Magritte "Le Viol" (1934)
Inevitabile parlare del corpo in questo periodo di grandi polemiche: oltre alle continue bagarres pseudo-politiche degli ultimi giorni, si sta facendo largo già da un pezzo una nuova consapevolezza tutta al femminile che denuncia l'uso, anzi, l'abuso del corpo delle donne come oggetto, feticcio, merce di scambio (su questo rimando ai numerosi blog e siti citati in altri post) rispetto ai prodotti pubblicizzati che magari non appaiono neppure nell'immagine incriminata.
Il discorso però si fa per me più ampio, voglio provare ad andare all'origine di questa pandemia di sensualità e sessualità a tutti i costi, che si trasmette attraverso lo sguardo che si posa su un cartellone pubblicitario, sfogliando le pagine di una rivista o semplicemente guardando la tv. E parlando proprio con un addetto ai lavori qualche giorno fa, mi è stato confermato che ciò che si ricerca nelle azioni promozionali, a prescindere quasi dal prodotto, è il rimando al sesso o comunque a un messaggio scioccante, forte, invadente “purché se ne parli...” (vedi l'ultima trovata di Oliviero Toscani).
È per questo motivo che ho scelto come immagine d'apertura di questo post il famoso quadro di Magritte “le viol” (1934) ovvero “lo stupro” che rappresenta la sostituzione del volto di una donna con i suoi caratteri sessuali secondari.
Ormai il nudo ha sostituito quei volti sorridenti e, andando ancora più indietro anche rassicuranti, delle pubblicità di una volta, dove veniva trasmesso anche un messaggio di tipo emotivo (si associava un valore o un'emozione positiva al prodotto, che diventava appetibile), lasciando adesso solo uno stimolo, più o meno allusivo, di tipo erotico (anche le fotografie dove le modelle sono vestite, spesso celano posture che lasciano poco spazio all'immaginazione), lasciando intendere che forse – inserisco la dubitativa per sperare che non sia un processo irreversibile e universale – la trasgressione del sesso (ma davvero ormai il sesso è davvero trasgressivo??) sia l'unico messaggio che riesce a catturare il consumatore.
Io credo che, al di là della deprecabile associazione corpofemminile (ma anche maschile)=oggetto, ormai siamo talmente abituati a vedere corpi nudi che non hanno più alcun effetto davvero stupefacente: occorre aumentare la dose e la carica di trasgressione, perché in realtà ne siamo assuefatti, perché ne siamo bombardati, perché purtroppo la nudità è “indossata” come una maschera, già a partire dalle ragazzine che mostrano orgogliose le loro foto su facebook, mezze nude e in pose provocanti. E' questo il vero problema: il modello che inevitabilmente viene imitato.
Non voglio essere moralista né tantomeno bacchettona, sono la prima che resta ammirata di fronte a un quadro o foto di nudo artistico giocato sulle luci e le ombre, su linee ed equilibri sapienti, ma resto sospesa di fronte all'ostentazione di un corpo che in realtà non è vissuto, incarnato, sentito come sacra unione di carne e di sangue, abitato da istinti e pulsioni ma anche emozioni, storie, portatore quindi di un'identità...Abbiamo tutti un corpo, ma non siamo solo quello: certi corpi invece sono percepiti come portatori del tutto, delle mere figure, vuoti simulacri a due dimensioni di un'immagine che si vuol dare al mondo, più simile alla impalpabile carta patinata che alla tridimensionalità della forma reale. Da lì ai disturbi alimentari il passo è breve...per non parlare poi della svendita di sé come mezzo per entrare in relazione, che sia dietro compenso o meno.
Sono sempre le ricadute nella vita reale a essere le più disastrose: è lo stupro delle anime ancor più di quello dei corpi a lasciare segni indelebili.
virginia
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