Fino
al 19 luglio c'è una stupenda mostra a Ferrara, al Palazzo dei
Diamanti: “La rosa di fuoco. La Barcellona di Picasso e Gaudì” (qui)
Le
opere sono state suddivise nelle sale in un'alternanza simbolica di
spazi pubblici e privati, gli esterni e gli interni, l'esteriorità e
l'intimità.
Le
figure femminili sono rappresentate lo stesso da diversi punti di
vista che si susseguono con sfumature di significato tutte da
scoprire.
Si
passa dall'architettura vera e propria di Gaudì ai manifesti
pubblicitari dell'art nouveau dove, grazie all'uso sapiente delle
immagini delle Affiches, anche la tragicità della casa di cura per la sifilide
acquista un'aria poetica e surreale.
Le
donne erano già utilizzate come soggetto della pubblicità, eteree e
seducenti figure che invogliavano ad acquistare sigarette e liquori
Mi
ha colpita la differenza di espressioni del femminile, tra le
invoglianti affiches e quelle delle donne vere, ritratte dai pittori
all'interno degli spazi pubblici nei café, i cabaret o durante il
carnevale.
Le
donne di Santiago Rusinol al Gran Bal o all'Interno di un
caffé, hanno volti amimici che virano alla tristezza, sembrano
quasi rassegnate e relegate ai margini da quegli uomini che si
trovano protagonisti dello spazio pubblico, pur se in un acquario...
E
poi repentinamente si viene trasportati grazie a specchi e gioielli,
nella dimensione domestica delle toilettes dove le protagoniste si
ornavano i capelli e curavano il loro aspetto da mostrare al mondo.
Questa
è una stanza di passaggio che apre al mondo privato dove la donna
riacquistava la sua dignità e padronanza.
Significativa
è l'opera di Rusinol che si chiama “Si può?” (1891)
[purtroppo non ho trovato l'immagine] nella quale un uomo fa capolino
in una stanza dove la protagonista è una signora composta che
riempie lo spazio semplicemente standovi seduta in mezzo.
In
tutta la sala 6 i quadri rappresentano scene di vita domestica dove i
volti femminili riprendono energia e le emozioni sono a fior di pelle
Santiago
Rusinol - Romanzo d'amore (1894)
e
anche i corpi si appropriano del contesto con spontaneità, come è
il caso di “Dopo il ballo” (1899) di Ramon Casas
mentre
l'apice più elevato lo raggiunge sempre Rusinol con “La
morfinomane” (1894) di fronte alla quale ci si chiede se sia
davvero effetto della droga o piuttosto di un amplesso
quell'espressione beata...
Dopo
qualche sala dedicata alla natura, si torna a un altro tipo di
femminile “le lucciole” che rappresentavano il modello della
femme fatale tanto cara al decadentismo.
Si
tratta di donne al centro di uno spazio pubblico, ma come
dispensatrici di prestazioni, rappresentate con abiti vaporosi e
appariscenti, ma con volti spettrali e occhi spiritati.
H. Anglada Camarasa "Champs Elysée" (1904)
H. Anglada Camarasa "Il pavone bianco" (1904)
Questo
percorso nell'arte mi ha fatto riflettere su quante sfumature di
donna possono esistere, anche all'interno della stessa persona.
Perché
ciò che appare all'esterno non è sempre specchio esatto
dell'interiorità e viceversa.
Ci
sono rigogliose apparenze costruite sapientemente per nascondere
dolorosi segreti.
E
ci sono semplici esteriorità che celano profonde e nascoste
ricchezze.
Il
compito della vita di ciascuno diventa quello di riuscire ad
esprimere con onestà ciò che ci appartiene, proprio come espresso
dal curatore nella presentazione della “Ragazza in camicia”
di Picasso (1904-05)
“una
straordinaria figura femminile appena delineata su un astratto fondo
blu, che ha la forza assoluta di un simbolo universale.
Gracile
eppure orgogliosa, è un'icona della fragilità e della dignità
umana [...]”
Non ha bisogno di apparire, perché semplicemente "è".
buona settimana
virginia
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