lunedì 11 marzo 2013

Le sindromi distruttive della coppia




Ho trovato questa interessante categorizzazione in un libro di Roberta Giommi, “Le donne amano la terra e il cielo” (ed. Frassinelli, 2005), dove, in circa duecento pagine si dipanano in modo semplice e accessibile, i temi quotidiani e le spiegazioni dell'arte di vivere al femminile.

Le dinamiche che avvengono all'interno di una coppia sono numerose e complicate, frutto della storia personale, delle esperienze significative, delle proiezioni di caratteristiche necessarie alla propria identità o rifiutate (ne abbiamo parlato qui).

Ritengo però che queste tre sindromi, ben descritte dalla Giommi, siano quelle che, trasversalmente ai casi individuali, possono trovarsi spesso in molte dinamiche fra coniugi o fidanzati, col risultato di rovinare le cose, anche a priori.
La sindrome pedagogica: io ti cambierò, modificherò le tue abitudini e il tuo carattere.

L'altro non viene amato per quello che è, ma per la presunzione di volerlo cambiare. Infondo le sue caratteristiche non ci piacciono e pensiamo di trasformare i suoi difetti in virtù. È una sindrome prevalentemente femminile perché si adatta a un compito genitoriale. È pericolosa proprio perché contraria al fondamento più importante del benessere di coppia, rappresentato dal reciproco riconoscimento: “penso che tu sia una persona di valore e penso di essere anch'io una persona di valore” (Giommi, pag. 153)


All'inizio di questo meccanismo perverso, si viene attratte da almeno qualche caratteristica dell'altro che appare positiva o attraente, ma, al momento in cui ci si accorge che ci sono altre cose che non vanno (nel senso che non corrispondono alle nostre aspettative), ecco che scatta questa sindrome, dove l'obiettivo non è più quello di stare insieme nella libertà di essere se stessi, ma diventa una ricerca maniacale di modificare nell'altro atteggiamenti, comportamenti, insomma, ci si aspetta che rinneghi parte di quello che è stato fino ad allora.
La spiegazione sta in quella frase che la Giommi si limita a esplicitare, ma che necessita di altre parole per essere compresa: È una sindrome prevalentemente femminile perché si adatta a un compito genitoriale.
Questo significa che la donna (ma anche l'uomo se lo fa) si pone in una posizione genitoriale col partner (condensata in una frase del tipo “io sono l'adulto e so cosa è meglio per te”), che presuppone di sapere che cosa è bene per l'altro (che poi, siamo proprio sicuri che il solo fatto di essere genitore, ci dia la possibilità di sapere esattamente che cosa è bene o meno per il figlio? Di decidere cosa deve farne della sua vita e come deve essere? Ma questa è un'altra storia...)
Nella coppia i partner dovrebbero procedere in parallelo, senza che uno prevarichi l'altro arrogandosi ruoli genitoriali: ovvero, possono esserci situazioni in cui si fa leva sulla propria subpersonalità genitoriale per poter essere di conforto e aiuto, nel prendersi cura, ma non può essere uno standard di comportamento.
Ci sono coppie ove uno dei due è considerato alla stregua di un figlio – spesso sono le donne che trattano il marito al pari dei marmocchi di casa – impedendogli di fare delle cose perché loro le fanno meglio, per poi lamentarsi che devono fare tutto da sole e che il compagno è un bambino viziato non cresciuto...(lui dal canto suo conferma questa realtà, adagiandosi in una posizione subordinata e più comoda, se non fosse per il dover sopportare le recriminazioni e lamentele, in un circolo vizioso senza fine...)
Non è lamentandosi che si ottiene il cambiamento: in questi casi è necessario rivedere i ruoli, riconoscere lo scarto di potere e restituire responsabilità a entrambi, facendo fronte alle mancanze e ai bisogni che hanno portato all'instaurarsi di quella situazione. 
Quando uno dei due sente di sapere cosa è meglio per l'altro, occorrerebbe interrogarsi su quali vantaggi personali e quali interpersonali, può portare il fatto che i propri desideri vengano esauditi: nel secondo caso può essere che siano di beneficio alla coppia, nel primo possono invece nascondere bisogni infantili o la sindrome di cui abbiamo parlato sopra.


