(Marc Chagall e la moglie Bella)
Ancora
in ottobre, in occasione del post sulla mostra “Dialogo nel buio”
(qui) vi avevo anticipato che avrei parlato presto anche dell'altra
mostra visitata in quell'occasione: Marc Chagall, una retrospettiva.
Ci
ho messo un po' perché ho voluto leggere anche la sua autobiografia, ovvero “Ma
vie”
edita da SE.
Volevo
entrare nella vita di quest'uomo che ha fatto della sua arte un
susseguirsi di scenari onirici, dove i personaggi sono reali ma allo
stesso tempo potrebbero appartenere all'inconscio, protagonisti di un
immaginario intimo che si fa pittura concreta sulla tela.
Fedele
al metodo analitico, passeggiando per le sale di Palazzo Reale, ho
lasciato che le tele mi “parlassero”, ho osservato i
particolari, i colori, i soggetti e associato le tematiche con i dettagli della vita del maestro, che la voce della curatrice mi
narrava, attraverso le cuffie dell'audio guida.
L'aspetto
che più mi ha incuriosita è stato il tema del “sottosopra”.
Già
a partire dal quadro “Io e il mio paese” (1912) c'è una donna
capovolta, sulla strada di Vitebsk, di fronte al volto dell'uomo
verde che rappresenta il pittore.
Qualche
anno dopo, un autoritratto, “l'uomo con la testa rovesciata”
(1919) che mostra il pittore sui tetti, mentre guarda il mondo da altre
prospettive, non solo dall'alto, ma anche al rovescio.
E' curioso che la firma sia in alto a sinistra, pure lei rovesciata, "cosicché si possa interpretare il quadro sia in un senso che nell'altro" mi sono detta. Da qui il dubbio: qual è il senso corretto? Chi può deciderlo?
Finché
sono giunta in una sala più piccola, piena di tavole minuscole,
disegnate su carta, bozzetti preparati apposta per la sua autobiografia.
Ecco
che incontro ancora il pittore a testa in giù (Al cavalletto –
tav. 18)
e poi vengo rapita da un altro disegno che purtroppo non è
presente né fra le tavole del libro, né sono riuscita a trovarlo
online: rappresenta la nascita di Chagall, precisamente il momento in
cui lui e sua madre vengono tratti in salvo dall'incendio che si è
propagato poco dopo che ha visto la luce.
“la
prima cosa che mi è saltata agli occhi è stata una tinozza. […]
Io
non me ne ricordo – è stata mia madre a raccontarmelo – ma
proprio al momento della mia nascita, nei pressi di Vitebsk, in una
casupola, vicino all'argine, dietro una prigione, scoppiò un grande
incendio.
La
città bruciava, il quartiere dei poveri ebrei.
Hanno
trasportato il letto e il materasso, la mamma col piccolo ai suoi
piedi in un luogo sicuro, all'estremità opposta della città.”
(Ma
vie, pag. 11-12)
“la
mamma col piccolo ai suoi piedi”
ecco la chiave di lettura che mi ha aperto una possibile “teoria”.
Il
rapporto con la madre è il primissimo imprinting delle nostre
relazioni future e del modo di vedere il mondo.
In
una ricostruzione immaginata, aiutato dal racconto della madre e
attingendo da frammenti inconsci di un evento impossibile da
ricordare in maniera consapevole, Chagall disegna la scena dove lui è
un fagottino dentro una tinozza ai piedi di sua madre, mentre uomini
forti la trasportano con il letto, salvandoli.
Mi
piace pensare che il mondo per lui sia rimasto “capovolto” a
partire da quella traumatica esperienza precoce.
Lui
stesso ci racconta:
“ma,
innanzitutto, io sono nato morto.
Non
ho voluto vivere. Immaginate una vescichetta bianca che non voglia
vivere. Come se si fosse rimpinzata di quadri di Chagall. L'hanno
punta con spilli, l'hanno tuffata in un secchio d'acqua. Alla fine
emette un fievole pigolio.
In
sostanza, sono nato morto.
Vorrei
che gli psicologi non traessero da questo conseguenze disdicevoli.
Per favore!”
(pag.
12)
In
realtà, da queste parole si possono trarre importantissime notizie
che ci aiutano a capire il processo di quel genio, una “vescichetta”
già piena di tutta l'arte possibile, pura creatività in potenza.
Testimonianza
che il Sé, il seme della sua essenza fosse già presente, fin da
principio.
Mi
sono detta che l'esser posto ai piedi della madre, amore primordiale,
guardandola dal basso verso l'alto, possa avere un significato nel
suo tentativo attraverso l'arte, di capovolgere quell'essere venuto
al mondo in un modo così bizzarro e pericoloso.
“ecco
l'anima mia. Cercatemi qui, eccomi, ecco i miei quadri, la mia
nascita.” […] “vorrei dire che il mio talento s'era nascosto in
lei, da qualche parte, che tutto mi veniva trasmesso attraverso di
lei, tranne il suo spirito”
(pag.
19)
La
madre che lo voleva commesso, che non capiva quell'arte che gli
pulsava nelle vene, ma anche la stessa madre onnipotente –
soprattutto se la si legge nella cultura ebraica – diventata regina una volta morta la nonna, capace di
prevedere nei sogni le malattie dei suoi otto figli, che a lui
primogenito si era appoggiata per superare la solitudine e liberarsi
il cuore. In un certo senso è stato ai suoi piedi per la maggior parte della sua vita, finché non ha avuto il coraggio di andarsene e seguire la sua vocazione.
Non
mi stupisce così di trovarlo a testa in giù di fronte agli altri amori della
sua vita: la pittura e Bella, sua compagna di una vita.
Ma forse è proprio l'incontro con Bella che riesce a fargli modificare la prospettiva: nel famoso “la passeggiata” (1918) è lui a trovarsi coi piedi
per terra e capovolgere la situazione mostrata ne “il compleanno”
(1915) scena nella quale lui fluttua in cerca di un bacio dell'amata,
proponendo la conosciuta contorsione prospettica dal basso all'alto.
Questo
mi ha fatto riflettere a lungo, trovando al solito dei parallelismi con
il lavoro terapeutico.
Le
nostre esperienze precoci ci abituano a leggere eventi e situazioni
da una sola prospettiva, proprio come Chagall, spesso ci troviamo a
voler vivere attraverso contorsionismi che riconducano a qualcosa di
conosciuto, anche se potremmo avere uno sguardo più semplice e diretto al
mondo.
A
volte pensiamo che quel modo di fare o di essere sia la cosa più
spontanea mentre è solo la maniera che abbiamo creato per adattarsi
al meglio a piccoli o grandi traumi della vita.
Se
quel ragazzino già pieno di arte non si fosse ribellato al suo
destino di commesso, chissà che tipo di vita avrebbe vissuto?
La
vita di quest'uomo mi ha dato l'occasione di vedere all'opera
l'energia del Sé, il nucleo originario che ciascuno possiede e che
chiede di essere espresso nella nostra vita, secondo un disegno che è
già dentro, pena la sofferenza se non viene realizzato.
Inoltre
si può vedere anche la forza risanatrice dell'amore, di come un
rapporto profondo e sano possa far tornare coi piedi per terra, ristabilendo un equilibrio che poi riesca a far volare insieme
(Sulla città - 1914-18)
e permettere allo stesso tempo alla felicità di metter radici.
buona settimana
virginia