lunedì 24 giugno 2013

Narcisismo del vivere quotidiano


 
 
Quando non posso tornare a casa per pranzo, perché sono nello studio più lontano, mi fermo a mangiare in un bar – il solito – perché sono un'abitudinaria cui piace circondarsi di luoghi familiari. Qui mi ritaglio una pausa di tempo e, mangiando, sfoglio il settimanale Io donna, dove a volte trovo qualche spunto di riflessione per i post del blog.

Una delle rubriche che leggo volentieri è quella nell'ultima pagina, scritta da Serena Dandini, la quale, utilizzando metafore floreali, tratta di temi politici, culturali e di genere – usando il titolo evocativo di antiche lotte per i diritti civili: “il pane e le rose”.

Così qualche settimana fa mi ero appuntata a matita sul ritaglio d'agenda che accoglie i pensieri fuggenti, questo titolo che ho dato al post di oggi, con questa frase:

i nuovi mezzi hanno aiutato questa trasformazione antropologica che fa sì che un essere umano, quando ne incontra un altro, possa chiedere serafico: «Ciao, come sto?». [Trovi l'articolo completo qui ]

indice che ormai il narcisismo è diventato non solo disturbo di personalità che invalida le relazioni a due, bensì calamità sociale, auto-referenzialità allo stato puro, che rischia di impedire ogni incontro con gli altri.

La stessa Dandini, dice di partecipare a un corso per imparare ad ascoltare, dove si parte da semplici esercizi di buon senso:

Il più antico, che non delude mai, è di contare fino a dieci prima di parlare e l’altro, che va di pari passo, è di imparare ad ascoltare qualcuno che stranamente non sta parlando di voi. All’inizio è difficile, vorreste subito interrompere con un bel: «Anch’io, sai…». O, peggio, mentre fate finta di mostrare interesse, cominciare a frugare nella borsa per controllare le email sullo smartphone.

Così mi è venuta in mente una frase del filosofo Martin Buber che recitava più o meno così: la vita vera è solo nell'incontro.

Questa semplice frase riassume tutto il suo pensiero, l'invito a non fare dell'incontro con l'altro uno sterile confronto fra oggetti, bensì rendere onore alla soggettività e unicità, riconoscendo nella persona che si ha di fronte, un “tu” e non un “esso”.

Altrimenti si cade nella trappola del narcisismo, dove l'altro finisce per avere un senso solo come specchio, come mezzo per confermare, affermare, rafforzare la propria identità.

Se permetto all'altro di esser-ci nel rapporto, può nascere un dialogo, altrimenti si tratta di uno sterile monologo (ne avevo già parlato anche qui ).

Ma cosa c'è alla base di questa tendenza che permea le relazioni di una patina impermeabile che non permette di andare oltre la superficie riflettente?

C'è un malcelato bisogno di essere al centro delle attenzioni di qualcuno, per acquistare valore e significato. C'è la ferita originaria di un mancato riconoscimento, quando gli occhi di chi ci doveva riconoscere non lo hanno fatto a sufficienza. C'è il desiderio di essere visto, di essere riconosciuto come importante e degno di ascolto.

Perché, dietro a tutto questo, c'è la paura che, se il mondo non ti guarda, potresti non esistere.

Allo stesso tempo però, se il mondo ti osserva, ti senti in dovere di corrispondere a ciò che si aspetta da te, altrimenti non vieni preso in considerazione.

L'anonimato, nella nostra società mediatica, viene fuggito ormai come la peste.

Meglio contatti mordi e fuggi che il non-contatto, meglio un tweet che racconti il pensiero in diretta – anche se non richiesto – che tacere e riflettere in solitudine, perché ormai, guardarsi dentro, non è più molto di moda.

Il problema è che tutti questi mezzi, nonostante i “mi piace” e i commenti, sono inevitabilmente autoreferenziali. C'è una platea che legge, che assiste, condivide anche, ma l'incontro della “vita vera” di Buber è tutta un'altra cosa.

Anche queste mie parole affidate alla rete sono tutt'altro dai vissuti che palpabili, si fanno sentire con tutti i sensi nella mia stanza, ogni volta che entra una persona e racconta la sua vita.

Il rischio di una società narcisista è di voler mostrare solo la bella facciata, la copertina traslucida, colorata e accattivante delle esistenze, rigettando tutto quello che non gli corrisponde, escludendo le pagine in bianco e nero, oppure al lato opposto esaltandole, come unica via possibile in una gara di esasperazione, che fa della vita tragedia o commedia, l'importante è che lo share sia alto.

