“ […]
i giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. […]
Le
famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare, solo il
mercato si interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento
e del consumo, dove ciò che si consuma non sono tanto gli oggetti
che di anno in anno diventano obsoleti, ma la loro stessa vita, che
più non riesce a proiettarsi in un futuro capace di far intravedere
una qualche promessa.
Il
presente diventa un assoluto da vivere con la massima intensità, non
perché questa intensità procuri gioia, ma perché promette di
seppellire l'angoscia che fa la sua comparsa ogni volta che il
paesaggio assume i contorni del deserto di senso.”
(U.
Galimberti “L'ospite inquietante” 2007 pag. 11)
Chi ci
segue sulla pagina fb del “Progetto Wonder Woman” sa che
questa è la settimana in cui ci troveremo per affrontare un tema
delicato e complesso, quello della comunicazione e del rapporto con i
figli adolescenti, tema che comunque ha già provato a insinuarsi
nelle serate precedenti, perché è inevitabile che la responsabilità
di essere genitore faccia capolino ogniqualvolta una donna si
interroghi su “che cosa è bene per me? Quali sono i miei
bisogni?”.
Inutile
opporre resistenza a quelle domande che subito emergono come un
contrappasso: “E loro? È giusto anteporli a tutto? È corretto
chiedere di comprendere che anche il genitore ha delle necessità che
possono scontrarsi con le loro? Ma poi, devono comprendere o
semplicemente accettare? E se poi soffrono? E che esempio posso
dargli? E cosa succederà? Mi amerà ancora?”
Potrei
continuare all'infinito, perché nell'elucubrazione genitoriale gli
interrogativi sul da farsi non sono mai abbastanza, ti assalgono
quando meno te lo aspetti, mossi anche solo da uno sguardo di quella
tua creatura che a volte sembra osservare solo per coglierti in
fallo...
Come
scriveva qualche giorno fa Daria Bignardi su Vanity Fair (la trovi
qui):
Nessuno
ti fa crescere, capire chi sei, nessuno ti mette in crisi e ti guarda
dentro come un figlio. I figli ti mettono con le spalle al muro. Se
sei scemo, se sei egoista, se sei pigro, se sei superficiale, se sei
nevrotico, un figlio te lo fa capire.
Questo
è quello che succede nel confronto con un adolescente, che ha sete
di valori assoluti, che cerca modelli cui tendere, ma allo stesso
tempo ha bisogno di distruggere dentro di sé quell'immagine di mamma
e papà onnipotenti, onniscienti, onnipresenti della sua infanzia.
“[...]
è quando tuo figlio (l'angelo inetto che ti faceva sentire dio
perché lo nutrivi e lo proteggevi: e ti piaceva crederti potente e
buono) si trasforma in un tuo simile, in un uomo, una donna, insomma
in uno come te, è allora che amarlo richiede le virtù che contano.
La pazienza, la forza d'animo, l'autorevolezza, la severità, la
generosità, l'esemplarità... troppe, troppe virtù per chi nel
frattempo cerca di continuare a vivere”
(M.
Serra “Gli sdraiati” 2013 pag. 21)
È
così che tu genitore ti ritrovi impotente.
Ti
sembra di parlare a un muro di gomma che implacabile ti rimanda
indietro qualsiasi parola tu gli scagli contro, in più con gli
interessi, perché anche quell'episodio, testimonianza di un tuo
limite, che pensavi (speravi) fosse passato inosservato anni prima, o
che gli avevi raccontato per fargli accettare una sua fragilità,
torna prepotentemente alla ribalta, sottolineato, esasperato e usato
come un arma.
Oppure
ti trovi a fare i conti con il silenzio, i non detti o le bugie, arma
bianca che taglia ogni possibilità di incontro, di dialogo, di
vicinanza.
E il
paradosso è che tutto questo sta succedendo perché questo figlio lo
vuoi aiutare.
Perché
senti sul tuo cuore il peso del suo malessere e vorresti
alleggerirlo, prenderlo su di te come facevi da bambino, quando lo
accoglievi in braccio e bastava quello per donargli pace.
Adesso
il rapporto con te passa solo attraverso l'oggetto tecnologico del
momento, prolungamento sociale di sé (verso il mondo) e verso di te
(in quanto esauditore di desideri), come se quelle onde wireless
davvero bastassero a colmare le distanze.
In
alternativa c'è l'arcobaleno di filigrana che sta nel tuo
portafoglio, per la cui richiesta per lo meno c'è uno scambio
diretto di sillabe giornaliero.
