po' di entusiasmo nei miei occhi annacquati dalla tristezza. Ovvio
che non glielo faccio pesare. Io devo essere una valida alternativa.
Così
anche le mie vacanze sono molli, ma cadenzate.
A
Lui va bene così. Lui scandisce il ritmo della mia vita.
Presenza,
assenza, presenza, assenza... io esisto se c'è, mi spengo se manca.
Guardo
in controluce questo bikini che ogni giorno indosso e stendo al filo
la sera, una volta liberato dai residui di una lunga giornata di
solitudine salmastra.
Una
volta era di un bel verde acceso, vivo e vibrante, mentre adesso è
sbiadito, sformato e vissuto, ma non riesco ad abbandonarlo, così
come Lui non abbandona la confortante morsa del suo vivere
quotidiano.
Io
mi sento come l'altro mio costume, quello nuovo, che giace ripiegato
su se stesso sul fondo del borsone da spiaggia. Mi piace, quando l'ho
comprato ne ero entusiasta, tipico colore sgargiante e modello molto
particolare, sexy, all'ultima moda: quante volte l'ho provato davanti
allo specchio, prima di partire, sicura che questa volta avrei osato
indossarlo, rinunciando all'abitudine di quello conosciuto.
Invece
poi trovo sempre mille scuse: si rovina, domani lo metto, per quella
spiaggia non va bene, aspetto la giornata in cui Lui si decide a
portarmi in quella caletta che conosce.
E
così arriva l'ultimo giorno di vacanza. Ed è tardi.
Se
non lo indossi subito poi non lo metti più, perché lascia meno
spazio all'immaginazione, è ridotto ai minimi termini e rivela segni
bianchi sulla pelle già abbronzata, che mostrano che qualcun altro
c'è stato prima, ha occupato quello spazio, ma in maniera più
sobria, più contenuta.
Sua
moglie è il costume di ogni giorno, un verde sbiadito di
consuetudini che non lasciano spazio al desiderio. O almeno questo è
quello che Lui sostiene, (e forse non gli credo più).
Io
sono il sexy bikini che potrebbe portare una ventata di novità, ma
ormai trova senso solo in una stanza, davanti allo specchio, senza
mai vedere la luce del sole, perché se fosse indossato dopo l'altro,
urlerebbe al mondo scomode verità.
L'estate
sta per finire. Stasera sento che sta cambiando il vento.
È
un po' che ci penso.
Qui
vicino c'è una spiaggia naturista. Non c'è bisogno di costumi.
Può
essere il modo di cancellare tutti i segni sulla pelle, per ripartire
da zero.
Domani
ci vado.
Non
aspetterò le briciole di tempo dell'ultimo giorno prima del rientro.
Non assisterò alla telefonata di richiamo per preparare le valigie,
calmare i bambini e portare fuori il cane.
È
la prima decisione autonoma da anni.
Mi
sento già meglio. E forse, chissà... al rientro, farò la
filosofa.
O
la contabile... ma sul serio.
Una
riga e si tirano le somme.
Se
i conti non tornano, è l'ora di cambiare metodo... e aria.
Buona
settimana, soprattutto a coloro che sono in procinto di seguire venti diversi, per scoprire nuove terre da esplorare.
virginia
N. Fabi, M. Gazzé - Vento d'estate
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