lunedì 25 novembre 2013

Qualcosa di rosso




Qualche giorno fa mi è arrivata questa mail.

Care amiche,
il 25 novembre p.v. è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Nella triste realtà che ci rimanda ogni giorno la cronaca nera, aggravata dal voyerismo con cui se ne parla a profusione nei talk show senza mai arrivare al nocciolo del problema, c’è il segno del degrado culturale di questo paese.
Tutto questo nel silenzio colpevole di partiti, sindacati e istituzioni. In questo quadro desolante tre giornaliste hanno deciso di lanciare una “provocazione”, di chiamare le donne a dare un segno tangibile del loro dire “BASTA”, con uno sciopero al contrario: esserci e essere visibili. Con un tam-tam tra singole donne e associazioni si stanno organizzando eventi, letture, segnali e tutto quello che la fantasia suggerisce.
Per tutto questo credo che lunedì 25 bisogna esserci, renderci visibili indossando, come chiedono le promotrici, un capo di abbigliamento rosso.
Credo sia un segnale importante da dare a tutta la società. Per maggiori dettagli vi invito a visitare il sito www.scioperodelledonne.it che riporta anche tutte le iniziative città per città.
Vi chiedo anche di far girare questa informazione tra i vostri contatti. PIU’ SIAMO MEGLIO E’!
A Roma l’appuntamento è per le 17 sulla piazza del Campidoglio.


Me ne era arrivata anche un'altra simile, che invitava a scioperare in questa giornata, ma mi son detta che il mio lavoro è fondamentale per alcune donne che proprio per ritrovare se stesse trascorrono un'ora del loro tempo nel mio studio.
Così ho deciso che stamani mattina sarei uscita comunque con qualcosa di rosso addosso, anche se andavo a lavorare e non a scioperare, per dare un segnale di energia e solidarietà.
Una volta fuori, ho provato a guardare il mondo partendo da questo colore che portavo su di me: ho notato una signora alla posta con una capiente borsa di una bella pelle color rubino; un'altra che attraversava le strisce pedonali alternando passi fasciati da un rosso vivace; una giovane ragazza che sfoggiava due labbra vibranti e accese, nell'abitacolo vicino al mio, in coda al semaforo; ho persino notato la sciarpa rossa di un anziano... interrogandomi sulla casualità o meno di quel vezzo.
Una volta che la mia attenzione era catturata da quel filtro con cui guardare gli altri, anche solo nel tragitto casa – studio, mi sono sentita in connessione con quelle persone, ho sorriso a una, guardato con rispetto un'altra... era come se in un momento fossimo tutti partecipi di un sentimento di comunione per un valore più alto.
Non importa se davvero anche loro portavano quel colore in modo consapevole o per pura coincidenza, mi ha comunque permesso di riflettere sull'importanza di percepire gli altri più vicini e simili, anche solo nel tempo di uno sguardo.
Per questo credo fermamente che sia indispensabile far sentire a tutte le donne vittime di soprusi, che non sono sole, che la violenza non è la normalità, anche se qualcuno cerca di convincerle del contrario, per riuscire a rompere il più possibile il muro dell'omertà e del silenzio, che subdolo la fa da padrone dentro le case violentate.
Purtroppo sono ancora le case il luogo dove avvengono la maggior parte degli abusi, gli atti dei parenti le terribili azioni, mosse proprio da chi dovrebbe difendere e proteggere, invece che infierire per distruggere.

La violenza ha miriadi di forme e abita tutto il territorio.
È al nord come al sud, a est e a ovest.
È negli appartamenti di lusso degli italiani così come nelle case popolari degli stranieri.
È nelle abitazioni e nelle fabbriche, negli uffici, per la strada.
È nelle parole così come nelle mani.
È nelle percosse ma anche nelle minacce.
È nelle forme di coercizione dirette ma anche nel controllo indiretto e subliminale.
È nello sparo e allo stesso tempo nello stillicidio di veleno quotidiano.
È l'entrare nella spirale che vede seduzione – isolamento – attacchi ripetuti all'autostima e di nuovo seduzione in un circolo senza fine di solitudine e impotenza.
È nelle immagini, nella tv e nella mente di certi uomini, che vedono la donna solo come un oggetto, senza identità, oppure come una loro proprietà.
È nelle parole, nel giudizio, nella mente di certe donne che condannano oppure non vogliono vedere, anche se a volte si tratta delle loro stesse figlie.

