Non
sono un'amante delle indagini demografiche e nemmeno ho molta
simpatia per i numeri statistici, che danno solo uno sguardo di un
certo tipo sulle situazioni, ma a quanto pare il Disturbo da Attacchi
di Panico sta diventando sempre più diffuso, colpisce una persona
ogni 75 e in una proporzione di 2-3 volte di più le donne rispetto
agli uomini.
Quando
uno o più sintomi colpiscono l'ignara vittima, la reazione più
frequente è quella di recarsi al pronto soccorso più vicino, dove
spesso viene fatta la prima diagnosi.
Ma
in che cosa consiste un attacco di panico (AdP) e qual è la
differenza con il più comune attacco di ansia (AdA)?
Intanto
si differenziano per la presenza o meno di un oggetto o situazione
cui si riferiscono.
L'AdP
si presenta all'improvviso, spesso senza segnali che facciano
presagire un disturbo – questo la prima volta, mentre
successivamente si ha sempre un'ansia anticipatoria pervasiva che
impedisce lo svolgimento delle normali attività quotidiane e porta
all'evitamento di luoghi che si ritengono scatenanti (ad es. quello
dove è avvenuto il primo episodio). L'AdP irrompe spesso in
situazioni di normale vita quotidiana – spesso alla guida, mentre
ci si sta recando da qualche parte, ma anche sul divano di casa –
senza alcun motivo che possa giustificare lo sconvolgimento emotivo
in atto.
L'AdA
invece è sì un forte momento di crisi acuta che ricalca i sintomi
di AP ma avviene di solito come reazione a eventi, incontri o anche
solo pensieri su situazioni che creano disagio, quindi la persona sta
male ma ne conosce il motivo, o per lo meno può addurre il malessere
a un momento di angoscia, di paura per qualcosa di concreto o
conosciuto.
Si
può parlare di AdP quando sono presenti almeno 4 di questi sintomi:
- Palpitazioni/tachicardia
- Paura di perdere il controllo o di impazzire
- Paura di morire
- Tremore
- Sudorazione (estesa anche alle mani)
- Sensazione di soffocamento
- Dolore o fastidio al petto
- Sensazioni di derealizzazione (percezione del mondo esterno come strano e irreale, sensazioni di stordimento e distacco) e depersonalizzazione (alterata percezione di sé caratterizzata da sensazione di distacco o estraneità dai propri processi di pensiero o dal corpo)
- Sensazioni di sbandamento, instabilità nell'equilibrio
- Brividi o Vampate di calore
- intorpidimento o formicolio degli arti
- Nausea
- Costrizione alla gola
Ecco,
una volta premesse queste nozioni necessarie a inquadrare il
fenomeno, come ho fatto altre volte voglio riflettere con voi su una
possibile sfumatura di significato celata dietro tanta sofferenza.
Uno
dei sintomi più riportati da chi vive un episodio del genere è
quello della paura di morire. Ed è il motivo che porta la maggior
parte delle persone a rivolgersi ai medici del Triage
piuttosto che direttamente a uno psicologo.
Molti
restano sbalorditi di scoprire, dopo un primo momento di terrore per
la propria salute, che in realtà le radici della sofferenza non sono
da cercare nel corpo bensì nell'anima.
Come
abbiamo visto qui, il paradosso dell'AdP è la straripante vita che
da sotto preme per emergere alla luce del sole.
Il
panico, all'inizio odiato nemico, se ascoltato e interpretato può
donare significati preziosi (qui).
Ma
come conciliare tutto questo con la paura di morire che
inevitabilmente ti assale?
All'inizio
è fondamentale riuscire a gestire i sintomi in maniera concreta:
cercare un posto tranquillo, fermarsi e respirare. Anche se risulterà
difficilissimo, occorre fare respiri profondi, col diaframma, che
riescano a far passare più aria di quelli affannati e corti che
vengono in automatico.
Chiedere
aiuto e non vergognarsi di farlo, a volte il contatto con una persona
che ancori alla realtà è un toccasana per chi entra nella
confusione.
Una
volta passata la crisi, dopo l'ospedale, quando ci si trova sul
divano dello psicologo, uno degli aspetti fondamentali da riuscire
ad apprendere è l'attribuzione di senso a qualcosa che di per sé
pare non averlo.
Di
solito una volta decriptato, sciolti i nodi inconsci che lo hanno
provocato, si dirada e anzi, il più delle volte sparisce.
Ogni
storia ovviamente è diversa, non c'è un significato univoco che
vada bene per tutti, ma se soffrite di questo disagio, potreste già
chiedervi, invece di soccombere alla paura di morire: che cosa in me
deve morire? Quali aspetti della mia vita hanno fatto il loro tempo e
chiedono di essere sostituiti? Come posso farlo nel rispetto della
mia persona e di chi mi sta vicino?
Se
c'è una cosa che ho imparato nei reparti oncologici è che non è
mai troppo tardi per cambiare qualcosa, una qualsiasi cosa che porti
profondità e senso, per quella persona unica, in quella vita
particolare.
Vi
lascio con queste parole tratte dal commovente romanzo di E.E. Schmit
“Oscar e la dama in rosa”
[...]
la vita è uno strano regalo.
All'inizio
lo si sopravvaluta, questo regalo: si crede di aver ricevuto la vita
eterna.
Dopo
lo si sottovaluta, lo si trova scadente, troppo corto, si sarebbe
pronti a gettarlo.
Infine
ci si rende conto che non era un regalo ma solo un prestito.
Allora
si cerca di meritarlo.
[…]
Più si invecchia più bisogna dar prova di gusto per apprezzare la
vita.
Si
deve diventare raffinati, artisti.
Qualunque
cretino può godere della vita a dieci o vent'anni, ma a cento,
quando non ci si può più muovere, bisogna avvalersi della propria
intelligenza.
buona
settimana
virginia