Eccoci qua care amiche a commentare
insieme anche la seconda parte della trilogia (se ti sei persa la prima parte la trovi qui).
Rispetto al volume precedente
l’autrice ci porta dentro alla storia di Christian: storia fatta di
abbandoni, di violenza, di sofferenza, di poca
infanzia, ….. Si inizia a intravedere chi è quest’uomo, bello e
dannato, che è riuscito a costruire un impero economico partendo da
poco, da niente. E niente
è, in fondo, quello che lui pensa di se stesso al di là del lavoro.
Niente è lo spazio che lui concede ai sentimenti, alle emozioni e
alle relazioni perché lasciarsi toccare significa diventare più
fragile, far scoprire le proprie cicatrici, abbattere le difese e
portare ad ammettere il rischio di essere nuovamente abbandonati; di
lasciare lo spazio a nuove sofferenze.
La rabbia di Christian bambino verso
la madre che non l’ha saputo proteggere, spinge il protagonista a
cercare relazioni in cui poter lui stesso indossare i panni
dell’aggressore: la sua aggressività viene rivolta verso le
sottomesse – scelte perché presentano tratti somatici simili
alla madre. Questo elemento del romanzo ci permette di spendere due
parole a riguardo di ciò che si definisce identificazione con
l’aggressore e, quindi, al rapporto tra vittima e carnefice.
Nel
mettere insieme queste mie riflessioni mi è capitato tra le mani un
vecchio libro di filosofia in cui, Hegel, parla dalla relazione
servo-signore (è un concetto che viene espresso nella Fenomenologia
dello Spirito). Pur sapendo che il filosofo lo utilizza in un ambito
diverso, ho voluto citarlo perché tale concetto potrebbe apparire
una buona metafora per capire la relazione di co-dipendenza affettiva
che Christian instaura con le sue sottomesse prima, e con Ana, poi.
Hegel
in qualche modo ritiene che se, inizialmente, la relazione
servo-signore riconosce la presenza di due ruoli distinti e
contrapposti - il padrone è il padrone ed il servo è il servo - il
successivo sviluppo della relazione porta a sfumare tale separazione
di confini con la conseguenza che, il padrone si trova ad essere
dipendente dal servo e a non possedere più l'autosufficienza. Anche
il protagonista del nostro romanzo tende a possedere
le sue donne ma allo stesso tempo ne diventa così bisognoso che
sembra essere lui il sottomesso. Il co-dipendente è tutto
incentrato, votato, devoto, perso, focalizzato totalmente sull’altro.
Ana spesso rimprovera Christian di apparire quasi uno stolker, che
controlla ogni suo movimento, sa sempre dove si trova e con chi. Alla
base di tutto questo bisogno di controllo vi è una grande fragilità
interna e il timore di essere rifiutato. Non dimentichiamo che nel
primo volume Christian si definisce il figlio imperfetto di una
famiglia perfetta. Spesso la grande paura che lui esprime ad Ana è
il terrore che lei se ne vada: il pensiero dell’assenza di quella
donna che tanto lo attrae, verso la quale prova un sentimento enorme
e che tenta di proteggere e controllare in ogni modo, lo devasta.
L’autrice
prevede che tra questi due giovani protagonisti si crei una relazione
d’amore e lascia aperta la speranza che il loro futuro possa essere
felice, ma nella vita reale non è sempre così semplice e scontato
che la presenza di una persona nella vita di un’altra riesca a
produrre un tale cambiamento. Credo che questo potrebbe essere tema
per le future riflessioni sull’ultimo volume. Ma prima di arrivare
a conclusioni affrettate, aspettiamo di leggere cosa accadrà in
seguito.
Buona lettura (e buona riflessione...)
Erika
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