Ho
trovato questa interessante categorizzazione in un libro di Roberta
Giommi, “Le donne amano la terra e il cielo” (ed. Frassinelli,
2005), dove, in circa duecento pagine si dipanano in modo semplice e
accessibile, i temi quotidiani e le spiegazioni dell'arte di
vivere al femminile.
Le
dinamiche che avvengono all'interno di una coppia sono numerose e
complicate, frutto della storia personale, delle esperienze
significative, delle proiezioni di caratteristiche necessarie alla
propria identità o rifiutate (ne abbiamo parlato qui).
Ritengo
però che queste tre sindromi, ben descritte dalla Giommi, siano
quelle che, trasversalmente ai casi individuali, possono trovarsi
spesso in molte dinamiche fra coniugi o fidanzati, col risultato di
rovinare le cose, anche a priori.
La sindrome
pedagogica: io ti cambierò, modificherò le tue abitudini e il
tuo carattere.
L'altro non
viene amato per quello che è, ma per la presunzione di volerlo
cambiare. Infondo le sue caratteristiche non ci piacciono e pensiamo
di trasformare i suoi difetti in virtù. È una sindrome
prevalentemente femminile perché si adatta a un compito genitoriale.
È pericolosa proprio perché contraria al fondamento più importante
del benessere di coppia, rappresentato dal reciproco riconoscimento:
“penso che tu sia una persona di valore e penso di essere anch'io
una persona di valore” (Giommi, pag. 153)
All'inizio di
questo meccanismo perverso, si viene attratte da almeno qualche
caratteristica dell'altro che appare positiva o attraente, ma, al
momento in cui ci si accorge che ci sono altre cose che non vanno
(nel senso che non corrispondono alle nostre aspettative), ecco che
scatta questa sindrome, dove l'obiettivo non è più quello di stare
insieme nella libertà di essere se stessi, ma diventa una ricerca
maniacale di modificare nell'altro atteggiamenti, comportamenti,
insomma, ci si aspetta che rinneghi parte di quello che è stato fino
ad allora.
La spiegazione sta
in quella frase che la Giommi si limita a esplicitare, ma che
necessita di altre parole per essere compresa: È una sindrome
prevalentemente femminile perché si adatta a un compito genitoriale.
Questo significa
che la donna (ma anche l'uomo se lo fa) si pone in una posizione
genitoriale col partner (condensata in una frase del tipo “io sono
l'adulto e so cosa è meglio per te”), che presuppone di sapere che
cosa è bene per l'altro (che poi, siamo proprio sicuri che il solo
fatto di essere genitore, ci dia la possibilità di sapere
esattamente che cosa è bene o meno per il figlio? Di decidere cosa
deve farne della sua vita e come deve essere? Ma questa è un'altra
storia...)
Nella coppia i
partner dovrebbero procedere in parallelo, senza che uno prevarichi
l'altro arrogandosi ruoli genitoriali: ovvero, possono esserci
situazioni in cui si fa leva sulla propria subpersonalità
genitoriale per poter essere di conforto e aiuto, nel prendersi cura,
ma non può essere uno standard di comportamento.
Ci sono coppie ove
uno dei due è considerato alla stregua di un figlio – spesso sono
le donne che trattano il marito al pari dei marmocchi di casa –
impedendogli di fare delle cose perché loro le fanno meglio, per poi
lamentarsi che devono fare tutto da sole e che il compagno è un
bambino viziato non cresciuto...(lui dal canto suo conferma questa
realtà, adagiandosi in una posizione subordinata e più comoda, se
non fosse per il dover sopportare le recriminazioni e lamentele, in
un circolo vizioso senza fine...)
Non è lamentandosi
che si ottiene il cambiamento: in questi casi è necessario rivedere
i ruoli, riconoscere lo scarto di potere e restituire responsabilità
a entrambi, facendo fronte alle mancanze e ai bisogni che hanno
portato all'instaurarsi di quella situazione.
