Lo scorso giovedì sono uscita dallo
studio e ad attendermi fuori dalla porta c'erano milioni di fiocchi
ghiacciati che scendevano lenti lenti dal cielo.
L' impatto è stato quello che si ha ogni
volta che cade la prima neve: un senso di stupore e smarrimento
insieme, perché quel bianco improvviso altera i punti di riferimento
di un paesaggio conosciuto.
Anche Golem si guardava in giro un po'
frastornato, col naso all'insù a cogliere i nuovi odori che
quell'aria lattiginosa portava con sé.
È stato un viaggio di ritorno a casa
diverso dal solito, la mezz'ora è diventata quasi un'ora, la strada
conosciuta, ma piena di dislivelli, l'ho modificata con un'altra più
sicura, il telefono che di solito mi permette di sentire voci amiche
ha lasciato spazio alla musica, perfetto sottofondo per una serie di
riflessioni su quel momento magico.
La neve ci concede (e ci obbliga) a
rivedere alcuni aspetti della nostra esistenza che di solito viviamo
in automatico.
Per prima cosa il tempo.
Mentre la nostra parte infantile reagisce
sempre con meraviglia alla nevicata, la parte adulta ne vede subito
dopo le rotture, i disagi, la perdita di tempo prezioso appunto.
Abbiamo la percezione che questa corsa a
perdifiato che è la nostra quotidianità venga irrimediabilmente
danneggiata da questa scocciatura metereologica.
Il dato oggettivo è sicuramente che
subiamo una alterazione alla normale routine, che siamo costretti ad
annullare qualche appuntamento, magari a non andare al lavoro, oppure
ad andarci di più (penso ai manutentori delle strade) ma alla fine
non è niente di inaffrontabile o irreparabile.
Per alcuni può addirittura rappresentare
la possibilità di una pausa, un momento da dedicarsi.
Poi l'attenzione.
Camminare sotto la neve ci porta a dover
essere cauti sui nostri passi per non cadere o scivolare, per non
affondare e trovare qualcosa di inaspettato.
Ci fa muovere passi in un territorio che diventa sconosciuto anche se lo sappiamo a memoria.
Ci fa muovere passi in un territorio che diventa sconosciuto anche se lo sappiamo a memoria.
Ma anche ci fa osservare diversamente
quello che ci circonda.
Tutto si trasforma: i colori, gli
spessori, le consistenze, i suoni.
Il riflesso candido porta a osservare di
più, perché anche un ambiente cittadino, ricoperto dal manto
bianco, sembra più vicino alla natura, spettacolo unico ai nostri
occhi abituati all'asfalto e cemento.
E dall'osservare fuori, è inevitabile
farlo anche dentro, dunque infine arrivare all' l'introspezione.
Passeggiare o guidare sotto la neve ci
avvicina a noi stessi, ci fa guardare con calma ciò che si muove
dentro, perché l'atmosfera ovattata permette il risuonare dei
vissuti.
Ci sono volte in cui il freddo fuori
rispecchia quello interiore, momenti difficili che vanno attraversati
con cautela, altre in cui all'esterno ci sono temperature polari ma
sei talmente pervaso da un fuoco interiore che tutto è relativo.
Oppure semplicemente vorresti che quel
momento restasse eterno, coi fiocchi che scendono e impediscono al
tempo di proseguire.
A mio avviso, i poeti che maggiormente
riescono a dare testimonianza di questa unione fra l'uomo le emozioni
e la natura sono i maestri degli Haiku giapponesi.
Versi semplici che con poche parole
riescono a sintetizzare immagini sublimi.
Musica di neve
grillo d'inverno
sotto i miei passi
(Yuko)
Solo perché esisto
sono qui
tra
la neve che cade
(Issa)
Forse la nevicata, fra i fenomeni
naturali, è quello che maggiormente ci mette in contatto con
l'anima.
La lentezza con cui cade ci contamina e
affascina, sospendendo un ritmo che spesso ci travolge.
Copre senza nascondere del tutto. Ci
siamo ma possiamo anche non esserci.
Riflette e abbacina quando ritorna il
sole, dissolvendosi poi col suo calore.
Ci ricorda così che nessun gelo dura per
sempre.
Buona settimana
virginia
ps. Seguendo il tema del giappone, una
storia poetica è raccontata nel libro “Neve” di Maxence Fermine
(Bompiani, 2008)
Oppure una poesia in musica la trovate qui sotto
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