Così
mentre tu frequenti corsi per imparare a stare nel “qui e ora”,
per non farti cogliere dall'ansia e dalle preoccupazioni galoppanti
di questi tempi cupi, ti accorgi che tuo figlio sa vivere solo
nell'oggi, che sembra non accorgersi di quello che ogni giorno ci
viene bombardato su tutti i fronti e il domani pare non sfiorarlo...
dorme, ascolta suoni da microcuffie ma non le parole che escono dalla
tua bocca, chatta ma non parla, studia (...studia?? diventa il tuo
pallino ma non il suo).
Per
lui o lei esistono solo la sua passione del momento, i suoi
amici, le sue idiosincrasie quotidiane e in continua
mutazione...
Ti
ritrovi a condividere pensieri che non avresti mai creduto, quelle
frasi da vecchia generazione che non può fare a meno di esclamare
“ai miei tempi...” e per la prima volta simpatizzi coi tuoi
genitori, li vedi con altri occhi quando tu eri al posto di tuo
figlio e loro quelli che impazzivano.
Ma
davvero impazzivano? O sfiora anche a te, come a Serra, “il
forte sospetto – quasi una certezza – che le generazioni
precedenti, quanto all'arte di non farsi sopraffare dai figli,
fossero molto più attrezzate della nostra”? (Serra, pag. 21)
E
“Se – invece - un qualche radicale cambiamento dell'assetto
neuronale avesse prodotto non un normale avvicendarsi di culture e di
mode e di pensieri, ma una separazione definitiva tra il passato e il
futuro degli umani? (Serra, pag. 32)
La
risposta forse può darcela Galimberti: si tratta, purtroppo, di una
crisi della società.
“Un
cambiamento di segno del futuro: dal futuro-promessa al
futuro-minaccia. E siccome la psiche è sana quando è aperta al
futuro, […] quando il futuro chiude le sue porte, o se le apre, è
solo per offrirsi come incertezza, precarietà, insicurezza,
inquietudine, allora, come dice Heiddeger, «il
terribile è già accaduto»,
perché le iniziative si spengono, le speranze appaiono vuote, la
demotivazione cresce, l'energia vitale implode”
(pag. 26).
In
una frase “meglio star bene e
gratificarsi oggi se il domani è senza prospettiva”
(pag. 28) che sembra quasi il dictat dei nuovi giovani.
Possiamo
ipotizzare ancora, che loro, come noi alla loro età, scrutino il
mondo adulto come un regno da espugnare? E che il “conflitto” fra
giovani e vecchi avvenga sullo stesso campo di battaglia?
In
questa nostra realtà dove nessun adulto può e vuole invecchiare,
dove la lotta all'ultimo posto di lavoro è un affare che riguarda
più i grandi che i giovani, dove nessuno può andare più in
pensione per lasciar spazio alle nuove generazioni, dove tutto il
mondo è paese e resta poco da scoprire, dove genitori e figli fanno
le stesse esperienze perché siamo “come amici”, con questi
orizzonti davanti agli occhi, quale speranza di un mondo da
conquistare si apre per loro? E come possiamo aiutarli?
Prendo
ancora a prestito le parole di Galimberti
- “Non interrompete mai la comunicazione, buona o cattiva che sia, qualunque cosa i vostri figli facciano” (pag. 42)
- “tra una palestra e un corso di nuoto, perché bisogna crescere con un bel corpo, tra una spiegazione ora sbrigativa, ora un po' imbrogliata, perché bisogna diventare intelligenti, quanto passa tra genitori e figli di quella comunicazione indiretta per cui si sente nella pancia, prima che nella testa, che del padre e della madre ci si può fidare, perché li si avverte al nostro fianco, nei primi momenti un po' impacciati della vita? Cura del corpo, cura dell'intelligenza, ma quanta cura dell'anima?” (pag. 46)
- “i giovani, anche se mai lo confesseranno, attendono qualcosa o qualcuno che li traghetti, perché il mare che attraversano è minaccioso, anche quando il suo aspetto è trasognato” (pag. 55)
Non
so se la risposta sta per tutti sul Colle della Nasca (non voglio
togliervi il piacere della lettura de “Gli sdraiati”!), ma
compito di un genitore potrebbe essere quello di permettere al figlio
di vedere nuovi orizzonti, accettare che faccia il suo cammino, la
sua strada e vada oltre, voltarsi e non vederlo, perché non è più
dietro ma davanti a te, ti ha superato, con le sue scarpe che a te
paiono inadeguate e coi suoi percorsi fuori dalla “via maestra”
che avevi studiato per lui, ce l'ha fatta, non sei più tu quello che
sa tutto, che conduce, ma può voltarsi, cercarti e specchiarsi nel
tuo sguardo, e leggerci comunque un “sono fiero di te, adesso vai avanti da solo".
I
giovani hanno bisogno di sentire che crediamo in loro, nonostante
tutto.
“Dove
andiamo non lo so,
ma
dobbiamo andare”
(J.
Kerouac)
buona
settimana
virginia
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