Qualsiasi
sia il motivo che porta le persone a sedersi sul mio divano, prima o
poi si finisce per parlare d'amore.
Anche
se la richiesta di aiuto e sostegno è individuale, nel tempo pure il partner viene portato in questa stanza, attraverso i racconti e
gli episodi, i conflitti e le incomprensioni; e se non c'è un
partner, allora viene portata quell'assenza, e il desiderio o le
paure.
Nella
schermata di gestione del blog, alla voce “parole chiave della
ricerca”, (ovvero le parole impostate su google, che hanno fatto
poi arrivare le persone a visitare il mio sito), troviamo al primo
posto assoluto in questi quattro anni, proprio la parola “Amore”.
Forse
non vi stupirà sapere che la terza parola è “felicità”.
Nell'uso
comune diamo per scontato il legame consequenziale fra queste due
parole: se amiamo e siamo amati allora siamo felici.
In
realtà, i due termini, così evocativi ma di difficile coniugazione
quotidiana, possono aprire a nuove e inusuali interpretazioni.
Oggi
vi invito a rifletterci partendo da questa frase che ho letto in un
libro di Nathaniel Branden
Perché
una relazione sentimentale cresca bisogna saper riconoscere che la
felicità è un nostro diritto. Se la sento come un fatto normale e
naturale, posso lasciarle spazio, posso essere aperto nei suoi
confronti, posso abbandonarmi a essa. Non provo l'impulso di
sabotarla e distruggerla. Se accetto la mia felicità, l'amore
romantico cresce. Se ne ho paura, l'amore romantico tende a morire.
(
“Psicologia dell'amore romantico”
pag. 135 - Ed.Corbaccio, 2010 )
Spesso
è proprio così.
Solo
se si accetta di poter essere felici nella vita reale, non ci sarà
il bisogno di vivere una storia d'amore infelice, per poter poi
vivere la felicità fra parentesi (vedi relazioni extra-coniugali,
fughe nella fantasia, sogni a occhi aperti...).
Secondo
Branden, le ragioni di questa “scelta” sono inconsce e da
ricercare nel modello di coppia – conflittuale o disfunzionale -
dato dai genitori e dal messaggio sotteso e appreso da piccoli: “da
sposato non sarai più felice di quanto siamo stati noi.”
In
altre parole, essere infelici non è altro che un modo per restare
fedeli alla famiglia d'origine.
Ma
questo significa solo una cosa.
Che nell'approcciarsi all'amore,
siamo ancora bambini e quindi fedeli ai dictat parentali.
Mentre
“l'amore romantico è per gli adulti, non per i bambini”
perché “le persone autonome non hanno più bisogno di
dimostrare a nessuno di essere bravi bambini o brave bambine, e non
hanno bisogno di trovare nel coniuge o nel loro partner sentimentale
anche un padre o una madre. In alcuni momenti possono gradire che il
loro partner assuma questo ruolo, ed è una cosa del tutto normale,
purché non sia l'essenza del loro rapporto.” (pag. 136-37)
Inserisco
qui tutta la pagina del libro, perché è così densa e vera da
meritare di essere letta per intero.
Nei
prossimi lunedì parleremo degli altri aspetti che permettono di
poter realizzare nella coppia un amore autentico e reale, pur nel
riconoscimento delle diversità.
Buona
settimana
virginia
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