Oggi voglio celebrare invece la bellezza di un'esistenza fuori dal palcoscenico, il recupero delle esperienze semplici, come il chiedere a qualcuno come stai, solo se si ha voglia davvero di saperlo (e ascoltarlo), non come sterile copione di una parte recitata; oppure "proteggere" un pensiero, un'esperienza, una riflessione, trattenendosi dall'impulso di postarlo da qualche parte, permettendogli di metter radici interiori, invece di affidarlo subito al vento delle relazioni virtuali, che può farlo atterrare su terra feconda, ma anche sull'asfalto. Che di questi tempi, con queste temperature, sarebbe davvero un peccato.


Buona settimana

virginia

mercoledì 19 giugno 2013

E se il marito cambia sesso durante il matrimonio e diventa donna?



Cari amiche,

prendendo spunto anche dal Gay Pride tenutosi a Vicenza sabato scorso Vi sottopongo questa ordinanza della Prima Cassazione che ha rimesso alla Corte Costituzionale se sia costituzionale o meno la norma che fa dipendere dalla rettificazione del sesso lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dal soggetto che ha esercitato il diritto sopra indicato, con conseguenze irreparabili sulla conservazione del vincolo anche nei confronti dell’altro coniuge.

A sollevare la questione è stata la prima Sezione civile della Cassazione, con l’ordinanza 14329/2013 dd 6.6.2013

Secondo gli ermellini, infatti, è “configurabile un contrasto tra l’articolo 4 della legge n. 164 del 1982 e gli artt. 2 e 29 della Costituzione e con gli artt. 8 e 12 della CEDU, nella parte in cui la norma censurata fa conseguire come effetto automatico del passaggio in giudicato della pronuncia di rettificazione di attribuzione di sesso

Nel “prospettato dubbio di costituzionalità”, prosegue la Corte, depone anche una recentissima pronuncia della Corte Europea dei diritti umani in merito ad un caso finlandese. Applicando analoghi criteri al nostro ordinamento, osserva la Corte, “la mancanza di proporzionalità e l’ingiustificata ingerenza statuale appaiono senz’altro ravvisabili, in ordine ai parametri costituiti dagli artt. 8 e 12, in un sistema che non offre alcuna alternativa ai coniugi, determinando una netta e definitiva soluzione di continuità tra passato e presente della relazione coniugale e decretandone la irreversibile caducazione”. Non solo, la Cassazione ricorda che anche la Germania e l’Austria hanno dichiarato l’illegittimità di norme sostanzialmente analoghe.

La vicenda, in particolare, riguarda una coppia emiliana: il marito, nel 2009, decide di cambiare sesso. Dopo la pronuncia di rettifica di sesso, l’ufficiale di stato civile aveva annotato nel registro degli atti del Comune di Bologna, la cessazione degli effetti civili del matrimonio del transessuale. La coppia, dunque, si era rivolta al giudice civile per chiedere la cancellazione di questa annotazione e il tribunale di Modena aveva dato loro ragione, rilevando che «l’annotazione di scioglimento del matrimonio per l’avvenuta rettificazione di attribuzione di sesso può eseguirsi solo in ragione di una sentenza dell’autorità giudiziaria che dichiari la cessazione del vincolo coniugale». 

La Corte d’appello di Bologna, invece, accogliendo il ricorso del ministero dell’Interno, aveva ribaltato il verdetto sostenendo che «consentire il permanere del vincolo matrimoniale, rettificato che sia il sesso dei coniugi, significa mantenere in vita un rapporto privo del suo indispensabile presupposto di legittimità, la diversità sessuale dei coniugi, dovendosi ritenere tutta la disciplina normativa dell’istituto rivolta ad affermare tale requisito».

Altra cosa i matrimoni tra persone dello stesso sesso.

Secondo i giudici dunque “da uno stato di massima stabilità e protezione giuridica costituzionale e di diritto positivo non soltanto codicistico, si trasmigra, contro la volontà dei componenti la coppia coniugata, verso una condizione di totale indeterminatezza”. 

Anche se poi gli ermellini si affrettano a precisare: “Non può essere trascurato, peraltro, che la sfera dei diritti complessivamente connessi alla rettificazione di sesso ed al fenomeno del transessualismo è del tutto peculiare e non omologabile od equiparabile alla condizione della coppie dello stesso sesso che richiedono a vario titolo il riconoscimento delle proprie relazioni stabili”.

