E'
finita da poco la mostra a Genova “Frida Kahlo e Diego Rivera”
(qui)
e la cosa che mi ha colpita – ancor prima delle opere, stupende e
struggenti – è stato proprio il titolo e la scelta della grafica.
Il
nome di lei che campeggia in grassetto e quello di lui sotto, con un
tratto sottile, l'esatto contrario delle loro caratteristiche di
allora.
Mi
sono chiesta se in Europa, una mostra solo su Rivera avrebbe avuto lo
stesso successo.
Diego
è stato famosissimo come muralista e anche simbolo di lotte
politiche in un Messico dove imperava il tema della rivolta comunista con l'attenzione al valore sociale dei soggetti ritratti.
L'opera
di Frida invece è di carattere introspettivo, specchio del suo mondo
intimo e dolorosamente trasposto sulla tela, attraverso quel corpo
dilaniato dalla malattia.
“La
sola cosa che so è che dipingo perché ne ho bisogno e dipingo tutto
quello che mi passa per la testa, senza prendere in considerazione
nient'altro.”
(F.
Kahlo)
Credo
che il valore della sua opera abbia risieduto proprio nella capacità
di esporre senza reticenze e con coraggio tutta se stessa, perché
ogni autoritratto è diventato un simbolo (e come tale polisemico),
di sofferenze, valori, speranze, rielaborazione personale e unica di
eventi di vita densi di conflitti insanabili.
Uno
di questi è stato il legame col suo amato “rospo” Diego.
Il
loro è stato un amore sempre tormentato e mai confortante.
Frida
conosceva le sue amanti precedenti e la sua fama di uomo mai sazio di
sedurre, incapace di trattenere i suoi istinti e smanioso di ottenere
l'ennesima conquista, arrivando anche a essere scoperto con Cristina,
la sorella di Frida.
Nella
mostra di Genova, c'è una foto che lo ritrae seduto sull'impalcatura
di uno dei suoi murales e poco più sotto delle donne che lo guardano
adoranti.
Lui
invece guarda altrove.
Lui guarderà sempre altrove in tutta la sua
vita, in cerca di nuove conquiste.
Questa
era l'energia di Diego Rivera.
Frida
ne era consapevole, ma nonostante tutto ha scelto di sposarlo.
"Ho
avuto due gravi incidenti nella mia vita. Il primo fu quando un tram
mi mise al tappeto. L'altro fu Diego"
(Herrera
– Frida, pag.80)
Nelle
foto che li ritraggono insieme, lei è sempre alla ricerca di un
riparo sotto quel corpo mastodontico – l'elefante e la farfalla, li
definivano – ma l'impressione è quella di un gattino abbandonato
che elemosina una carezza.
“ […]
non riuscirei mai a fare a meno di Diego. Lui è la vita che mi è
mancata, lui è l'unico che, quando mi tiene tra le braccia, riesce a
far scomparire la Pelona (la
morte ndr)
che mi danza intorno giorno e notte”
(P.
Cacucci – ¡Viva
la vida! Pag. 35)
Quante
versioni diverse di queste parole ho ascoltato da molte donne che si
sono avvicendate sul mio divano!
Una
costante della loro ossessione è proprio quella di sentirsi sperdute
senza quell'uomo attorno al quale gravitano come satelliti.
E
come Frida, che in quanto colomba avrebbe potuto volare lontano – a
che mi servono i piedi se ho ali per volare?
Scriverà nel suo diario – si riducono a svolazzare intorno a
quell'elefante-zavorra partecipando per tutta la vita di una
pesantezza che le rende schiave.
Frida
se da un lato era consapevole della sua energia e delle infinite
risorse che le avevano permesso di superare la morte in diverse
occasioni, dall'altro si sentiva inferiore a causa delle menomazioni
che la malattia le aveva lasciato.
Forse
per questo aveva accettato tanto a lungo che Diego cercasse altrove
il suo appagamento: lei infondo si sentiva menomata, soprattutto
perché non era riuscita a dargli un figlio.
Molte
donne in una relazione tossica condividono con lei questo sentimento.
