In
questo periodo in cui mi identifico molto col coniglio di Alice, di
corsa, alla ricerca spasmodica di minuti persi per strada, mi è
stata posta una domanda, che mi ha costretta a fermarmi. E
riflettere.
“perché
noi donne abbiamo la forte tendenza ad essere autodistruttive??”
Non
è facile trovare parole chiare e definite per dare un senso a
quell'interrogativo: come ho già detto altre volte, nemmeno noi
psicologi, “esperti” dell'animo umano, abbiamo risposte giuste e
definitive.
Come
dico sempre, possiamo evocare ulteriori domande, possiamo
accompagnare nella ricerca di senso, possiamo aiutare a scorgere le
stesse vicende da punti di vista alternativi... ma non abbiamo la
lama della retta condotta, che taglia il quesito una volta per tutte
e assegna valore insindacabile alle situazioni.
Quindi
proverò a rispondere con quello che so, ovvero quello che ho
raccolto delle storie di vita di chi me le ha affidate, per
rileggerle, rivederle, trasformarle... riporterò le domande che
queste donne si sono poste, lungo il cammino che le le ha viste
rinascere.
Cominciamo
dalla tipica frase: lo so che è sbagliato ma
non riesco a farne a meno. Oppure la variante
gemella: la mia parte razionale sa che non è
giusto ma poi prevale il sentimento (o l'impulso) e non riesco a
uscirne.
Scisse
in due metà, come il visconte dimezzato di Calvino o le sorelle
Dashwood della Austen, con entrambe le parti scollegate, che prese
ognuna di per sé risultano odiose e fuori luogo.
Ragione
pone leggi su ciò che si fa o che non si fa, irrigidisce
comportamenti e regola intenzioni finché crea argini di pietre per
ripararsi da inondazioni di mieloso sentimento, nostalgica attenzione
a ciò che è perso (di solito perdendo di vista ciò che è
guadagnato).
Sentimento
deborda dai confini, non si occupa delle conseguenze, guarda a ieri o
al massimo a quello di cui ha bisogno oggi e si limita a sognare il
domani, costruito sulle sabbie mobili dei “se” e dei “ma”.
Impulso
invece agisce e basta. Risponde a un desiderio di appagamento
immediato, vuol godere dell'attimo senza porsi domande.
A
seconda che prevalga l'una o l'altra posizione, oscilli fra momenti
di esaltazione e di profondo sconforto, persa fra il bisogno di
controllo e quello di lasciarsi andare.
Quando
si è nella subpersonalità autodistruttiva si fa di tutto per non
incorrere nell'unica parte che potrebbe essere di aiuto:
l'Obiettività.
Obiettività
osserva e annota, non giudica né biasima, semplicemente prende atto
di tutto quel che c'è ma soprattutto di ciò che manca.
Sue
frasi nemiche sono “dagli ancora un'altra opportunità” “forse
sei stata troppo dura” “cosa credi di meritare di più” “senza
non ce la fai” “dai questa è l'ultima volta” “era meglio il
mio ex, almeno lui in questo....” e altre catene di parole che
limitano il raggio d'azione agli angusti confini conosciuti.
Obiettività
necessita di una compagna che è volontà, la quale deve procedere
con perseveranza e pazienza.
È
molto difficile separarsi da una persona, da un'abitudine o una
situazione in cui hai creduto, in cui hai investito energie, tempo,
parte della tua vita.
Separarsi
è un po' morire. È accettare che qualcosa è finito o che si è
sbagliato, che abbiamo preso lucciole per lanterne, che si è
fallito. Significa soffrire. Ancora una volta, anche se ti eri
ripromessa che non sarebbe più accaduto.
Se
sei obiettiva sei costretta ad affrontare i tuoi errori e scoprire
che cosa non ha funzionato. Non solo nell'altro, ma anche in te. Cosa
è stato che ti ha fatto accettare situazioni, piccole o grandi,
inaccettabili. Quali motivazioni e bisogni sono alla base di quella
parte autodistruttiva che si ostina a non voler andare avanti. Perché
continui a “cercare” – a volte inconsciamente – situazioni o
persone in qualche modo simili.