Sotto la lente anche la posizione dell’altro coniuge, il quale si trova d’un tratto deprivato del vincolo matrimoniale senza potersi opporre alla notifica della cessazione degli effetti del matrimonio e senza neppure aver esercitato il diritto alla rettificazione dell’attribuzione di sesso.

Con amore

Evi

lunedì 17 giugno 2013

Orgoglio (e pregiudizio)




Prendo a prestito il titolo del famoso romanzo della Austen, per parlarvi della manifestazione del Gay Pride che c'è stata, anche a Vicenza, lo scorso sabato.
Il corteo che si è dipanato nelle strade della città è stato un tripudio di colore, musica, applausi e allegria, condito con slogan piccanti e provocatori, per scuotere e scioccare la facciata benpensante che giudica, condanna o biasima, spesso senza conoscere (o volerlo fare).
Inutile dire che il progetto ha dato vita a numerose critiche soprattutto da parte di chi vede l'amore coniugato solo al maschile e femminile, non contemplando la possibilità che venga sentito e provato anche fra esseri umani dello stesso sesso (perché se questo accade, dicono, “è contro natura”).
Per questo, numerosi striscioni riportavano il messaggio “l'amore è un diritto per tutti”.
 
Ho già parlato qualche tempo fa di questo argomento (lo trovi qui), quindi oggi vorrei spendere qualche parola sul tema del rispetto.
È stato molto bello vedere all'interno del corteo coppie, famiglie con bambini, giovanissimi e meno giovani: testimonianza che la cultura del rispetto affonda radici in persone vere, in valori che non sono mutuamente escludentesi, bensì cooperano per rendere il mondo migliore.
A volte, leggendo i giornali in Italia, si osserva che la questione si scinde fra la tolleranza che queste realtà possano esistere e la negazione di assegnargli un riconoscimento istituzionale, come se questo offendesse chi, nell'istituzione del matrimonio o della famiglia, si può iscrivere a pieno titolo, perché rientrante nei criteri “considerati giusti”.
Peccato che il senso di giustizia venga usato in maniera tutt'altro che imparziale, soprattutto nel nostro paese, alla mercé dell'uno o dell'altro “potere”.
I cori provocatori che ho ascoltato erano l'estremismo che spesso diventa necessario per farsi ascoltare e vedere, per avere un'identità quando gli altri non te la danno, perché per loro, così come sei, tu non esisti. Hai un identità solo se decidi di essere “normale”.
Inutile condannare con sguardi truci e parole taglienti.
Lì dietro c'è un bisogno, nascosto, intimo e delicato, perché quando ci si accorge di non appartenere alla uniformità di intenti del mondo, ci si sente estremamente vulnerabili e soli, incompresi, senza possibilità di replica. Col timore di essere rifiutati proprio da chi ti sta vicino, perché temi che ti ami, solo a patto che non crei problemi, che sei come loro si aspettano che tu debba essere.
 
Tempo fa ho visto un film belga bellissimo - “La mia vita in rosa” di Alain Berliner – dove un bambino di sette anni, il piccolo Ludovic, si scontra con il mondo degli adulti, che non capiscono la sua domanda metafisica “sono un maschio o una femmina?” né accettano la “sua” realtà: l'attesa, un giorno, di poter diventare una femmina.
È la storia di come un desiderio innocente venga trasformato in tragedia.
 

Trovi il filmato in italiano qui
La storia di Ludovic è la storia di molti, che hanno ricacciato giù, come un nodo in gola, loro malgrado, la necessità di esprimere se stessi, soprattutto nel luogo in cui uno si aspetta la maggiore accoglienza: la propria famiglia.
C'erano anche loro sabato: i genitori dell'AGedO (Associazione Genitori di Omosessuali), che alcuni anni fa hanno creato questo video per spiegare la possibilità di comprendere e accogliere la diversità per renderla qualcosa di unico e speciale e non elemento di esclusione.

Esattamente, come dice il titolo: occorre essere “Due volte genitori”.
Perché spesso è necessario rinascere a se stessi, a quelli che eravamo, alle idee preconcette e ai pregiudizi, superare stereotipi che sono trappole mortali.
Apprendere una lezione dai propri figli, che forse proprio perché sono stati vittime del pregiudizio, sono quelli che più hanno da insegnare sul tema del rispetto.
 
