lunedì 18 novembre 2013

Riflessioni a voce alta per genitori di adolescenti




[…] i giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. […]

Le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare, solo il mercato si interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento e del consumo, dove ciò che si consuma non sono tanto gli oggetti che di anno in anno diventano obsoleti, ma la loro stessa vita, che più non riesce a proiettarsi in un futuro capace di far intravedere una qualche promessa.

Il presente diventa un assoluto da vivere con la massima intensità, non perché questa intensità procuri gioia, ma perché promette di seppellire l'angoscia che fa la sua comparsa ogni volta che il paesaggio assume i contorni del deserto di senso.”

(U. Galimberti “L'ospite inquietante” 2007 pag. 11)


Chi ci segue sulla pagina fb del “Progetto Wonder Woman” sa che questa è la settimana in cui ci troveremo per affrontare un tema delicato e complesso, quello della comunicazione e del rapporto con i figli adolescenti, tema che comunque ha già provato a insinuarsi nelle serate precedenti, perché è inevitabile che la responsabilità di essere genitore faccia capolino ogniqualvolta una donna si interroghi su “che cosa è bene per me? Quali sono i miei bisogni?”.

Inutile opporre resistenza a quelle domande che subito emergono come un contrappasso: “E loro? È giusto anteporli a tutto? È corretto chiedere di comprendere che anche il genitore ha delle necessità che possono scontrarsi con le loro? Ma poi, devono comprendere o semplicemente accettare? E se poi soffrono? E che esempio posso dargli? E cosa succederà? Mi amerà ancora?”

Potrei continuare all'infinito, perché nell'elucubrazione genitoriale gli interrogativi sul da farsi non sono mai abbastanza, ti assalgono quando meno te lo aspetti, mossi anche solo da uno sguardo di quella tua creatura che a volte sembra osservare solo per coglierti in fallo...

Come scriveva qualche giorno fa Daria Bignardi su Vanity Fair (la trovi qui):

Nessuno ti fa crescere, capire chi sei, nessuno ti mette in crisi e ti guarda dentro come un figlio. I figli ti mettono con le spalle al muro. Se sei scemo, se sei egoista, se sei pigro, se sei superficiale, se sei nevrotico, un figlio te lo fa capire.

Questo è quello che succede nel confronto con un adolescente, che ha sete di valori assoluti, che cerca modelli cui tendere, ma allo stesso tempo ha bisogno di distruggere dentro di sé quell'immagine di mamma e papà onnipotenti, onniscienti, onnipresenti della sua infanzia.

[...] è quando tuo figlio (l'angelo inetto che ti faceva sentire dio perché lo nutrivi e lo proteggevi: e ti piaceva crederti potente e buono) si trasforma in un tuo simile, in un uomo, una donna, insomma in uno come te, è allora che amarlo richiede le virtù che contano. La pazienza, la forza d'animo, l'autorevolezza, la severità, la generosità, l'esemplarità... troppe, troppe virtù per chi nel frattempo cerca di continuare a vivere”

(M. Serra “Gli sdraiati” 2013 pag. 21)

È così che tu genitore ti ritrovi impotente.

Ti sembra di parlare a un muro di gomma che implacabile ti rimanda indietro qualsiasi parola tu gli scagli contro, in più con gli interessi, perché anche quell'episodio, testimonianza di un tuo limite, che pensavi (speravi) fosse passato inosservato anni prima, o che gli avevi raccontato per fargli accettare una sua fragilità, torna prepotentemente alla ribalta, sottolineato, esasperato e usato come un arma.

Oppure ti trovi a fare i conti con il silenzio, i non detti o le bugie, arma bianca che taglia ogni possibilità di incontro, di dialogo, di vicinanza.

E il paradosso è che tutto questo sta succedendo perché questo figlio lo vuoi aiutare.

Perché senti sul tuo cuore il peso del suo malessere e vorresti alleggerirlo, prenderlo su di te come facevi da bambino, quando lo accoglievi in braccio e bastava quello per donargli pace.

Adesso il rapporto con te passa solo attraverso l'oggetto tecnologico del momento, prolungamento sociale di sé (verso il mondo) e verso di te (in quanto esauditore di desideri), come se quelle onde wireless davvero bastassero a colmare le distanze.

In alternativa c'è l'arcobaleno di filigrana che sta nel tuo portafoglio, per la cui richiesta per lo meno c'è uno scambio diretto di sillabe giornaliero.