La sindrome salvifica: io ti salverò, curerò le tue ferite e le tue insoddisfazioni e ti renderò felice.

Indica di nuovo una sopravvalutazione delle nostre forze e una istanza di riparazione che spesso si trasforma in rancore perché l'altro resta infelice, rabbioso, scontento. Tale comportamento prevede spesso la ricerca del male nel partner come parte scissa di noi. (pag.154)


Qui si nascondono tante sfaccettature delle disfunzioni relazionali che maggiormente colpiscono le donne (la sindrome della crocerossina, la sindrome di Wendy di cui abbiamo parlato qui, la sindrome dell'indispensabile... ).
Ancora una frase da spiegare: Tale comportamento prevede spesso la ricerca del male nel partner, come parte scissa di noi.
Semplificando si potrebbe dire che la ricerca spasmodica di occuparsi di questi personaggi difficili e dannati, nasconde la ripetizione di copioni disfunzionali della propria vita: può essere che ci stiamo occupando della nostra parte infelice e rancorosa che non riconosciamo dentro e proiettiamo sull'altro, oppure che, attraverso quell'uomo, inconsciamente ci riconnettiamo con un altro uomo significativo (magari il padre) verso il quale sentiamo – per motivi diversi e complessi – di non essere riuscite a renderlo felice. Ovviamente tutti questi processi sono inconsci, per cui la prima reazione alle mie parole sarà “no. Impossibile. Non è il mio caso...” ma magari, già il cominciare a chiederselo potrebbe aprire a nuove prospettive... (vi ho già parlato del libro Donne forti, deboli con gli uomini forti, qui)

La sindrome dell'indovino: chi ama sa che cosa deve fare perché guidato dal cuore.

Le donne di oggi, che pure possono esprimere i loro desideri e sono in grado di esplicitarli, sognano ancora che il maschio, come il genio della lampada, li capisca e realizzi, senza bisogno di chiedergli nulla. La dimensione relazionale si costruisce invece accettando di leggere e di ascoltare i segnali dell'altro. Ricevere risposta perché si è chiesto per ottenere non toglie niente alla bellezza del dono ricevuto. Non è vero che se non indoviniamo i pensieri del partner non siamo innamorati. (pag. 154)
Questa è la sindrome che mi muove più tenerezza quando la trovo, ovvero l'idea romantica che il partner, siccome mosso dall'amore, abbia il potere di indovinare tutto quello che serve per farci stare bene. La replica che sento dire spesso è: “ma all'inizio succedeva, era più attento, presente...” Io rispondo che all'inizio anche voi eravate disposte diversamente a farvi conoscere e manifestare ciò che vi piaceva o meno, perché nella fase di conoscenza è normale... inoltre non si può pretendere di restare sempre uguali a se stessi. Passa il tempo e magari anche cambiano i bisogni e le modalità di realizzarli ed è bello manifestarsi all'altro in questi nuovi aspetti, condividere, raccontare, invece di aspettare come un segugio i segnali che lascino cogliere che si è accorto che improvvisamente ci piace il colore verde invece che il giallo, che ci piacerebbe andare al cinema a vedere un film che esce oggi con la nostra attrice preferita (ma magari lui non lo sa), che vorremmo ci regalasse un fiore invece di un cactus (ma come, fino a ieri adoravi i cactus!)... e subito dopo poi linciarlo se non riesce a leggere fra le righe o dentro la nostra contorta e al tempo stesso assiomatica testa!


Ricordiamoci che spesso, l'autoironia è ciò che restituisce spontaneità e fluidità ai rapporti interpersonali (e anche con se stessi...)


Vi auguro una splendida settimana

virginia

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ok tutto vero ,...esaustiva come sempre ... grazie