Un po' di tempo fa vi ho parlato della
mia passione di fotografare finestre e panni stesi ad asciugare
(qui).
Qualche weekend fa, durante una gita a
Chioggia ho immortalato questo scorcio di calle che mi ha affascinato
per questo curioso modo di stendere i pantaloni sul filo sospeso.
Subito mi è sorto un titolo “Gambe
all'aria” e immediatamente si sono accavallate dentro di me
associazioni di tenore opposto: da un lato mi ha fatto sorridere e
dall'altro no.
Nell'uso comune si è soliti indicare con
questa espressione una caduta improvvisa che dopo averti tolto
l'equilibrio ti manda letteralmente col sedere per terra se non a
capo all'ingiù.
Fa pensare a una gag ironica o anche a un
ruzzolone infantile.
Ma cosa succede quando a gambe all'aria
ci andiamo perché qualcosa o qualcuno ci scaraventa a terra con una
forza che ci travolge?
Nella mia stanza di terapia accolgo molte
persone che si trovano metaforicamente in questa situazione.
A volte si rivolgono a me subito dopo
essersi rialzati, doloranti e ammaccati, ma capaci di camminare
ancora con le proprie gambe.
Altre volte invece mi trovo ad
intervenire ancora prima, come se potessi avvicinarmi a quella
persona ancora a terra e con manovre di cautela – proprio come
accade in quelle scene che cogli passando per strada dopo un
incidente d'auto o moto – accertarmi che sia possibile qualche
movimento, per poi curare le ferite e pian piano tornare a camminare
di nuovo.
Sono molti gli eventi della vita che
“obbligano” a cadute, soste prolungate, superamento di ostacoli o
cambiamenti di rotta.
Il filo sospeso che tiene insieme tutte
queste situazioni è quello della sofferenza e del dolore.
Aggancia identità e storie senza un
criterio apparente, lasciando senza fiato chi si trova catapultato
“ad inferos”.
Qualcuno pensa che sia la disfatta e si
arrende, qualcun altro lotta con tutte le proprie forze anche se si
sente come una tartaruga capovolta che non trova più la via per
raddrizzarsi.
Ed è proprio questa metafora che mi ha
fatto venire in mente una vignetta che avevo salvato molto tempo fa
Quella che all'apparenza può sembrare un
messaggio ilare e fin troppo ottimistico, nasconde una grande
verità.
Quando siamo simbolicamente a gambe
all'aria, se non ci lasciamo sopraffare dall'ansia e dallo sconforto,
o magari subito dopo esserci lasciati sopraffare e averli elaborati,
ci possiamo rendere conto che da lì si possono osservare le cose da
una diversa prospettiva.
Qualcuno mi dice “tutto questo in
realtà c'era anche prima ma io non lo coglievo, o non volevo
coglierlo” oppure “in tutta questa situazione ho scoperto mie
risorse (o persone vicino a me) che non avrei mai creduto possibili”
e ancora “una volta attraversata questa crisi che all'inizio
combattevo, ho capito che era necessaria per cambiare finalmente in
maniera radicale molte cose che non andavano più bene o equilibri
precari”.
La qualità che maggiormente si impara
dopo un'esperienza che ribalta tutte le certezze è la resilienza (ne
avevamo parlato anche qui) ovvero la capacità di riscoprirsi più
solidi di prima, perché ciò che è accaduto ha permesso – una
volta elaborato – di accedere a una maggiore riorganizzazione e
armonizzazione delle proprie caratteristiche interiori.
Se siamo disposti ad aprirci a nuovi
punti di vista possiamo scoprire il dono trasformativo di ogni
evento, anche quello che all'apparenza sembra solo un errore, un
problema o una avversità.
buona settimana
virginia
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