Titolo
di cronaca dal giornale di Vicenza dello scorso sabato (l'articolo
completo qui
)
Ha
92 anni, picchia la moglie
La donna di 83 anni è
scappata di casa e lo ha denunciato dopo l'ennesima lite. Sono
sposati dal 1989. La donna un anno fa ha chiesto la separazione ma
lui si oppone. Tre volte ricoverata per le botte ma non lo aveva mai
denunciato.
Ho
provato una grande ammirazione per il gesto di questa signora che
finalmente ha trovato il coraggio di compiere un'azione necessaria,
anche se dura e impietosa, visto che mossa verso una persona che ha
condiviso con lei quasi venticinque anni di vita insieme, e ancor più
risoluta se si pensa all'età dei due protagonisti, quella fase della
vita dove si è tentati di pensare che le emozioni si acquietino e il
desiderio di pace e serenità prenda il sopravvento.
Ho
pensato invece al quotidiano calvario di questa anziana, che ha visto
sommarsi ai segni del tempo sulla pelle anche i segni indelebili
delle percosse sul corpo, delle parole feroci che invadono i pensieri
e restano sospese, in vortici di tensione, impedendo di vivere con
tranquillità le giornate che rimangono.
Lo
scorso anno ha chiesto la separazione: dopo mille episodi in cui lei
stessa ha difeso lui agli occhi del mondo esterno, trovando parole di
giustificazione alle ferite e contusioni riportate dopo i suoi
attacchi di violenza.
Immagino
che da quel lontano 1989, quando si è sposata con lui, tante cose
siano cambiate... o forse chi lo sa, lui è sempre stato l'uomo
violento di adesso, ma era lei a essere diversa, più incline a
prendersi colpe non sue, a motivare a se stessa quei comportamenti,
trovando nella sua storia possibili spiegazioni (un'infanzia
difficile, una giornata storta al lavoro...), sperando che fosse
l'ultima volta, l'ennesima ultima “provocazione”.
Perché
questo è il perverso fenomeno che sottende la violenza domestica.
Il
carnefice fa pensare alla vittima di essere lei a provocare la
reazione disumana.
“sei tu che mi hai fatto impazzire
di gelosia. Lo guardavi in quel modo, quel lestofante!”
“sei tu che preferisci andare da
quell'arpia di tua sorella, anziché stare a casa con me!”
“sei tu che hai riso e mi hai preso
in giro insieme ai bambini, quando mi sono messo quella maglietta che
oltretutto avevo appena comprato!”
“sei tu che non ti sei voluta
fermare a presentarmi al tuo capo, quando lo abbiamo incontrato per
strada!”
“sei tu che mi hai mandato via con
la scusa di comprare le sigarette e al ritorno ti ho trovata a
chiacchierare con un estraneo!”
“sei tu che non me lo hai voluto
presentare, non ci credo che è un tuo vecchio compagno di scuola!”
“sei tu che facevi la vezzosa con
quello, apposta per farmi stare male!”
“sei tu che mi fai sentire
inferiore, perché hai avuto una promozione e ora guadagni più di
me!”
“sei tu che sei tornata in ritardo
dal lavoro, accaldata e senza rossetto!”
“sei tu che non cucini più quello
che piace a me, con la scusa che ai bambini non piace!”
“sei tu che non vuoi mai fare
l'amore con me, con la scusa che sei incinta!”
“e io? Non conto niente io?”
“dimmelo che non conto niente, però dimmelo guardandomi negli
occhi!”
tratto
da “Il male che si deve raccontare
per
cancellare la violenza domestica”
(S.
Agnello Hornby, M. Calloni – 2013, pag. 96-97)
La
violenza domestica ha plurime spirali che attanagliano: è subdola e
insidiosa soprattutto quando assume le vesti dell'abuso psicologico.
Ci
sono situazioni che possono durare nel tempo perché il furbo
carnefice non arriva mai ad alzare un dito verso la sua vittima, ma
tutto si dispiega in uno stillicidio di parole velenose che
mortificano e rendono la vita un inferno.
La
donna si vergogna di raccontare a chiunque quello che sta soffrendo e
così si chiude in una spirale di isolamento e solitudine che non fa
altro che perpetrare il rimbombo di quelle parole accusatorie, che
ascoltate ogni giorno sembrano così vere...
E'
così che prende il sopravvento il predatore della psiche, nel quale
si rispecchia il predatore esterno impersonificato dal compagno
(trovi un approfondimento qui) che porta a dire “infondo a modo suo
mi ama...” “quando non è così è una persona eccezionale...”
“è in un momento difficile, poi tutto passa...” sforzandosi in
un lavoro immane per rimanere intatta dentro, di fronte alla palese
evidenza dilaniante che viene da fuori.
Nascono
così le scuse che servono per restare.
“Lo
faccio perché è solo un periodo difficile...ed è mio dovere
esserci”
“lo
faccio per i bambini...”
“lo
faccio perché solo io posso migliorare le cose”
“lo
faccio per lui, perché non è capace di vivere senza di me...”
“lo
faccio perché non saprei dove andare o come fare...”
E'
questa la più dura verità: sembra che quella sia l'unica vita
possibile, l'unico modo di esistere.
È
difficile pensarsi in un altra dimensione, più libera, autonoma,
leggera e senza problemi, perché lui ti fa credere che sei tu il
problema, ovunque andrai.
Per
questo è importante l'insegnamento di questa saggia signora
vicentina.
Perché
troppo spesso le donne "di una volta" hanno incitato a resistere e
sopportare.
Adesso
anche loro possono permettersi di dire basta.
Non
è mai troppo tardi.
Per
vivere davvero libere.
Soprattutto
fra le mura della propria casa.
Buona
settimana
virginia
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