Ecco che di fronte a tutto questo è necessario porre qualcosa di rosso.


Rosso come il troppo sangue versato.
Rosso come qualsiasi segnale di pericolo, per cominciare a far conoscere alle donne i campanelli d'allarme per poter fuggire in tempo.
Rosso come quei cuori che tutte disegnano da bambine e che meritano di essere custoditi e protetti, invece che lacerati e abusati.
Rosso come lo stop del semaforo: simbolo della volontà di porre fine allo scempio.
Rosso come certe luci della notte, testimoni del mercimonio dei corpi.
Rosso come la rabbia, che non trova spazio, chiusa fra il terrore e la colpa.
Rosso come il coraggio, energia necessaria per rompere il muro del silenzio.
Rosso come l'Amore, quello per se stesse, non quello dichiarato per il partner violento, che troppo spesso porta a giustificare e negare.
Rosso come il Natale, che sarà puntuale fra un mese, e speriamo porti nuove consapevolezze, nuovi occhi, nuove speranze a tutte coloro che aspirano alla liberazione.
E meno violenza per tutti.

buona settimana
virginia  

lunedì 18 novembre 2013

Riflessioni a voce alta per genitori di adolescenti




[…] i giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. […]

Le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare, solo il mercato si interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento e del consumo, dove ciò che si consuma non sono tanto gli oggetti che di anno in anno diventano obsoleti, ma la loro stessa vita, che più non riesce a proiettarsi in un futuro capace di far intravedere una qualche promessa.

Il presente diventa un assoluto da vivere con la massima intensità, non perché questa intensità procuri gioia, ma perché promette di seppellire l'angoscia che fa la sua comparsa ogni volta che il paesaggio assume i contorni del deserto di senso.”

(U. Galimberti “L'ospite inquietante” 2007 pag. 11)


Chi ci segue sulla pagina fb del “Progetto Wonder Woman” sa che questa è la settimana in cui ci troveremo per affrontare un tema delicato e complesso, quello della comunicazione e del rapporto con i figli adolescenti, tema che comunque ha già provato a insinuarsi nelle serate precedenti, perché è inevitabile che la responsabilità di essere genitore faccia capolino ogniqualvolta una donna si interroghi su “che cosa è bene per me? Quali sono i miei bisogni?”.

Inutile opporre resistenza a quelle domande che subito emergono come un contrappasso: “E loro? È giusto anteporli a tutto? È corretto chiedere di comprendere che anche il genitore ha delle necessità che possono scontrarsi con le loro? Ma poi, devono comprendere o semplicemente accettare? E se poi soffrono? E che esempio posso dargli? E cosa succederà? Mi amerà ancora?”

Potrei continuare all'infinito, perché nell'elucubrazione genitoriale gli interrogativi sul da farsi non sono mai abbastanza, ti assalgono quando meno te lo aspetti, mossi anche solo da uno sguardo di quella tua creatura che a volte sembra osservare solo per coglierti in fallo...

Come scriveva qualche giorno fa Daria Bignardi su Vanity Fair (la trovi qui):

Nessuno ti fa crescere, capire chi sei, nessuno ti mette in crisi e ti guarda dentro come un figlio. I figli ti mettono con le spalle al muro. Se sei scemo, se sei egoista, se sei pigro, se sei superficiale, se sei nevrotico, un figlio te lo fa capire.

Questo è quello che succede nel confronto con un adolescente, che ha sete di valori assoluti, che cerca modelli cui tendere, ma allo stesso tempo ha bisogno di distruggere dentro di sé quell'immagine di mamma e papà onnipotenti, onniscienti, onnipresenti della sua infanzia.

[...] è quando tuo figlio (l'angelo inetto che ti faceva sentire dio perché lo nutrivi e lo proteggevi: e ti piaceva crederti potente e buono) si trasforma in un tuo simile, in un uomo, una donna, insomma in uno come te, è allora che amarlo richiede le virtù che contano. La pazienza, la forza d'animo, l'autorevolezza, la severità, la generosità, l'esemplarità... troppe, troppe virtù per chi nel frattempo cerca di continuare a vivere”

(M. Serra “Gli sdraiati” 2013 pag. 21)

È così che tu genitore ti ritrovi impotente.