Buona settimana
virginia

lunedì 10 giugno 2013

Donna allo sbaraglio e tendenza alla fantasia amorosa e all'autoinganno



Ieri ho passato due ore inutilmente a cercare di far capire ad una amica che se un uomo ti ama ti cerca e trascorre del tempo con te, e se non ti cerca e non sta con te significa che non ti ama.

Forse sarà la crisi della mezza età, considerato che tutte le mie amiche, come me, hanno sorpassato gli "anta", ma trovo sempre più donne che si aggrappano a sms di uomini invisibili di fatto che, a detta loro, le amano alla follia, ma vuoi per il lavoro, vuoi perché fa tanto sport – e sarebbe da capire con chi e in quale letto – vuoi perché la storia è finita, “ma lui mi ama ancora, anche se sta con un ' altra” non vedono nemmeno il fantasma del loro uomo da ...nove mesi.

Nonostante questo, mi mostrano orgogliose e fiere la risposta al loro sms che il fantasma ha inviato: "Anche tu mi manchi" .

Il fantasma in questione infatti è ben conscio del fatto che esistono i periodi di vacche grasse e di vacche magre e quindi in periodo di vacche magre può sempre far comodo la seconda scelta e quindi...un sms ogni tanto non costa fatica e garantisce l' approvvigionamento per il futuro!

Nel frattempo le “anta” (ma credo purtroppo sia un fenomeno che colpisce tutte le età!) soffrono per quel poverino così stressato e sognano che dopo l' ennesima fatica – ha ucciso con coraggio l' ennesimo drago – tornerà da loro e vivranno il loro amore eterno.

Ora, io capisco che le nostre madri ci hanno da bambine raccontato la storia del principe azzurro che ci viene a salvare, che addirittura il principe era ranocchio ma con il nostro bacio ridiventa un principe, ma crederci ancora mi sembra troppo...(Virginia ne ha parlato qui)

Per spiegare il tutto, vi potrei propinare la psicologia degli attaccamenti del bambino, le teorie sistemiche, potrei parlarvi del rapporto con il padre assente o addirittura scomodare la psico-genealogia, ma secondo me basta il semplicemente il Buon Senso.

Attilio Piazza mi diceva che la" buonsensica " dell'uomo di strada a volte risolve più di tutte le teorie ...Grande Attilio, ma se questa donna nonostante tutto è ancora nella sua favola?

E alla fine se una donna vuole crederci , vuol dire che per Lei è troppo affrontare la realtà nuda e cruda di essere sola , di valere in quanto tale e non perché un fantasma la ama, di esistere ...Schuartz parla di parti pompiere che ci permettono di vivere (lo trovi in un mio post qui), e in questo caso la fantasia della relazione lo è.

Allora ringraziamo la nostra parte pompiere ma magari adottiamo anche un Rimedio: un corso di autostima! Ne esistono di vari generi e per tutte le tasche !!! (Intanto leggetevi il post di Virginia qui)

Morale ...impariamo ad amarci e stimarci di più, capiamo il nostro valore di donne , comprendiamo la nostra forza e lasciamo i fantasmi nei castelli di Dracula .....tanto troveranno sempre tante altre anta a cui succhiare il sangue nei periodi di vacche magre!

Con amore

Evi



mercoledì 5 giugno 2013

Separazioni e divorzi in Italia



Secondo l'Istat, nel 2011 le separazioni sono state 88.797 e i divorzi 53.806, sostanzialmente stabili rispetto all'anno precedente (+0,7% per le separazioni e -0,7% per i divorzi).

I tassi di separazione e di divorzio totale sono in continua crescita per cui si conferma la crescita dell’instabilità coniugale.

Rispetto al 1995 le separazioni sono aumentate di oltre il 68% e i divorzi sono praticamente raddoppiati. Tali incrementi, osservati in un contesto in cui i matrimoni diminuiscono, sono imputabili ad un effettivo aumento della propensione alla rottura dell’unione coniugale.

Per ottenere una misura efficace di questa propensione occorre rapportare le separazioni o i divorzi registrati in un anno di calendario all’ammontare iniziale dei matrimoni della coorte di riferimento (anno in cui si sono celebrate le nozze). A partire dalla metàdegli anni ‘90 questi indicatori hanno fatto registrare una progressiva crescita della propensione a interrompere una unione coniugale: nel 1995 si verificavano in media circa 158 separazioni e 80 divorzi per ogni 1.000 matrimoni, nel 2011 si registrano, rispettivamente, 311 separazioni e 182 divorzi ogni 1.000 matrimoni .