È
la legge del “se fossi...” secondo la quale ipotizzano di
riuscire a ottenere l'amore pieno a patto di diventare come lui
desidera, di riuscire ad accettare tutto di lui, anche i
comportamenti più aberranti, nel continuo sforzo di essere “più
qualcosa” (buona, paziente, femminile, accogliente, magra... ognuno
ha la sua impietosa versione).
Nei
casi più manipolatori, questi uomini finiscono con il far sentire in
colpa la compagna quando riesce ad ottenere un minimo di rispetto –
proprio come è successo a Frida nel momento in cui è riuscita a far
rientrare Diego in Messico dagli Stati Uniti, episodio a cui è
seguita una specie di febbre nervosa di lui senza fine, che lo
rendeva svogliato, apatico, insostenibile da guardare per gli occhi
di lei, che non tollerava di essere la causa indiretta di
quell'assenza di ispirazione artistica.
Forse
per vendicarsi si è intrattenuto in una relazione con sua sorella?
Il
colpo più basso e aggressivo fra tutti gli altri, la cui
elaborazione ha dato vita al quadro “Qualche piccolo colpo di pugnale”.
Nonostante
tutto questo, dopo un periodo di rinascita dalle sue ceneri, dopo
altri interventi dolorosi, amanti che le si sono donati con passione,
Frida comunque torna da lui.
Ciò
che accadeva dentro di lei è simbolicamente ritratto in questo
quadro.
“Autoritratto
come Tehuana.
(Diego nei miei pensieri o pensando a Diego)” 1943
Si
tratta di un vero e proprio paradosso.
Le
donne di Tehuantepec sono famose per la loro società matriarcale,
addirittura si narra che il mercato sia loro appannaggio e che gli
uomini vengano derisi se vi mettono piede.
Disegnandosi
con l'abito tradizionale Frida sembra voler incorporare questa
energia femminile di supremazia, ma allo stesso tempo risulta
“imbrattata” dal pensiero di Diego che concretamente prende il
sopravvento su tutta la composizione.
I
fili che circondano il suo volto fanno pensare alla tela del ragno e
qualche critico afferma che rappresenti il desiderio di lei di
trattenere in questo modo l'amato, mentre a me viene da dire che lui
posto al centro non è altro che il ragno stesso che intrappola le
bianche ali della colomba...
Questo
è ciò che risulta nella vita di ogni donna che ha a che fare con un
predatore di tal guisa: nonostante i suoi sforzi, egli cercherà
sempre di occuparne i pensieri, tanto più se coglierà
l'allontanamento, i suoi tentativi di svincolo e indipendenza.
Il
bisogno di Frida, soprattutto nei momenti dolorosissimi delle sue
permanenze in ospedale sarebbe stato di averlo accanto, di essere
accudita, confortata e amata più che mai.
Lui
invece andava a trovarla con ancora addosso la scia di profumo di
qualche donna.
Nel
suo diario, campeggia tristemente fra i colori, i bozzetti e il nome
di Diego ripetuto come un mantra, la scritta “Soy sola”.
Come
tutte le donne intossicate dal vampiro di energie, credono che sia lui
a tenerle in vita mentre non si accorgono che è proprio della loro
linfa vitale che si nutre.
E
forse infondo, anche Frida lo aveva capito, quando arriva a ritrarsi
ne “L'abbraccio amorevole dell'universo” 1949, affidandosi a un
potere più grande, quello della natura e della vita stessa, mentre
lei si occupa di un Diego bambino, l'unico modo per farlo un po' suo,
mentre il suo cuore zampilla sangue.
Fra
le sale della mostra si respira l'energia di questa donna tenace e
caparbia, che ha saputo fare dell'arte la sua ancora di salvezza, ma
anche della sofferenza il filo conduttore di tutto il suo esistere.
Già
provata nel corpo, si è inferta numerose ferite nell'anima, restando
in un rapporto tossico e distruttivo, che sì ha dato vita al suo
genio artistico e l'ha resa famosa, anche più famosa di lui, ma a
quale prezzo per la donna stessa?
Spero
che per tutte le donne invischiate in relazioni di questo tipo ci
possa essere uno sviluppo diverso, che faccia diventare tutta la loro
vita in un grassetto evidente, non solo l'epigrafe postuma di gesta
“eroiche” del passato.
Buona
settimana
virginia