Ti sembra di parlare a un muro di gomma che implacabile ti rimanda indietro qualsiasi parola tu gli scagli contro, in più con gli interessi, perché anche quell'episodio, testimonianza di un tuo limite, che pensavi (speravi) fosse passato inosservato anni prima, o che gli avevi raccontato per fargli accettare una sua fragilità, torna prepotentemente alla ribalta, sottolineato, esasperato e usato come un arma.

Oppure ti trovi a fare i conti con il silenzio, i non detti o le bugie, arma bianca che taglia ogni possibilità di incontro, di dialogo, di vicinanza.

E il paradosso è che tutto questo sta succedendo perché questo figlio lo vuoi aiutare.

Perché senti sul tuo cuore il peso del suo malessere e vorresti alleggerirlo, prenderlo su di te come facevi da bambino, quando lo accoglievi in braccio e bastava quello per donargli pace.

Adesso il rapporto con te passa solo attraverso l'oggetto tecnologico del momento, prolungamento sociale di sé (verso il mondo) e verso di te (in quanto esauditore di desideri), come se quelle onde wireless davvero bastassero a colmare le distanze.

In alternativa c'è l'arcobaleno di filigrana che sta nel tuo portafoglio, per la cui richiesta per lo meno c'è uno scambio diretto di sillabe giornaliero.

Così mentre tu frequenti corsi per imparare a stare nel “qui e ora”, per non farti cogliere dall'ansia e dalle preoccupazioni galoppanti di questi tempi cupi, ti accorgi che tuo figlio sa vivere solo nell'oggi, che sembra non accorgersi di quello che ogni giorno ci viene bombardato su tutti i fronti e il domani pare non sfiorarlo... dorme, ascolta suoni da microcuffie ma non le parole che escono dalla tua bocca, chatta ma non parla, studia (...studia?? diventa il tuo pallino ma non il suo).

Per lui o lei esistono solo la sua passione del momento, i suoi amici, le sue idiosincrasie quotidiane e in continua mutazione...

Ti ritrovi a condividere pensieri che non avresti mai creduto, quelle frasi da vecchia generazione che non può fare a meno di esclamare “ai miei tempi...” e per la prima volta simpatizzi coi tuoi genitori, li vedi con altri occhi quando tu eri al posto di tuo figlio e loro quelli che impazzivano.

Ma davvero impazzivano? O sfiora anche a te, come a Serra, “il forte sospetto – quasi una certezza – che le generazioni precedenti, quanto all'arte di non farsi sopraffare dai figli, fossero molto più attrezzate della nostra”? (Serra, pag. 21)

E “Se – invece - un qualche radicale cambiamento dell'assetto neuronale avesse prodotto non un normale avvicendarsi di culture e di mode e di pensieri, ma una separazione definitiva tra il passato e il futuro degli umani? (Serra, pag. 32)

 
La risposta forse può darcela Galimberti: si tratta, purtroppo, di una crisi della società.

Un cambiamento di segno del futuro: dal futuro-promessa al futuro-minaccia. E siccome la psiche è sana quando è aperta al futuro, […] quando il futuro chiude le sue porte, o se le apre, è solo per offrirsi come incertezza, precarietà, insicurezza, inquietudine, allora, come dice Heiddeger, «il terribile è già accaduto», perché le iniziative si spengono, le speranze appaiono vuote, la demotivazione cresce, l'energia vitale implode” (pag. 26).

In una frase “meglio star bene e gratificarsi oggi se il domani è senza prospettiva” (pag. 28) che sembra quasi il dictat dei nuovi giovani. 
Possiamo ipotizzare ancora, che loro, come noi alla loro età, scrutino il mondo adulto come un regno da espugnare? E che il “conflitto” fra giovani e vecchi avvenga sullo stesso campo di battaglia?

In questa nostra realtà dove nessun adulto può e vuole invecchiare, dove la lotta all'ultimo posto di lavoro è un affare che riguarda più i grandi che i giovani, dove nessuno può andare più in pensione per lasciar spazio alle nuove generazioni, dove tutto il mondo è paese e resta poco da scoprire, dove genitori e figli fanno le stesse esperienze perché siamo “come amici”, con questi orizzonti davanti agli occhi, quale speranza di un mondo da conquistare si apre per loro? E come possiamo aiutarli?