La durata media del matrimonio al momento dell'iscrizione a ruolo del procedimento risulta pari a 15 anni per le separazioni e a 18 anni per i divorzi.

L'età media alla separazione è di circa 46 anni per i mariti e di 43 per le mogli; in caso di divorzio raggiunge, rispettivamente, 47 e 44 anni. Questi valori sono aumentati negli anni per effetto della posticipazione delle nozze in età più mature e per la crescita delle separazioni con almeno uno sposo ultrasessantenne.

La tipologia di procedimento scelta in prevalenza dai coniugi è quella consensuale: nel 2011 si sono concluse in questo modo l'84,8% delle separazioni e il 69,4% dei divorzi.

La quota di separazioni giudiziali (15,2% il dato medio nazionale) è più alta nel Mezzogiorno (19,9%) e nel caso in cui entrambi i coniugi abbiano un basso livello di istruzione (21,5%).

Il 72% delle separazioni e il 62,7% dei divorzi hanno riguardato coppie con figli avuti durante il matrimonio. Il 90,3% delle separazioni di coppie con figli ha previsto l'affido condiviso, modalità ampiamente prevalente dopo l'introduzione della Legge 54/2006.

Nel 19,1% delle separazioni è previsto un assegno mensile per il coniuge (nel 98% dei casi corrisposto dal marito). Tale quota è più alta al Sud e nelle Isole (rispettivamente 24% e 22,1%), mentre nel Nord si attesta al 16%. Gli importi dell'assegno mensile sono, al contrario, mediamente più elevati al Nord (562,4 euro) che nel resto del Paese (514,7 euro).
Nel 57,6% delle separazioni la casa è assegnata alla moglie, nel 20,9% al marito mentre nel 18,8% dei casi si prevedono due abitazioni autonome e distinte, ma diverse da quella coniugale.

Più separati tra i coniugi con titoli di studio elevati

Tra i separati del 2011, il 40,5% dei mariti ha, come titolo di studio più elevato, il diploma di scuola media inferiore, il 40,8% quello di scuola media superiore; fra le mogli il 44,3% ha un titolo di scuola media superiore e il 34,8% uno di scuola media inferiore. Il 15,2% delle mogli possiede un titolo universitario, contro il 12,8% dei mariti. Tale distribuzione è il risultato, in parte, del progressivo aumento del livello di istruzione della popolazione generale e, quindi, anche di quella dei coniugati.

In metà delle separazioni e in un terzo dei divorzi è coinvolto un figlio minorenne

Nel 2011 63.947 separazioni (il 72% del totale) e 33.719 divorzi (il 62,7% del totale) hanno riguardato coppie con figli. I figli coinvolti sono stati 109.842 nelle separazioni e 53.129 nei divorzi.

La metà (50,5%) delle separazioni e poco più di un terzo (35,5%) dei divorzi riguardano matrimoni con almeno un figlio minore di 18 anni. Il numero di figli minori che sono stati affidati nel 2011 è stato pari a 67.713 nelle separazioni e a 25.212 nei divorzi.

Nelle separazioni, il 55,4% dei figli affidati ha meno di 11 anni. In caso di divorzio i figli sono generalmente più grandi: la quota di quelli al di sotto degli 11 anni scende al 33,7% del totale.
 
Nonostante questi dati, non perdiamo la speranza nell'amore.
 
con affetto
Evi

lunedì 3 giugno 2013

Non è mai troppo tardi


 
 
Titolo di cronaca dal giornale di Vicenza dello scorso sabato (l'articolo completo qui )
 
Ha 92 anni, picchia la moglie
La donna di 83 anni è scappata di casa e lo ha denunciato dopo l'ennesima lite. Sono sposati dal 1989. La donna un anno fa ha chiesto la separazione ma lui si oppone. Tre volte ricoverata per le botte ma non lo aveva mai denunciato.

Ho provato una grande ammirazione per il gesto di questa signora che finalmente ha trovato il coraggio di compiere un'azione necessaria, anche se dura e impietosa, visto che mossa verso una persona che ha condiviso con lei quasi venticinque anni di vita insieme, e ancor più risoluta se si pensa all'età dei due protagonisti, quella fase della vita dove si è tentati di pensare che le emozioni si acquietino e il desiderio di pace e serenità prenda il sopravvento.

Ho pensato invece al quotidiano calvario di questa anziana, che ha visto sommarsi ai segni del tempo sulla pelle anche i segni indelebili delle percosse sul corpo, delle parole feroci che invadono i pensieri e restano sospese, in vortici di tensione, impedendo di vivere con tranquillità le giornate che rimangono.