Così mentre tu frequenti corsi per imparare a stare nel “qui e ora”, per non farti cogliere dall'ansia e dalle preoccupazioni galoppanti di questi tempi cupi, ti accorgi che tuo figlio sa vivere solo nell'oggi, che sembra non accorgersi di quello che ogni giorno ci viene bombardato su tutti i fronti e il domani pare non sfiorarlo... dorme, ascolta suoni da microcuffie ma non le parole che escono dalla tua bocca, chatta ma non parla, studia (...studia?? diventa il tuo pallino ma non il suo).

Per lui o lei esistono solo la sua passione del momento, i suoi amici, le sue idiosincrasie quotidiane e in continua mutazione...

Ti ritrovi a condividere pensieri che non avresti mai creduto, quelle frasi da vecchia generazione che non può fare a meno di esclamare “ai miei tempi...” e per la prima volta simpatizzi coi tuoi genitori, li vedi con altri occhi quando tu eri al posto di tuo figlio e loro quelli che impazzivano.

Ma davvero impazzivano? O sfiora anche a te, come a Serra, “il forte sospetto – quasi una certezza – che le generazioni precedenti, quanto all'arte di non farsi sopraffare dai figli, fossero molto più attrezzate della nostra”? (Serra, pag. 21)

E “Se – invece - un qualche radicale cambiamento dell'assetto neuronale avesse prodotto non un normale avvicendarsi di culture e di mode e di pensieri, ma una separazione definitiva tra il passato e il futuro degli umani? (Serra, pag. 32)

 
La risposta forse può darcela Galimberti: si tratta, purtroppo, di una crisi della società.

Un cambiamento di segno del futuro: dal futuro-promessa al futuro-minaccia. E siccome la psiche è sana quando è aperta al futuro, […] quando il futuro chiude le sue porte, o se le apre, è solo per offrirsi come incertezza, precarietà, insicurezza, inquietudine, allora, come dice Heiddeger, «il terribile è già accaduto», perché le iniziative si spengono, le speranze appaiono vuote, la demotivazione cresce, l'energia vitale implode” (pag. 26).

In una frase “meglio star bene e gratificarsi oggi se il domani è senza prospettiva” (pag. 28) che sembra quasi il dictat dei nuovi giovani. 
Possiamo ipotizzare ancora, che loro, come noi alla loro età, scrutino il mondo adulto come un regno da espugnare? E che il “conflitto” fra giovani e vecchi avvenga sullo stesso campo di battaglia?

In questa nostra realtà dove nessun adulto può e vuole invecchiare, dove la lotta all'ultimo posto di lavoro è un affare che riguarda più i grandi che i giovani, dove nessuno può andare più in pensione per lasciar spazio alle nuove generazioni, dove tutto il mondo è paese e resta poco da scoprire, dove genitori e figli fanno le stesse esperienze perché siamo “come amici”, con questi orizzonti davanti agli occhi, quale speranza di un mondo da conquistare si apre per loro? E come possiamo aiutarli?

Prendo ancora a prestito le parole di Galimberti

  • Non interrompete mai la comunicazione, buona o cattiva che sia, qualunque cosa i vostri figli facciano” (pag. 42)
  • tra una palestra e un corso di nuoto, perché bisogna crescere con un bel corpo, tra una spiegazione ora sbrigativa, ora un po' imbrogliata, perché bisogna diventare intelligenti, quanto passa tra genitori e figli di quella comunicazione indiretta per cui si sente nella pancia, prima che nella testa, che del padre e della madre ci si può fidare, perché li si avverte al nostro fianco, nei primi momenti un po' impacciati della vita? Cura del corpo, cura dell'intelligenza, ma quanta cura dell'anima?” (pag. 46)
  • i giovani, anche se mai lo confesseranno, attendono qualcosa o qualcuno che li traghetti, perché il mare che attraversano è minaccioso, anche quando il suo aspetto è trasognato” (pag. 55)
Non so se la risposta sta per tutti sul Colle della Nasca (non voglio togliervi il piacere della lettura de “Gli sdraiati”!), ma compito di un genitore potrebbe essere quello di permettere al figlio di vedere nuovi orizzonti, accettare che faccia il suo cammino, la sua strada e vada oltre, voltarsi e non vederlo, perché non è più dietro ma davanti a te, ti ha superato, con le sue scarpe che a te paiono inadeguate e coi suoi percorsi fuori dalla “via maestra” che avevi studiato per lui, ce l'ha fatta, non sei più tu quello che sa tutto, che conduce, ma può voltarsi, cercarti e specchiarsi nel tuo sguardo, e leggerci comunque un “sono fiero di te, adesso vai avanti da solo".

I giovani hanno bisogno di sentire che crediamo in loro, nonostante tutto.


Dove andiamo non lo so,
ma dobbiamo andare”

(J. Kerouac)

buona settimana
virginia

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