Prendo ancora a prestito le parole di Galimberti

  • Non interrompete mai la comunicazione, buona o cattiva che sia, qualunque cosa i vostri figli facciano” (pag. 42)
  • tra una palestra e un corso di nuoto, perché bisogna crescere con un bel corpo, tra una spiegazione ora sbrigativa, ora un po' imbrogliata, perché bisogna diventare intelligenti, quanto passa tra genitori e figli di quella comunicazione indiretta per cui si sente nella pancia, prima che nella testa, che del padre e della madre ci si può fidare, perché li si avverte al nostro fianco, nei primi momenti un po' impacciati della vita? Cura del corpo, cura dell'intelligenza, ma quanta cura dell'anima?” (pag. 46)
  • i giovani, anche se mai lo confesseranno, attendono qualcosa o qualcuno che li traghetti, perché il mare che attraversano è minaccioso, anche quando il suo aspetto è trasognato” (pag. 55)
Non so se la risposta sta per tutti sul Colle della Nasca (non voglio togliervi il piacere della lettura de “Gli sdraiati”!), ma compito di un genitore potrebbe essere quello di permettere al figlio di vedere nuovi orizzonti, accettare che faccia il suo cammino, la sua strada e vada oltre, voltarsi e non vederlo, perché non è più dietro ma davanti a te, ti ha superato, con le sue scarpe che a te paiono inadeguate e coi suoi percorsi fuori dalla “via maestra” che avevi studiato per lui, ce l'ha fatta, non sei più tu quello che sa tutto, che conduce, ma può voltarsi, cercarti e specchiarsi nel tuo sguardo, e leggerci comunque un “sono fiero di te, adesso vai avanti da solo".

I giovani hanno bisogno di sentire che crediamo in loro, nonostante tutto.


Dove andiamo non lo so,
ma dobbiamo andare”

(J. Kerouac)

buona settimana
virginia

lunedì 11 novembre 2013

Di cosa parlano le donne quando parlano d'amore


Torno a parlare di libri.

Questo è il titolo di quello scritto da Iaia Caputo nel 2001 (“Di cosa parlano le donne quando parlano d'amore” ed. Corbaccio).

Tanto tempo fa ne avevo tratto una storia che trovate qui, che fa cogliere con una bella metafora la complessità del rapporto fra uomini e donne, che si incontrano (o scontrano?!) in questo grande mistero chiamato “amore”.

Oggi non ho molto tempo per scrivere, così vi lascio alle ultime pagine del libro, conversazione immaginaria fra le idee di molte donne che si interrogano su che cosa significhi per loro parlare d'amore, ovviamente alla luce della loro storia ed esperienza di vita...






E voi, di cosa parlate quando parlate d'amore?

Parlate proprio dell'amore, parlate di voi o finite per parlare degli/sugli (contro gli) uomini?

Provate a sentire le differenze...


Buona settimana
virginia


lunedì 4 novembre 2013

Sensualmente te


 
 
Il sesso, parola inflazionata e allo stesso tempo così intimista.

Tutti ne parlano, tutti ne sono incuriositi, magneticamente attratti, uomini e donne, tutti, ma gelosamente ognuno a suo modo, ognuno per motivi diversi e percorsi tortuosi, o forse troppo semplici.

Provoca imbarazzo il sesso.

Provoca qualche volta rifiuto. Spesso vergogna. In alcuni libertà.

Perché?

Perché attraverso questa parola si entra in una sfera così intima di agiti e modi di essere che non è facile svelare e svelarsi.

Passa molte volte attraverso l'umorismo il sesso, per poter entrare in una conversazione.

È una nostra difesa dal disagio che nasce dentro ogni volta che velatamente si affaccia in un confronto.

Sia che passiamo da un atteggiamento paternalistico a uno sfrontatamente libertino, comunque il senso di disagio rimane, lì, sotterraneo a farci compagnia...

La ricerca del piacere è qualcosa che ci appartiene da sempre: fin da bambine se ne cerca in qualche modo appagamento, in maniera esplorativa e senza logica, ma così accade. È un momento molto delicato e importante, che l'adulto, genitore, non sa come affrontare nel caso ne scopra la pratica: può venire vietata, apostrofandola come qualcosa di sconveniente e “cattivo”, oppure può venire in qualche modo spiegata, cercando di limitare le sue espressioni in momenti lontani dagli occhi altrui, altre volte ancora può essere omessa e taciuta, nell'attesa che le cose evolvano e cambino da sole.

