E' da un po' che ci penso.
Ritengo necessario porre attenzione anche a
quegli aspetti “discutibili” delle donne con i quali mi imbatto
nel quotidiano, o per lavoro o perché mi risulta impossibile non
osservare quello che mi circonda e notare gli equilibrismi imperfetti
delle relazioni umane.
Uno di questi è il bisogno, spesso declinato
al femminile, di sentirsi al centro del mondo, sempre nel giusto e in
posizione di esigere “crediti” da parte degli altri.
Lo
vedo nelle mogli e compagne, quando ambiguamente chiedono aiuto ai
compagni per essere alleggerite da pesi casalinghi, ma poi
immancabilmente criticano o denigrano ciò che è stato fatto, come è
stato fatto, perché è stato fatto, perché infondo, “come
le faccio io le cose non le fa nessuno” “mi innervosisce vedere
che ci mette una vita a farlo”
e “faccio prima da me che
spiegargli come deve fare”.
Lo
vedo nelle giovani madri, quando faticano a delegare ai mariti o
compagni la cura dei figli, perché dietro il pianto del figlio che
biascica “mamma”,
fra due lacrimucce, con le manine tese, hanno bisogno di leggere la
loro unicità e importanza, non riuscendo a tollerare che quella
creatura possa sostenere la loro mancanza.
Lo
vedo nelle anziane madri, quando tengono legati a sé i figli col
ricatto emotivo di frasi come “con
tutto quello che ho fatto per te” “se te ne vai di casa mi
spezzerai il cuore”
o ancora più subdole malattie immaginarie che giungono ad hoc quando
l'altro riesce ad affrancarsi dalla dipendenza.
Lo
vedo nelle giovani figlie, che chiedono, pretendono, esigono che i
genitori facciano sacrifici immensi per loro e credono che tutto gli
sia dovuto perché “chi ti
ha chiesto di mettermi al mondo!?”
Lo
vedo nelle figlie mature che obbligano i genitori a prendersi ancora
cura di loro, della loro cucina, delle loro faccende domestiche, dei
loro figli, perché “non ce
la faccio a far tutto”
anche se hanno quaranta o cinquant'anni e dovrebbero essere già
autonome da un po'...
Lo
vedo nelle nonne, che secondo la malcelata logica del do
ut des,
rinfacciano la disponibilità di aiuto, venduta prima come
disinteressata, facendola pagare poi cara ad ogni occasione.
Lo
vedo nelle amiche, quando pretendono di essere le sole depositarie di
segreti o confidenze, quando “non
vengo se c'è anche lei”
o “abbiamo litigato perché
mi sono accorta che non mi diceva tutto”.
Non è un'accusa a chi davvero dona
spassionatamente.
Esula dal fatto che ci sono, purtroppo, donne
che devono implorare i compagni per farsi dare un minimo aiuto.
Non voglio mancare di rispetto a coloro che
fanno tutto da sé e che bramerebbero anche un alleggerimento minimo
da parte di qualcuno, ma non riesco a fare a meno di sottolineare che
può essere importante fermarsi a riflettere ogniqualvolta un moto di
stizza e risentimento nasce verso coloro che sono vicini e ce la
mettono tutta per fare del loro meglio.
Spesso è fin troppo facile pretendere che gli
altri debbano avere la sfera di cristallo e così riuscire a vedere,
e poi a realizzare, tutti i nostri desideri.
A volte un semplice grazie, anche per una cosa
fatta così così, chiesta invece che magicamente intuita, apre alla
possibilità di ricevere molto di più di mille successive pretese o
rivendicazioni.
La gratitudine, quella che viene dal cuore,
intensa e lenitiva della fatica, è la migliore forma di apertura
verso l'altro, fa bene a chi la compie e a chi la riceve.
Siate grate, ogni giorno per qualcosa.
L'altro, ma soprattutto la vita, vi
ricompenserà.
buona settimana,
virginia
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