lunedì 3 giugno 2013

Non è mai troppo tardi


 
 
Titolo di cronaca dal giornale di Vicenza dello scorso sabato (l'articolo completo qui )
 
Ha 92 anni, picchia la moglie
La donna di 83 anni è scappata di casa e lo ha denunciato dopo l'ennesima lite. Sono sposati dal 1989. La donna un anno fa ha chiesto la separazione ma lui si oppone. Tre volte ricoverata per le botte ma non lo aveva mai denunciato.

Ho provato una grande ammirazione per il gesto di questa signora che finalmente ha trovato il coraggio di compiere un'azione necessaria, anche se dura e impietosa, visto che mossa verso una persona che ha condiviso con lei quasi venticinque anni di vita insieme, e ancor più risoluta se si pensa all'età dei due protagonisti, quella fase della vita dove si è tentati di pensare che le emozioni si acquietino e il desiderio di pace e serenità prenda il sopravvento.

Ho pensato invece al quotidiano calvario di questa anziana, che ha visto sommarsi ai segni del tempo sulla pelle anche i segni indelebili delle percosse sul corpo, delle parole feroci che invadono i pensieri e restano sospese, in vortici di tensione, impedendo di vivere con tranquillità le giornate che rimangono.

Lo scorso anno ha chiesto la separazione: dopo mille episodi in cui lei stessa ha difeso lui agli occhi del mondo esterno, trovando parole di giustificazione alle ferite e contusioni riportate dopo i suoi attacchi di violenza.

Immagino che da quel lontano 1989, quando si è sposata con lui, tante cose siano cambiate... o forse chi lo sa, lui è sempre stato l'uomo violento di adesso, ma era lei a essere diversa, più incline a prendersi colpe non sue, a motivare a se stessa quei comportamenti, trovando nella sua storia possibili spiegazioni (un'infanzia difficile, una giornata storta al lavoro...), sperando che fosse l'ultima volta, l'ennesima ultima “provocazione”.

Perché questo è il perverso fenomeno che sottende la violenza domestica.

Il carnefice fa pensare alla vittima di essere lei a provocare la reazione disumana.

sei tu che mi hai fatto impazzire di gelosia. Lo guardavi in quel modo, quel lestofante!”

sei tu che preferisci andare da quell'arpia di tua sorella, anziché stare a casa con me!”

sei tu che hai riso e mi hai preso in giro insieme ai bambini, quando mi sono messo quella maglietta che oltretutto avevo appena comprato!”

sei tu che non ti sei voluta fermare a presentarmi al tuo capo, quando lo abbiamo incontrato per strada!”

sei tu che mi hai mandato via con la scusa di comprare le sigarette e al ritorno ti ho trovata a chiacchierare con un estraneo!”

sei tu che non me lo hai voluto presentare, non ci credo che è un tuo vecchio compagno di scuola!”

sei tu che facevi la vezzosa con quello, apposta per farmi stare male!”

sei tu che mi fai sentire inferiore, perché hai avuto una promozione e ora guadagni più di me!”

sei tu che sei tornata in ritardo dal lavoro, accaldata e senza rossetto!”

sei tu che non cucini più quello che piace a me, con la scusa che ai bambini non piace!”

sei tu che non vuoi mai fare l'amore con me, con la scusa che sei incinta!”

e io? Non conto niente io?” “dimmelo che non conto niente, però dimmelo guardandomi negli occhi!”


tratto da “Il male che si deve raccontare
per cancellare la violenza domestica”
(S. Agnello Hornby, M. Calloni – 2013, pag. 96-97)


La violenza domestica ha plurime spirali che attanagliano: è subdola e insidiosa soprattutto quando assume le vesti dell'abuso psicologico.

Ci sono situazioni che possono durare nel tempo perché il furbo carnefice non arriva mai ad alzare un dito verso la sua vittima, ma tutto si dispiega in uno stillicidio di parole velenose che mortificano e rendono la vita un inferno.

La donna si vergogna di raccontare a chiunque quello che sta soffrendo e così si chiude in una spirale di isolamento e solitudine che non fa altro che perpetrare il rimbombo di quelle parole accusatorie, che ascoltate ogni giorno sembrano così vere...

E' così che prende il sopravvento il predatore della psiche, nel quale si rispecchia il predatore esterno impersonificato dal compagno (trovi un approfondimento qui) che porta a dire “infondo a modo suo mi ama...” “quando non è così è una persona eccezionale...” “è in un momento difficile, poi tutto passa...” sforzandosi in un lavoro immane per rimanere intatta dentro, di fronte alla palese evidenza dilaniante che viene da fuori.

Nascono così le scuse che servono per restare.

“Lo faccio perché è solo un periodo difficile...ed è mio dovere esserci”

“lo faccio per i bambini...”

“lo faccio perché solo io posso migliorare le cose”

“lo faccio per lui, perché non è capace di vivere senza di me...”

“lo faccio perché non saprei dove andare o come fare...”

E' questa la più dura verità: sembra che quella sia l'unica vita possibile, l'unico modo di esistere.

È difficile pensarsi in un altra dimensione, più libera, autonoma, leggera e senza problemi, perché lui ti fa credere che sei tu il problema, ovunque andrai.
Per questo è importante l'insegnamento di questa saggia signora vicentina.

Perché troppo spesso le donne "di una volta" hanno incitato a resistere e sopportare.

Adesso anche loro possono permettersi di dire basta.

Non è mai troppo tardi.

Per vivere davvero libere.

Soprattutto fra le mura della propria casa.


Buona settimana

virginia

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