Lo scorso anno ha chiesto la separazione: dopo mille episodi in cui lei stessa ha difeso lui agli occhi del mondo esterno, trovando parole di giustificazione alle ferite e contusioni riportate dopo i suoi attacchi di violenza.

Immagino che da quel lontano 1989, quando si è sposata con lui, tante cose siano cambiate... o forse chi lo sa, lui è sempre stato l'uomo violento di adesso, ma era lei a essere diversa, più incline a prendersi colpe non sue, a motivare a se stessa quei comportamenti, trovando nella sua storia possibili spiegazioni (un'infanzia difficile, una giornata storta al lavoro...), sperando che fosse l'ultima volta, l'ennesima ultima “provocazione”.

Perché questo è il perverso fenomeno che sottende la violenza domestica.

Il carnefice fa pensare alla vittima di essere lei a provocare la reazione disumana.

sei tu che mi hai fatto impazzire di gelosia. Lo guardavi in quel modo, quel lestofante!”

sei tu che preferisci andare da quell'arpia di tua sorella, anziché stare a casa con me!”

sei tu che hai riso e mi hai preso in giro insieme ai bambini, quando mi sono messo quella maglietta che oltretutto avevo appena comprato!”

sei tu che non ti sei voluta fermare a presentarmi al tuo capo, quando lo abbiamo incontrato per strada!”

sei tu che mi hai mandato via con la scusa di comprare le sigarette e al ritorno ti ho trovata a chiacchierare con un estraneo!”

sei tu che non me lo hai voluto presentare, non ci credo che è un tuo vecchio compagno di scuola!”

sei tu che facevi la vezzosa con quello, apposta per farmi stare male!”

sei tu che mi fai sentire inferiore, perché hai avuto una promozione e ora guadagni più di me!”

sei tu che sei tornata in ritardo dal lavoro, accaldata e senza rossetto!”

sei tu che non cucini più quello che piace a me, con la scusa che ai bambini non piace!”

sei tu che non vuoi mai fare l'amore con me, con la scusa che sei incinta!”

e io? Non conto niente io?” “dimmelo che non conto niente, però dimmelo guardandomi negli occhi!”


tratto da “Il male che si deve raccontare
per cancellare la violenza domestica”
(S. Agnello Hornby, M. Calloni – 2013, pag. 96-97)


La violenza domestica ha plurime spirali che attanagliano: è subdola e insidiosa soprattutto quando assume le vesti dell'abuso psicologico.

Ci sono situazioni che possono durare nel tempo perché il furbo carnefice non arriva mai ad alzare un dito verso la sua vittima, ma tutto si dispiega in uno stillicidio di parole velenose che mortificano e rendono la vita un inferno.

La donna si vergogna di raccontare a chiunque quello che sta soffrendo e così si chiude in una spirale di isolamento e solitudine che non fa altro che perpetrare il rimbombo di quelle parole accusatorie, che ascoltate ogni giorno sembrano così vere...

E' così che prende il sopravvento il predatore della psiche, nel quale si rispecchia il predatore esterno impersonificato dal compagno (trovi un approfondimento qui) che porta a dire “infondo a modo suo mi ama...” “quando non è così è una persona eccezionale...” “è in un momento difficile, poi tutto passa...” sforzandosi in un lavoro immane per rimanere intatta dentro, di fronte alla palese evidenza dilaniante che viene da fuori.

Nascono così le scuse che servono per restare.

“Lo faccio perché è solo un periodo difficile...ed è mio dovere esserci”

“lo faccio per i bambini...”

“lo faccio perché solo io posso migliorare le cose”

“lo faccio per lui, perché non è capace di vivere senza di me...”

“lo faccio perché non saprei dove andare o come fare...”

E' questa la più dura verità: sembra che quella sia l'unica vita possibile, l'unico modo di esistere.

È difficile pensarsi in un altra dimensione, più libera, autonoma, leggera e senza problemi, perché lui ti fa credere che sei tu il problema, ovunque andrai.
Per questo è importante l'insegnamento di questa saggia signora vicentina.

Perché troppo spesso le donne "di una volta" hanno incitato a resistere e sopportare.

Adesso anche loro possono permettersi di dire basta.

Non è mai troppo tardi.

Per vivere davvero libere.

Soprattutto fra le mura della propria casa.


Buona settimana

virginia