Orbene,
nonna strega (se hai perso la prima parte la trovi qui) mi aveva invitato a guardare con occhi puri e audacia la
realtà per andare al di là di ciò che appare...di andare oltre il
famoso velo di Maya.
Riprendo
il vecchio manuale di filosofia e mi immergo quindi nello studio di
Schopenhauer , il filosofo che riprese il concetto del velo di Maya.
Schopenhauer
ricava da Kant i concetti di fenomeno e noumeno.
Il
fenomeno è il prodotto della nostra coscienza, esso è il
mondo come ci appare, mentre il noumeno è la cosa in sé,
fondamento ed essenza vera del mondo.
Il
fenomeno materiale è dunque per Schopenhauer solo parvenza,
illusione, sogno: tra noi e la vera realtà è come se vi fosse uno
schermo che ce la fa vedere distorta e non come essa è veramente: il
velo di Maya di cui parla la filosofia indiana, alla quale
Schopenhauer spesso si rifà.
Il
mondo dunque è una propria rappresentazione, una propria illusione
ottica. Schopenhauer ritiene che la rappresentazione, cioè la realtà
che ci si para davanti, sia nient'altro che una fotocopia mal
inchiostrata, celante la vera realtà delle cose (da questa
asserzione traspare l'influenza dello studio di Platone).
Per
poter giungere alla realtà noumenica, quella vera, non si può
quindi percorrere la strada della conoscenza razionale.
Secondo
il filosofo, è attraverso il corpo che scopriamo che la realtà
delle cose ci concerne, siamo nel mondo come una sua parte; difatti
vogliamo, desideriamo certe cose e certe altre le evitiamo,
rifuggiamo il dolore e ricerchiamo il piacere.
Proprio
questo ci permette di squarciare il velo del fenomeno e cogliere la
cosa in sé. Infatti, ripiegandoci in noi stessi, scopriamo che la
radice noumenica del nostro io è la volontà: noi siamo volontà di
vivere, un impulso irrazionale che ci spinge, malgrado noi stessi, a
vivere e ad agire. Tuttavia la volontà di vivere produce
incessantemente nell'uomo bisogni che richiedono soddisfazione:
desideri, che sono dunque reazione ad un senso di mancanza, di
sofferenza.
Difficilmente
tutti i desideri si realizzano, e la mancata realizzazione di alcuni
di essi causa un'ulteriore, più acuta sofferenza. Ma, anche quando
un desiderio viene soddisfatto, il piacere che ne deriva risulta
essere solo di natura negativa, soltanto, cioè, un alleviamento
della sofferenza provocata da quel prepotente bisogno iniziale;
bisogno che subito riappare in altra forma, pronto a pungolare con
nuovi desideri l'affannata coscienza umana.
E
quando pure l'uomo non viva nel bisogno fisico e nella miseria,
quando nessun effimero desiderio (invidia, vanità, onore, vendetta)
gli riempia i giorni e le ore, subito la noia, la più orrenda
e più angosciosa di tutte le sofferenze, si abbatte su di lui:
«Col
possesso, svanisce ogni attrattiva; il desiderio rinasce in forma
nuova e, con esso, il bisogno; altrimenti, ecco la tristezza, il
vuoto, la noia, nemici ancor più terribili del bisogno.»
«La
vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e
dolore, con intervalli fugaci, e per di più illusori, di piacere e
gioia.»
La
vita umana è quindi un alternarsi di dolore e di noia, passando per
la momentanea sensazione meramente negativa del piacere.
Il
dolore è la realtà prima, e la felicità non è che la negazione di
questo positivo ontologico e antecedente cronologico, per cui la
negatività della felicità sta nel fatto che sarà sempre
liberazione da un desiderio, un dolore, un bisogno (sempre deficiente
rispetto all'incolmabilità del desiderio).
Questo
secondo Schopenhauer. E per me?
Non
posso che riconoscermi in lui, almeno in questo momento.
Butto
metafisicamente a mare tutti i libri di Positive Thinking di cui ho
cercato invano di nutrirmi in questi molti anni.
Mi
viene l'orticaria pensando a tutti quei corsi con persone sorridenti
e di cuore a cui ho partecipato, il cui unico bieco fine era solo
fare leva sul tuo cuore per rimpinguare il loro portafoglio.
Ma
riconosco in essi una valenza: mi hanno insegnato a fidarmi del mio
intuito e del mio sentire , ad avere fiducia in me e nelle mie
sensazioni.
Prima
di parteciparvi, mi mettevo sempre in discussione.
Possedendo
una mente aperta al dialogo e al confronto,molto spesso mi facevo
convincere dagli altri e intraprendevo esperienze che non mi
appartenevano...
Ora
non più! Se qualcosa sento non fa per me semplicemente non la
faccio,anche se è socialmente utile e pregevole o politicamente
corretta.
Ad
esempio le cene. Io odio andare a cena, perché preferisco alla sera
mangiare a casa, andare a letto e leggere un libro piuttosto che
aspettare due ore un cameriere che mi serva la cena ed ingannare il
tempo facendo conversazioni per lo più inutili.
Se
devo parlare di lavoro preferisco il pranzo e se voglio parlare con
un amico lo invito da me o vado da lui. Sono così e semplicemente lo
dico, sorbendomi a volte occhiate di stupore e se mi va male di
disapprovazione.
Ma
questo perché ho eliminato, o almeno tentato di eliminare, il
concetto cristiano del sacrificio che porta al bene, sostituendolo al
principio del rispetto e dell'amore verso di me in primis e poi verso
gli altri.
Gesù,
che per inciso per me è stato un grande Profeta, predicava "Ama
il prossimo tuo come te stesso" , ma prima bisogna imparare ad
amare se stessi .
E
non è così scontato o facile amarsi quando si è nati con il
peccato originale e in un collettivo dove bisogna sacrificarsi ...
Ma
di questo ne parlerò al prossimo post.
Con
amore
Evi
(Foto da Pinterest)
Max Gazzé - Sotto Casa (2013)