Spesso il percorso di scoperta, qualsiasi sia stato il suo esordio, continua in maniera solitaria, perché i genitori si trovano in difficoltà a rispondere a domande sul sesso, sulla contraccezione, sulla prima volta, in maniera esaustiva e chiara.
I papà si limitano a dare pacche sulle spalle ai ragazzi, ponendo l'accento sull'importanza di “non fare cazzate” (leggi: non mettere incinta nessuna) le mamme, oscillano fra la voglia di chiedere e quella di non sapere, rivolte alle figlie con sguardi che sanno ma non osano domandare, cercando e sperando che per le loro bambine avvenga tutto il più tardi possibile e in un rapporto che ne valga la pena.

La vita sessuale è un mistero.

Non è così immediata e spontanea come si potrebbe credere.

Sulla carta, dovrebbe essere il momento che ci mette in contatto con la nostra parte più istintiva e primordiale, con la nostra fisicità vissuta finalmente in maniera liberatoria e scevra da tutti i vincoli estetici fini a se stessi, che mostriamo continuamente al mondo.

In realtà, a volte, hanno ragione gli uomini: le donne sono perennemente attente a non avere un capello fuori posto (leggi: chili di troppo, peli di troppo, la biancheria intima giusta, la pelle tonica, ecc...) e così rischiano di perdere la bellezza dell'incontro con l'altro su un altro piano, che è quello della spontaneità e complicità dei due corpi, semplicemente mezzo per fonderci in un atto di piacere reciproco.

Il piacere non passa necessariamente dagli occhi: passa attraverso i pori della pelle, passa dal naso, dalle mani, dalla bocca, dalle orecchie... è un atto completo e che completa, riunisce due corpi in un corpo solo, riuscendo ad elevare magicamente un vissuto di unione in comunione, di carne, cuore e anima. 
Tutti e cinque i sensi possono partecipare fondendosi per creare un'atmosfera piena e appagante, alla base di un'esperienza unica e irripetibile ogni volta.  

A tal proposito, mi piace citare la lingua ebraica che è una lingua sacra, dove le lettere sono considerate canali energetici di energia spirituale, ovvero canali metafisici.

Le parole che significano uomo e donna

יאש

אשה

si differenziano per due lettere ( י ה ) che rappresentano la radice della parola Dio, impronunciabile per la cultura ebraica. Questo però ci fa anche vedere come, dall’unione dell’uomo e la donna si possa avere una incarnazione del divino che è in noi, l’aspetto sacro della sessualità.

L’altra radice che rimane ( אש ) togliendo l'aspetto “sacro” significa “fuoco”, che brucia e si consuma, che è fine a se stesso, senza la parte più spirituale.

Quindi, il potere transpersonale del sesso può emergere solo se questa esperienza viene vissuta dal nostro centro, come esperienza della totalità.

Facendo riferimento alla radice ebraica del verbo “conoscere” si può rilevare come sia la stessa usata per esprimere il fare l’amore, quindi bisogna sottolineare la “possibilità” di questa esperienza e di un tale modello che va vissuto e conosciuto, con umiltà e libertà, senza avere aspettative troppo elevate.

 
La nostra sessualità evolve con noi, in base alle esperienze, agli incontri, al coraggio di manifestare apertamente all'altro i propri bisogni, conoscendoli di pari passo.

Cambia il rapporto sessuale nel tempo? Si, certo che cambia, si adegua ai cambiamenti corporei, nell'uomo come nella donna, non senza difficoltà o aspetti da accettare e integrare, ma è qualcosa che ad un certo punto trascende la pulsione di un tempo: è davvero l'incontro, il rispetto dei ritmi, il conoscersi davvero ed entrare in una dimensione – anche giocosa – del vivere la vicinanza in un modo diverso ma ancora unico, come unico è quel rapporto che vi lega, dove anche un abbraccio, in un momento particolare, fa la differenza su tutto.

Così come ogni vita è fatta di tappe uniche e irripetibili e dà origine a un significato più ampio, che ci guida nel nostro cammino personale, così la nostra vita sessuale, fa dei percorsi, a volte lineari, altre volte tortuosi, ma se guardiamo bene fra le curve o le strade in salita, appare un disegno magnifico, che schiude a risposte più ampie: il piacere, così come il senso della vita, è lì dove ciascuna lo trova e nel modo che è più in sintonia con la propria anima in crescita (leggi: che può essere scoperto, riscoperto, modificato, amplificato, liberato...a tutte le età!)

Buona settimana
virginia