Questa
settimana procediamo al contrario delle abitudini di sempre.
Di
solito per scrivere il post del giovedì prendo ispirazione da quello
del lunedì, mentre oggi farò l'opposto: affidandomi alle
riflessioni scaturite dalla frase evocatrice di giovedì scorso (qui)
cercherò di descrivervi la natura delle nostre resistenze al
cambiamento.
Spesso
conosciamo il costo del mancato cambiamento nei termini di sintomi,
disagio emotivo, dolore, rabbia... ma più spesso non riusciamo a
calcolare il prezzo della trasformazione che – almeno sulla carta –
ci porterà a risolvere la situazione di impantanamento in cui siamo
immersi.
Le
persone possono decidere, o essere obbligate dagli eventi, a prendere
posizioni nel qui e ora che daranno inizio a un cambiamento, ma la
loro attenzione è costantemente rivolta a una domanda che gira in
testa, e che – parafrasando il titolo di un romanzo di Cameron –
recita più o meno così: “davvero questo dolore un giorno mi sarà
utile?”
In
effetti è da tener conto che la valutazione potrà essere fatta solo
a posteriori, o almeno strada facendo ma passo dopo passo, e quando
ancora è tutto da cominciare è difficile affidarsi all'ignoto...
Sicuramente
si creerà confusione, ansia e smarrimento, perché un equilibrio (o
pseudo-equilibrio) cariatideo è stato rimesso in discussione, quindi
è inevitabile che i punti di riferimento si capovolgano e ciò che
era una certezza non rappresenti più alcun faro nella notte.
L'unica
garanzia che dovete tenere presente è che il disagio può placarsi
solo continuando a cambiare.
Una
volta innescato il processo è questa la parte più difficile: tenere
fede alla propria posizione senza ricadere nei vecchi schemi che pur
se disfunzionali, sono rassicuranti.
Per
questo motivo è necessario che di qualsiasi decisione si tratti,
venga presa in maniera autonoma e responsabile, perché nessun altro
se non voi stesse, poi dovrà portarla avanti.
Non
c'è cosa peggiore che ritrovarsi a fare passi avventati perché
imposti o anche suggeriti dall'esterno – nemmeno dal terapeuta.
Resta
da precisare però, che in situazioni cronicizzate e congelate da
tempo, come affermato dalla Shepard nella frase di giovedi, l'unico
mezzo per cambiare è rapresentato da un salto di fede.
Avere
finalmente fiducia nelle proprie potenzialità e nel fatto che
restando immobili tutto rimarrà identico si, ma morto, senza più
alcuna spinta vitale.
Dato
che il percorso che porta a una scelta di questo tipo ha tempi e modi
diversi per ciascuno, voglio però darvi alcuni spunti di riflessione
per capire se state evitando di scegliere e in qualche modo vi
ritrovate a compensare in altro modo l'ansia determinata dal
continuare a stare in una situazione stagnante.
Quando
ci sono momenti di tensione, sia nei singoli che nei gruppi (e quindi
anche nelle famiglie) vi possono essere dei comportamenti attuati
inconsciamente per riuscire a gestire il disagio senza affrontarlo
direttamente.
Si
tratta de:
- l'iperfunzionalità: ovvero dedicarsi in maniera totale e completa a un compito, un lavoro, una situazione per gestirla al meglio, perdendo di vista i propri obiettivi e bisogni, ma in questo modo dare un'immagine di sé all'esterno di persona efficiente che sa badare a se stessa, risolvere i problemi, gestire e organizzare tutto in maniera impeccabile.
- L'ipofunzionalità: attuare un comportamento passivo, apatico, diventando magari personalmente il “problema” dando spazio a comportamenti lungo il continuum che va dalla depressione all'aggressività, usate come modo per opporsi a quello che sta succedendo.
- La conflittualità: può assumere la strada della coppia o del rapporto genitori-figli, ma in entrambi i casi c'è da chiedersi qual è il vero problema che sta alla radice.
- L'inseguimento: è tipico di chi si ritrova a rincorrere un partner o un obiettivo sfuggente e invece di vivere la propria vita la dedica a preoccuparsi di raggiungere l'altro.
- La fuga: è il comportamento complementare all'inseguimento, rappresenta un modo – spesso maschile – di presa di distanza da un problema emotivo cercando alternative e spazi privati, ma allo stesso modo dell'inseguitore, anche l'inseguito non fa altro che dedicare il suo tempo a evitare l'impegno, a scappare, senza riuscire a vivere pienamente.
- La concentrazione sui figli (o su terzi): si tratta di spostare l'attenzione su un terzo (es. il problema di un figlio oppure sull'amante del coniuge) per non affrontare il confronto diretto che riguarda la coppia.
Questi
tipi di comportamenti si strutturano in complesse reti di relazioni,
quindi può essere che per un partner che iper-funziona ci sia
l'altro che ipo-funziona e sia questo modo di relazionarsi che crea
conflittualità ecc...
Come
potete immaginare, la definizione di categorie e l'esemplificazione
non riesce mai a tenere conto della complessità dell'esperienza
individuale, per cui la resistenza al cambiamento è si data da
ragioni reali, ma spesso intrecciate profondamente con motivazioni
inconsce che solo una ricerca personale può svelare.
Il
cambiamento avviene solo se cominciamo a riflettere e a lavorare su
noi stesse, anziché continuare a concentrarci e a reagire all'altro.
(Harriet
Lerner)
Quindi
come al solito, non posso donarvi risposte definitive, ma punti di
partenza:
Non
sapevo cosa fare. […] Poi però mi sono reso conto che se non mi
muovevo, quel terribile momento sarebbe andato avanti per sempre.
(P.
Cameron – da “Un giorno questo dolore ti sarà utile”)
[ps.
se volete approfondire questo tema, vi suggerisco la lettura del
libro della dott.ssa H. Lerner “La danza dell'intimità” 1997 Ed.
Corbaccio]
buona
settimana
virginia
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