Vi
ho detto molte volte che quello che faccio io non è un lavoro, è
piuttosto un privilegio.
Ascoltare
le storie di vita di molte persone è un avventurarsi nell'intimità
e unicità di ciascuno, “abitare” di nuovo insieme a lui/lei i
luoghi dell'infanzia, le relazioni affettive che si sono avvicendate
nel tempo, le incomprensioni, i dolori ma anche le gioie e
commozioni.
Ogni
storia ha un suo ritmo, una cadenza di vissuti che si manifestano
nella condivisione e nella scoperta di aspetti sconosciuti, a volte
illuminanti, altre sconcertanti.
C'è
il momento della narrazione, dove i fili dei ricordi vanno
sapientemente sciolti dei nodi che impediscono lo scorrere successivo
della vita: si tratta di osservare, discernere, separare, rivedere le
cose da punti di vista diversi.
Poi
il ritmo incalza, questi nodi non sono così semplici come
sembravano: cedono il passo al tempo in cui è necessario manifestare
rabbia verso chi ha ti ha ferito – alcune persone vanno spronate in
questo mentre altre vanno calmierate, sempre con paziente
consapevolezza e rispetto – poi arriva il momento in cui il dolore
ha il sopravvento e lì è importante attraversarlo insieme con
coraggio e scoprire che quel guado soltanto è la via che ti salverà.
C'è
sofferenza, ci sono lacrime ma anche un processo di purificazione,
per far nascere nuovi modi di essere.
In
questo incedere di passi incerti, titubanti e provvisori, che
comunque sono volti alla ricostruzione, spesso arriva un fulmine a
ciel sereno, un ritmo martellante di autoaccusa, biasimo e
attribuzione di colpe che recitano più o meno così:
“sono
un/una stupido/a...”
“come
ho potuto permettergli di farmi questo...”
“non
valgo nulla...”
“ho
sbagliato tutto nella mia vita...”
“mi
sono lasciato/a condizionare nelle scelte e non ho deciso nulla...”
“mi
sono rovinato/a con le mie stesse mani...”
“so
quello che mi ha fatto ma non posso fare a meno di cercare un
contatto, sono proprio un/una fallito/a”...
E
altre varianti sullo stesso tema, che hanno come unico obiettivo
(inconscio) quello di affossare lo slancio vitale che era ricomparso
dopo lo spirito mortifero che invadeva l'esistenza.
In
questi casi è il contenuto fra parentesi che va svelato: ciascuno ha
i propri motivi inconsci per continuare a boicottare il risveglio del
Sé.
Può
essere per paura dell'ignoto (meglio un dolore conosciuto di uno
possibile sconosciuto) oppure per fedeltà a convinzioni familiari
(restando leali all'immagine che qualcun altro ha costruito per noi)
o per benefici secondari apparentemente incomprensibili
(semplificando, se stiamo male otteniamo qualcosa da chi è vicino, o
così è stato fino ad ora).
In
ogni caso occorre andare ulteriormente a fondo permette di salvarsi
dalla trappola della colpa.
Si
parla sempre del perdonare gli altri.
A
volte è più importante prima perdonare se stessi.
O
meglio entrare in contatto, conoscere e sciogliere le catene a quella
parte di noi che non poteva fare altrimenti, ma che con i suoi
errori, con le sue mancanze, con i suoi limiti, ci ha permesso di
arrivare comunque ad essere quello che siamo oggi.
Finisco
citando una poesia di Emily Dickinson, che in maniera lieve e
profonda, esprime in metafora questo significativo atto di umiltà
verso noi stessi.
L'acqua
è insegnata dalla sete.
La
terra, dagli oceani traversati.
La
gioia, dal dolore.
La
pace, dai racconti di battaglia.
L'amore
da un'impronta di memoria.
Gli
uccelli, dalla neve.
Buona
settimana
virginia
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