Perché
non ti affranchi dalla ricerca ostinata di far cambiare idea
all'altro, di convincerlo che sei nel giusto, che ha sbagliato, che
ti ha ferito e in qualche modo deve dartene una ragione o addirittura
riparare, di riconoscere che ti ha fatto del male o di spiegarti
perché ti ha fatto bene per molte cose ma ti ha ferito nell'unica
che per te era importante? Da chi e da cosa ti impedisci di
emanciparti? Perché ogni piccolo passo incerto e traballante ti fa
inesorabilmente ritornare a pensare che era meglio stare coi piedi
nel cemento? Perché la sofferenza ti è così familiare? Perché dici di desiderare il meglio e poi in realtà credi di non meritarlo?
In
realtà non è (solo) l'altro il problema.
In
realtà forse è necessario modificare parte di te.
Andare
a fondo della tua storia, sciogliere nodi e riordinare i fili delle
relazioni originarie.
Creare
un fuso di prezioso filo, per tessere nuove trame della vita che
meriti, senza rattoppare i buchi di tele lise e irrecuperabili. Osare
confezionarti un vestito su misura, non limitarti ad indossare la
ridicola rete invisibile dell'imperatore, che per compiacere gli
altri andava in giro nudo.
Ripartire
da te.
Fondare
ancora una volta chi sei e che cosa vuoi.
Perché
ogni esperienza è maestra di vita, ma occorre avere il coraggio di
lasciarla alle spalle. Definitivamente.
(spero
di aver dato spunti per trovare risposte. Ciascuna la propria.)
Concludo
con una frase tratta dal libro “Donne che amano troppo” di Robin
Norwood:
Invece
di una donna che ama qualcun altro tanto da soffrirne,
voglio
essere una donna che ama abbastanza se stessa
da non voler
più soffrire.
virginia
4 commenti:
Sentimento deborda dai confini, non si occupa delle conseguenze, guarda a ieri o al massimo a quello di cui ha bisogno oggi e si limita a sognare il domani, costruito sulle sabbie mobili dei “se” e dei “ma”.
Impulso invece agisce e basta. Risponde a un desiderio di appagamento immediato, vuol godere dell'attimo senza porsi domande.
Ecco, quando questi due aspetti prevalgono in una donna, come fare per superarli???
Cara lettrice, la risposta a questa domanda sta nel percorso indicato dalle domande sviluppate nel post. In base a ciò che emerge di te puoi capire cosa ti porta a seguire il sentimento e l'impulso, ma momento imprescindibile del processo è riuscire a essere nella posizione dell'osservatore interiore, un testimone che mostra gli aspetti coinvolti nella dinamica e permette di "raffreddare" emozioni o agiti che invece prendono il sopravvento in maniera automatica
Quando sei consapevole che l'uomo che frequenti vede altre donne, magari "solo" per sesso, ma intanto ti sta vicino e condivide con te molte cose, ti vuole bene ma non ti desidera come i primi tempi.... che fare?? Perchè è difficile accettare che il sesso e l'amore non sempre coincidono?
Cara lettrice, la risposta alla tua domanda è molto intima e personale. Ci sono donne che accettano le scappatelle sessuali perché privilegiano l'aspetto di condivisione familiare su tutto, altre invece vogliono accanto a sé un uomo che sia presente e coinvolto in ogni aspetto dello stare insieme.
Io credo che un rapporto sano non debba mai essere scisso, che sesso e amore possano essere l'uno complemento dell'altro.
Non biasimo chi sceglie di accettare l'altra strada, invito però a chiedersi perché lo si sta accettando, perché si lascia la scelta al partner di decidere per se stesse. Dalla tua domanda fra le righe colgo che tu non vuoi accettare questa separazione fra sesso e amore, se è così, allora chiediti perché non esponi al tuo partner il tuo disappunto, forse per il timore di perderlo?
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