Questo
week end siamo partiti alla volta di Milano.
La
giornata è stata dedicata a due tipi di mostre completamente agli
antipodi.
Una
dove gli occhi sono stati protagonisti (Chagall
– Una retrospettiva 1908-1985)
l'altra dove tutti gli altri sensi sono passati al primo posto,
perché si trattava di un percorso completamente nelle tenebre.
Di
Chagall vi parlerò prossimamente, mentre oggi voglio dedicare
qualche riflessione al “Dialogo nel buio”, (tutte le info qui)
un'esperienza unica e difficile da esprimere a parole, che sono
sempre il tramite più immediato per chi – come la maggioranza di
noi – le può usare come filtro di elaborazione di una realtà
esperita con lo sguardo.
Il
percorso al buio si svolge presso l'Istituto dei Ciechi, in uno
spazio che ripropone vari ambienti della nostra vita quotidiana, da
vivere per più di un'ora senza fare affidamento sugli occhi.
Appena
entrati lo smarrimento è potente.
Non
vi è più alcun punto di riferimento, nessun appiglio.
Tranne
una guida non vedente che accompagna il piccolo gruppo lungo tutto il
cammino.
Man
mano che si procede, alcuni “confini” o strumenti per muoversi
cominciano a diventare familiari, ma ogni stanza rimette in forse le
piccole certezze conquistate.
È
un percorso a tappe, dove ciascuno fa un'esperienza personale e allo
stesso tempo comune, che muove riflessioni e lascia molti
interrogativi.
Alcuni
di questi possono essere condivisi, altri metteranno radici e
potranno dar luogo a piccole o grandi trasformazioni anche
successivamente.
Io
non ho potuto fare a meno di fare un'analogia con il mio lavoro.
Quel
buio è come il buio dell'inconscio.
E
quando qualcuno chiede il mio aiuto, io sono come Rosanna, la nostra
guida cieca.
Per
me è “normale” muovermi in quell'ambiente, riesco ad orientarmi
e non temo ciò che possiamo trovare.
Ma
per la persona che si affida a me tutto quel nero è spaventoso.
Per
di più perché non ha deciso di sua iniziativa di entrarvi, bensì
ci si è trovato/a catapultato/a suo malgrado.
Nella
sofferenza accade questo: si perdono le certezze e anche le cose che
prima erano conosciute e familiari (persone, oggetti, emozioni,
pensieri), adesso sembrano estranee e lontane.
In
quanto terapeuta io posso esserci e attraversare insieme con la
persona quel tratto di cammino, come la nostra guida ha fatto
sapientemente con noi.
Come
lei ci spiegava, occorre sentire chi ha semplicemente bisogno di
essere sostenuto con la voce, chi di un segnale corporeo di
incoraggiamento, chi invece deve essere preso per mano e accompagnato
passo per passo.
Ogni
persona ha la sua modalità.
Dentro
il dialogo nel buio e dentro la stanza di terapia.
Perché
si tratta comunque di stabilire un rapporto umano, che va oltre le
differenze, oltre le diverse abilità.
Si
tratta di costruire una relazione, ed è quella che “cura”, al di
là di ogni tecnica o sapere.
Ecco
il mio segreto. È molto semplice:
non
si vede bene che col cuore.
L'essenziale
è invisibile agli occhi.
(A.
De Saint Exupery – Il Piccolo principe, Cap. XXI)
O
come aveva detto molti anni fa un giovane paziente al mio didatta:
“dottore,
io voglio essere guarito
non
con le medicine
ma
con l'amore e con la gioia”
(cit.
in A. Alberti “Psicosintesi. Una cura per l'anima”)
Non
vi racconto di più dell'esperienza al buio, perché diventi per
ciascuno unica e irripetibile.
Buona
settimana
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