Quando uno dei due
sente di sapere cosa è meglio per l'altro, occorrerebbe interrogarsi
su quali vantaggi personali e quali interpersonali, può portare il
fatto che i propri desideri vengano esauditi: nel secondo caso può
essere che siano di beneficio alla coppia, nel primo possono invece
nascondere bisogni infantili o la sindrome di cui abbiamo parlato
sopra.
La sindrome
salvifica: io ti salverò, curerò le tue ferite e le tue
insoddisfazioni e ti renderò felice.
Indica di nuovo
una sopravvalutazione delle nostre forze e una istanza di riparazione
che spesso si trasforma in rancore perché l'altro resta infelice,
rabbioso, scontento. Tale comportamento prevede spesso la ricerca del
male nel partner come parte scissa di noi. (pag.154)
Qui si nascondono
tante sfaccettature delle disfunzioni relazionali che maggiormente
colpiscono le donne (la sindrome della crocerossina, la sindrome di
Wendy di cui abbiamo parlato qui, la sindrome dell'indispensabile...
).
Ancora una frase da
spiegare: Tale comportamento prevede spesso la ricerca del male
nel partner, come parte scissa di noi.
Semplificando si
potrebbe dire che la ricerca spasmodica di occuparsi di questi
personaggi difficili e dannati, nasconde la ripetizione di copioni
disfunzionali della propria vita: può essere che ci stiamo occupando
della nostra parte infelice e rancorosa che non riconosciamo dentro e
proiettiamo sull'altro, oppure che, attraverso quell'uomo,
inconsciamente ci riconnettiamo con un altro uomo significativo
(magari il padre) verso il quale sentiamo – per motivi diversi e
complessi – di non essere riuscite a renderlo felice. Ovviamente
tutti questi processi sono inconsci, per cui la prima reazione alle
mie parole sarà “no. Impossibile. Non è il mio caso...” ma
magari, già il cominciare a chiederselo potrebbe aprire a nuove
prospettive... (vi ho già parlato del libro Donne forti, deboli con
gli uomini forti, qui)
La sindrome
dell'indovino: chi ama sa che cosa deve fare perché guidato dal
cuore.
Le donne di
oggi, che pure possono esprimere i loro desideri e sono in grado di
esplicitarli, sognano ancora che il maschio, come il genio della
lampada, li capisca e realizzi, senza bisogno di chiedergli nulla. La
dimensione relazionale si costruisce invece accettando di leggere e
di ascoltare i segnali dell'altro. Ricevere risposta perché si è
chiesto per ottenere non toglie niente alla bellezza del dono
ricevuto. Non è vero che se non indoviniamo i pensieri del partner
non siamo innamorati. (pag. 154)
Questa è la
sindrome che mi muove più tenerezza quando la trovo, ovvero l'idea
romantica che il partner, siccome mosso dall'amore, abbia il potere
di indovinare tutto quello che serve per farci stare bene. La replica
che sento dire spesso è: “ma all'inizio succedeva, era più
attento, presente...” Io rispondo che all'inizio anche voi eravate
disposte diversamente a farvi conoscere e manifestare ciò che vi
piaceva o meno, perché nella fase di conoscenza è normale...
inoltre non si può pretendere di restare sempre uguali a se stessi.
Passa il tempo e magari anche cambiano i bisogni e le modalità di
realizzarli ed è bello manifestarsi all'altro in questi nuovi
aspetti, condividere, raccontare, invece di aspettare come un segugio
i segnali che lascino cogliere che si è accorto che improvvisamente
ci piace il colore verde invece che il giallo, che ci piacerebbe
andare al cinema a vedere un film che esce oggi con la nostra attrice
preferita (ma magari lui non lo sa), che vorremmo ci regalasse un
fiore invece di un cactus (ma come, fino a ieri adoravi i cactus!)...
e subito dopo poi linciarlo se non riesce a leggere fra le righe o
dentro la nostra contorta e al tempo stesso assiomatica testa!
Ricordiamoci che
spesso, l'autoironia è ciò che restituisce spontaneità e fluidità
ai rapporti interpersonali (e anche con se stessi...)
Vi auguro una
splendida settimana
virginia
1 commento:
Ok tutto vero ,...esaustiva come sempre ... grazie
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