In
commissione Giustizia del Senato, infatti, circa dieci giorni fa è
stato accolto da tutta la maggioranza con parere favorevole del
governo l’emendamento presentato da Lucio Barani (Gal – Grandi
autonomie e libertà) che spostava il tetto per il carcere preventivo
a cinque anni. Grazie a questa modifica, confermata dall’Aula di
Palazzo Madama, l’articolo 280 del codice di procedura penale
cambierebbe così: “La custodia cautelare in carcere può essere
disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia
prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque
anni”. L’innalzamento della soglia per la custodia cautelare
taglia fuori però tutta una serie di reati, anche importanti, che
hanno una pena massima di 4 anni: fra cui lo stalking (il reato che
punisce chi commette ‘atti persecutori’)
Non
ci sarà custodia cautelare in carcere nemmeno per il reato di
violenza sessuale di gruppo quando il caso concreto consenta di
applicare misure alternative. La Corte costituzionale ha dichiarato
l'illegittimità dell'articolo 275, comma 3, terzo periodo, del
Codice di procedura penale. La norma bocciata dalla Consulta con la
sentenza n. 232, relatore il giudice Giorgio Lattanzi, prevedeva che
quando esistono gravi indizi di colpevolezza per il delitto di
violenza sessuale di gruppo si applica unicamente la custodia
cautelare in carcere. La norma censurata è in contrasto sia con
l'articolo 3 Costituzione, per l'irrazionale assoggettamento ad un
medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi riconducibili alla
fattispecie in esame e per l'ingiustificata parificazione dei
procedimenti relativi al delitto di violenza sessuale di gruppo a
quelli concernenti delitti caratterizzati dalla "struttura"
e dalle "connotazioni criminologiche" tipiche del delitto
di cui all'articolo 416-bis codice penale; sia con l'articolo 13,
primo comma Costituzione, quale referente fondamentale del regime
ordinario delle misure cautelari
Ora la Consulta ha stabilito che, se in relazione al caso concreto, emerge che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte in altro modo, il giudice può procedere diversamente. Nella sentenza, peraltro, la Corte conferma la gravità del reato, da considerare tra quelli più «odiosi e riprovevoli». Ma la «più intensa lesione del bene della libertà sessuale», «non offre un fondamento giustificativo costituzionalmente valido al regime cautelare speciale previsto dalla norma censurata», scrive la Corte.
Richiamando
anche precedenti decisioni la Consulta ricorda come «la disciplina
delle misure cautelari debba essere ispirata al criterio del minore
sacrificio necessario: la compressione della libertà personale deve
essere, pertanto, contenuta entro i limiti minimi indispensabili a
soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. Ciò impegna il
legislatore, da una parte, a strutturare il sistema cautelare secondo
il modello della "pluralità graduata", predisponendo una
gamma di misure alternative, connotate da differenti gradi di
incidenza sulla libertà personale, e, dall'altra, a prefigurare
criteri per scelte "individualizzanti" del trattamento
cautelare».
Nel caso specifico, la presunzione non si giustifica neppure facendo riferimento al carattere plurisoggettivo della violenza sessuale di gruppo. Il confronto con la forza del legame di associazione mafiosa è, infatti, improprio, vista la diversa intensità in termini di intimidazione e assoggettamento di quest'ultima. In generale, nella riflessione della Corte, le presunzioni assolute, soprattutto quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati; inoltre l'irragionevolezza della presunzione assoluta si può cogliere tutte le volte in cui è "agevole" formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa.
Con
amore e un sorriso amaro...
Evi
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