lunedì 11 dicembre 2017

il coraggio del cambiamento



Il cambiamento è ciò che maggiormente cerchiamo e allo stesso tempo temiamo nelle nostre vite.
Molte delle richieste di colloquio nella stanza di terapia avvengono da parte di persone che si trovano in questa vischiosa terra di mezzo: guardando indietro ci sono molte cose che non rendono più felici, non sono più soddisfacenti e appaganti per la persona che siamo oggi, ma guardando avanti c'è solo l'incognita di qualcosa di sconosciuto, densa di molti interrogativi sulla persona che vogliamo diventare.

Nel mio lavoro osservo che quando questo processo è in atto, in realtà è qualcosa di irreversibile: qualcuno ci prova a non vedere, non sentire, non agire, ma la spinta diventa in questo modo sempre più intensa e rischia di diventare un sintomo-sofferenza che chiede di essere ascoltato, spesso a qualsiasi costo.

Dove nasce la difficoltà di cambiare?
Penso che nasca dalla convinzione/bisogno infantile di credersi coerenti e sicuri nell'identificarsi con aspetti di sé conosciuti e irrevocabili.
Vi spiego meglio.

Quando siamo piccoli cominciamo a conoscere il mondo e noi stessi alla ricerca di punti fermi che ce lo rendano meno pericoloso e incerto.
Apprendiamo che se siamo in un certo modo o ci comportiamo in una data maniera, accadrà qualcosa di prevedibile e diciamo “controllabile” a priori.
Quindi cominciamo a mettere in atto strategie di adattamento che nel tempo diventano copioni di vita.
In parole semplici, ripetiamo quello che ha funzionato.

Facciamo un esempio.
Di fronte a una certa persona so che se voglio evitare lo scontro devo agire in quel modo che conosco perché l' ho testato nel tempo.
Magari il mio bisogno di evitare il litigio è nato quando ero piccolo e non avrei avuto la possibilità di spuntarla rispetto a un genitore che imponeva il suo volere (sia in maniera diretta con i veti, ma anche in maniera indiretta, dimostrandosi a sua volta bisognoso o sofferente).
Da lì, in maniera automatica, ogni volta che mi trovo con una persona simile nei comportamenti e atteggiamenti al genitore tenderò a riproporre lo stesso schema, anche se oggi potrei fare altrimenti.
Il bisogno prevalente di evitare il conflitto fa parte di quelli infantili, perché legati al timore di perdere l'amore o essere rifiutati da coloro dai quali dipendiamo.
Ma allo stesso tempo, tenendo conto solo di quello, rinunciamo ad altri tipi di bisogni che c'erano già nell'infanzia e che nel tempo si strutturano e maturano con noi, come il bisogno di affermare se stessi, essere rispettati per le nostre posizioni, essere riconosciuti nelle nostre necessità di autorealizzazione.
Semplificando, finiamo per comportarci con il partner, il capo o un amico, come ci comportavamo a cinque anni con il genitore in questione.
La convinzione sottostante e inconscia che fa agire così potrebbe essere una cosa del tipo “non posso litigare con te perché...” “mi schiaccerai/ mi rifiuterai/ ti distruggerò/ finirà tutto/ non l'avrò mai vinta...” ecc... a seconda dell'esperienza dell'infanzia percepita.

Finché il copione e le relative convinzioni restano inconsci, nessun cambiamento sarà possibile.
Nella terra di mezzo dell'insoddisfazione riusciremo a sentire che qualcosa dentro si ribella ma non saremo in grado di dargli spazio come dovremmo.
Perché questo spazio è la parte adulta che deve autorizzarselo.
Occorre modificare il punto di vista, da quello immaturo a quello maturo.
La parte adulta si può concedere un comportamento differente perché sfatando i miti dell'infanzia, si accorge che non accadrà nulla di così catastrofico.
Ma soprattutto può fare esperienza diretta che si può sopravvivere – anzi, vivere meglio – anche senza quelle rigide convinzioni che attanagliano, scoprendo che nella mancanza di certezze, la vita acquista finalmente fluidità e creatività.

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